sabato 7 giugno 2025

Preoccupazioni ITALIANE !!!

 Un caccia ucraino MiG-29 è riuscito a distruggere un presunto posto di comando russo nella regione di Zaporizhzhia utilizzando bombe a guida di precisione fornite dalla Francia.


............. COSA NE PENSATE !!! ???.... nell'attesa della REAZIONE !!!!

venerdì 6 giugno 2025

Il governo Netanyahu e la mossa anti Hamas. "Arma una milizia con criminali e jihadisti"

@ - «Il nemico del mio nemico è il mio amico». Il proverbio è antico, ma non sempre funziona. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua però a crederci.

Il governo Netanyahu e la mossa anti Hamas.
"Arma una milizia con criminali e jihadisti"

Dopo essersi illuso di poter addomesticare Hamas ingrassandolo con i soldi del Qatar ora cerca di dargli il colpo di grazia reclutando clan criminali e jihadisti della Striscia pronti a vendersi al miglior offerente. E a rendere il tutto più surreale contribuisce il modo in cui sta venendo alla luce l'operazione.

A vuotare il sacco in un'intervista alla televisione israeliana Kan ci ha pensato Avigdor Lieberman, un falco dell'estrema destra, già ministro nei passati governi Netanyahu, passato all'opposizione dopo una serie di scontri con il leader. «Il governo israeliano seguendo le indicazioni del suo premier - ha spiegato Lieberman - sta distribuendo armi ad un gruppo di criminali legati allo Stato islamico. Tutto questo, per quanto ne so, non è stato deciso con l'approvazione del governo. E non so neanche - ha aggiunto l'ex ministro - se il comandante delle forze armate ne sia al corrente».

Insomma un'autentica bomba politica capace di lacerare ulteriormente la già divisa opinione pubblica israeliana, e di acuire l'isolamento internazionale di Israele. Il gruppo di cui parla Lieberman è quello di Yasser Abu Shabab, un beduino di 32 anni alla testa di un importante clan, originario della zona di Rafah, che conterebbe tra le sue fila trafficanti di droga, miliziani di jihadisti e criminali comuni. Famoso per le foto diffuse sui social in cui si fa ritrarre armato di tutto punto alla testa di check point improvvisati Abu Shabab ama indossare elmetti e giubbotti antiproiettili con la scritta «Servizio antiterrorismo». Ma non tutti sono disposti a riconoscergli quel ruolo. Secondo molte fonti della Striscia il gruppo conterrebbe tra le proprie fila un discreto numero di criminali comuni e molti militanti salafiti e jihadisti in scontro aperto con Hamas.

Arrestato lui stesso da Hamas prima della guerra con l' accusa di furto e traffico di narcotici Abu Shabab è riuscito a sopravvivere al bombardamento dell'edificio in cui era prigioniero e a fuggire. Subito dopo la rocambolesca fuga ha fondato le «Forze popolari» un gruppo che sostiene di proteggere la popolazione dai soprusi di Hamas impedendogli di mettere le mani sugli aiuti alimentari. Secondo un documento interno delle Nazioni Unite Abu Shabab sarebbe invece la mente e l'organizzatore di numerose operazioni di saccheggio delle razioni alimentari distribuite da agenzie dell'Onu.

Da parte loro molte fonti palestinesi descrivono Abu Shabab e i suoi come una milizia al servizio di Israele nella zona del valico di Kerem Shalom e di Rafah. Notizie riprese anche da Hamas che non esita a definirlo un collaboratore e un traditore. Accuse a cui Abu Shabab ha risposto con un video fatto circolare due giorni fa in cui dichiara di operare «sotto legittimità palestinese». Frase sibillina con cui il miliziano fa capire di essere legato all'Autorità palestinese. E di muoversi dentro Gaza con la sua autorizzazione.

giovedì 5 giugno 2025

Hamas ha già vinto la sua guerra: delegittimare Israele e accreditarsi in Occidente, così ha ribaltato fatti e verità

@ - In tempi di guerra, ogni parola è un atto politico. Ogni immagine, ogni frame, ogni omissione contribuisce a modellare il campo simbolico e morale del conflitto. E nella guerra in corso tra Israele e Hamas, una battaglia si è già conclusa, ed è quella dell’informazione.

Hamas libera ostaggi israeliani

Nonostante la sproporzione militare evidente tra le parti, Hamas ha saputo mettere in campo una strategia comunicativa tanto sofisticata quanto spietata, che ha piegato la narrazione globale a suo favore. Non ha sconfitto Israele sul terreno, ma lo ha sconfitto nel tribunale dell’opinione pubblica. Quello che osserviamo non è un effetto collaterale della guerra: è parte integrante della strategia di Hamas.

Il gruppo terrorista islamista ha sempre saputo che la vera forza non risiede nelle armi – rudimentali o tecnologichema nella capacità di indirizzare il giudizio morale delle masse globali. E per farlo si è dotato, negli anni, di una rete estesa di alleati informali e formali: Ong internazionali che operano nella Striscia senza reale autonomia; opinion maker occidentali pronti a legittimare ogni resistenza purché anti-israeliana; attivisti embedded con l’agenda del gruppo; e soprattutto la galassia dei social, dove i contenuti virali contano più della verifica e della responsabilità editoriale. Hamas ha così trasformato la sofferenza della popolazione palestinese – innegabile e drammatica – in un’arma comunicativa. Le immagini dei bambini feriti, delle madri in lacrime, delle macerie sono state rimosse dal contesto, decontestualizzate, a volte artefatte, e rilanciate con un’unica cornice: quella del colonialismo israeliano, della repressione sionista, dell’apartheid. Una narrazione potente, semplificata, a tratti mitologica, che ha avuto l’effetto di occultare la realtà: ovvero che il conflitto è stato riacceso da un attacco terroristico deliberato, pianificato da mesi, con lo scopo dichiarato di uccidere civili, rapire bambini, umiliare e provocare Israele e interrompere un processo di pacificazione dell’area mediorientale.

Mentre gli Accordi di Abramo disegnavano infatti un nuovo scenario di cooperazione tra Israele e il mondo arabo, rompendo decenni di stallo diplomatico, Hamas ha risposto con la sola logica che conosce: la violenza. Eppure il Sabato Nero è già stato rimosso. Il dato più inquietante è che questa strategia ha funzionato anche grazie alla complicità di attori che si ritengono terzi o imparziali. Alcune Ong hanno rilanciato numeri e denunce provenienti da fonti controllate da Hamas senza alcuna verifica indipendente. Alcune testate giornalistiche – anche di grande prestigio – hanno rinunciato a contestualizzare, a confrontare le fonti, a interrogare le responsabilità. E nelle università, nei campus, nei talk show, si è affermata una forma di infantilismo morale che trasforma ogni espressione di vicinanza a Israele in una colpa, mentre si legittima ogni grido di odio e ogni ambiguità nei confronti del terrorismo.

Si è creato un vasto movimento di consenso a cui hanno aderito – più o meno spontaneamente – personaggi pubblici, influencer, opinionisti. E siccome di consenso spesso la politica si nutre, in molti hanno cavalcato questo mainstream. La guerra dell’informazione non è un gioco. È uno dei fronti decisivi di questo conflitto. E chi oggi rilancia contenuti manipolati, narrazioni distorte, accuse infondate, contribuisce attivamente a una campagna di delegittimazione che mira non solo a Israele, ma al concetto stesso di democrazia liberale in Medio Oriente. Hamas non vuole solo distruggere lo Stato ebraico: vuole distruggere la sua legittimità, la sua narrazione, la sua ragione d’essere.

La lucidità, in questo scenario, è un dovere morale. Non significa giustificare ogni azione militare, né chiudere gli occhi davanti alle vittime civili. Significa però comprendere che dietro le quinte di questo dramma umanitario c’è un’efficace e potente strategia di comunicazione che ha trasformato la verità in un campo di battaglia. E in quel campo, oggi, Hamas ha vinto. Non con i razzi. Ma con i post, i video virali, i silenzi complici e le mezze verità rilanciate da un sistema informativo troppo spesso prigioniero delle proprie ideologie. Per questo, oggi più che mai, servono voci capaci di resistere alla propaganda. Voci che rifiutino la semplificazione e rivendichino la complessità. Perché la pace, quella vera, non si costruisce sulla menzogna. E nemmeno sulla rimozione sistematica della realtà.

martedì 3 giugno 2025

Israele: sgozzato, calpestato, crocifisso e tenuto a chiedere ‘scusa’. Perché ci si scaglia contro l’unica democrazia del Medio Oriente

@ - In nessun’altra parte del mondo uno Stato democratico sotto attacco viene invitato con tanta solerzia a moderazione, clemenza, senso della misura. Solo Israele, quando viene sgozzato, calpestato, crocifisso, è tenuto a chiedere scusa per il sangue che versa.

guerra israele

Come se difendersi fosse un atto di arroganza, e la sopravvivenza fosse un peccato d’orgoglio. Il 7 ottobre ha segnato l’epilogo di un decennio di ipocrisia. Migliaia di fanatici hanno varcato un confine per macellare civili, rapire bambini, filmare stupri e decapitazioni. Non una rivolta, ma una liturgia dell’odio che nessun movimento di liberazione dovrebbe anche solo sognarsi di rivendicare. Eppure, poco dopo, le piazze europee sventolavano le stesse bandiere dei carnefici, e le università si travestivano da tribunali morali.

La proporzione
L’Occidente progressista si è risvegliato con un riflesso condizionato: se Israele è coinvolto, è sicuramente colpevole. Hamas, da parte sua, non ha mai nascosto il proprio obiettivo. È scritto in ogni statuto, proclama e missile: distruggere Israele. Non conviverci. Non negoziare. Sradicarlo. È il solo attore del conflitto che ha sempre detto la verità. Eppure, chi lo combatte viene accusato di essere sproporzionato. La “proporzione” è diventata una gabbia semantica: Israele può difendersi, ma solo finché non turba la coscienza selettiva di chi osserva. Può colpire, ma senza colpire troppo. Una guerra con l’elmetto, ma senza il diritto al dolore.

Il punto non sono solo i bambini morti
Le immagini dei bambini morti a Gaza spezzano il cuore. Ma quando diventano strumento di propaganda, allora spezzano anche la verità. Ci spezza il cuore ogni bambino morto. A Gaza come in Sudan, dove migliaia sono stati massacrati nel silenzio globale. In Yemen, uccisi o mutilati da bombe, fame, colera e indifferenza. In Congo, in Etiopia, a Myanmar, in Afghanistan: milioni di bambini muoiono senza che un corteo sfili per loro. Nessuna università occupata. Nessun appello degli artisti. Nessun volto sui cartelloni. Nessuna bandiera. Il punto non sono solo i bambini morti. Il punto è dove muoiono, e chi li avrebbe “uccisi”. Se a colpire è una milizia tribale, il lutto è discreto. Se a bombardare è Israele, il lutto si fa liturgia collettiva. Perché il problema non è Gaza. Il problema, per molti, è che Israele non muore. Che resiste. Che non si inginocchia alla morale del pianto selettivo. E mentre il mondo predica pace e versa milioni in aiuti, Hamas ha fatto la sua scelta. Ha usato quei fondi per scavare tunnel invece di costruire scuole. Per creare depositi di armi invece di ospedali. Per addestrare bambini-soldato invece di aprire università. Gaza avrebbe potuto diventare Singapore; è stata ridotta a Mogadiscio con le preghiere.

Il solito copione europeo
Nel frattempo, in Europa si recita il solito copione. Intellettuali esausti dalla complessità, partiti in cerca di voti nelle banlieue, opinionisti in posa permanente. Tutti uniti in un esercizio di equilibrismo che non distingue più tra aggredito e aggressore. È la sindrome del colonialismo rovesciato: Israele è la potenza, quindi va punito. Anche se circondato da Stati che, se potessero, ne celebrerebbero la fine in diretta su Al Jazeera. Parlare di “pace” in questo contesto suona come una boutade. Pace con chi? Con un’organizzazione che usa i civili come carne da propaganda, che occupa militarmente i propri fratelli, che trasforma gli aiuti in logistica militare? Hamas è un sistema mafioso con una narrativa religiosa. E la Palestina, ostaggio due volte: di Israele per i suoi check-point, ma soprattutto di un’élite armata che usa la disperazione come capitale politico.

La resa dei conti con la menzogna
L’unica via d’uscita non è la resa di Israele, ma la resa dei conti con la menzogna. Quella che finge che “resistenza” significhi strage, che “libertà” significhi califfato, che “giustizia” significhi cancellare uno Stato. Israele è l’unico Paese a cui si chiede ogni giorno di giustificare la propria esistenza. L’unico che deve spiegare perché vuole vivere. È una democrazia imperfetta – certo – ma dove i tribunali giudicano anche i Generali. Dove si protesta, si vota, si discute, persino sotto i razzi. Eppure, nel grande gioco della morale internazionale, Israele è il colpevole di professione. Perché resiste. Perché ha trasformato un popolo perseguitato in una nazione armata. Perché non ha chiesto il permesso. È questa l’eresia. Ed è per questo che tanti lo odiano. Israele non è perfetto. Ma non chiede l’assoluzione. Chiede solo di non essere messo al rogo per aver detto – con i fatti di non voler morire da vittima né vivere da colpevole.

lunedì 2 giugno 2025

Le ragioni del masochismo di Hamas: perché rifiuta sempre la tregua

@ - Dopo un giorno di esitazioni, Hamas ha dichiarato di rifiutare anche l’ultima proposta di cessate il fuoco dell’inviato americano Steve Witkoff. Era un’offerta molto favorevole per loro.


Contro il rilascio della metà dei rapiti (10 vivi e 18 morti), gli Usa garantivano 60 giorni di tregua, con il blocco delle attività militari israeliane (inclusa la ricognizione aerea per 10 ore al giorno); il ritiro delle forze israeliane sugli assi di Filadelfia (al confine dell’Egitto), Netzarim (al centro della Striscia) e al confine settentrionale (rinunciando cioè alle zone occupate in questi mesi); il ripristino della distribuzione degli aiuti attraverso gli organismi internazionali (il che significa farli controllare da Hamas, a differenza di quel che è avvenuto negli ultimi giorni, con la consegna diretta alla popolazione che saltava il taglieggiamento terrorista); l’inizio delle trattative finali per la pace condotte dai soliti mediatori filo–Hamas, cioè Egitto e Qatar, con la garanzia americana sulla loro “serietà”.

Sacrifici gravi per Israele
Si trattava di sacrifici gravi per Israele, che li ha accettati solo per evitare rotture con Trump. Erano chiaramente pensati per essere attrattivi per Hamas, permettendogli in sostanza di recuperare parte delle perdite subite. Ma Hamas ha rifiutato l’accordo, com’era accaduto per decine di proposte israeliane e americane, prima degli inviati di Biden e poi di Trump. Si potrebbe ripetere a questo proposito il vecchio giudizio di Golda Meir: non perdono mai l’occasione di perdere un’occasione.

Le ragioni del masochismo
Bisogna capire le ragioni di questo masochismo. La prima è la retorica musulmana del martirio: per la tradizione islamica incarnata da Hamas, mille volte meglio morire combattendo i nemici della fede che vivere pacificamente accanto a loro. Ciò rende impossibile una vera pace e accettabili (anzi, desiderabili) i sacrifici imposti anche alla popolazione civile, come Hamas ha spesso dichiarato. La seconda ragione è che l’esistenza stessa di Hamas dipende non da una vittoria reale sul campo (impossibile in partenza) ma dall’aura di eroismo e dalla vittoria di immagine che ogni accordo intaccherebbe. La terza ragione è che i rapiti sono comunque un’assicurazione sulla vita per Hamas, e soprattutto un’arma per la strategia di piegare la resistenza israeliana e occidentale e per rompere il blocco sociale che sostiene lo Stato ebraico (questo è il senso fondamentale del terrorismo, che ha ottenuto notevoli successi in Europa, negli Usa, ma anche in certi settori della società israeliana). Infine c’è il rifiuto dell’Iran, che dal conflitto a Gaza ricava uno schermo di protezione militare e mediatico. Insomma, il minimo che Hamas ritiene di dover ottenere dalla guerra è la vittoria che consiste nel mantenere le armi e il controllo di Gaza, magari sotto mentite spoglie. I terroristi islamici hanno imparato la lezione di Mao: nella guerra asimmetrica di lunga durata, i guerriglieri vincono se riescono a sopravvivere mantenendo anche una frazione delle loro forze.

Gli attacchi
Questo minimo però è molto di più di quel che Israele può concedere, perché è la premessa del progetto terrorista di rinnovare gli attacchi o – per parafrasare Che Guevara – “creare due, tre, molti 7 ottobre”. Israele deve distruggere Hamas e svuotare “l’acqua” (la popolazione radicalizzata) in cui “il guerrigliero nuota come un pesce” (Mao). Ci sta riuscendo, ha solo bisogno di un po’ di tempo. Per questo si intensificano gli attacchi mediatici, politici e giudiziari degli alleati del terrorismo in Occidente, consapevoli o meno.

mercoledì 28 maggio 2025

Il capolavoro strategico di Hamas: mentre fingeva di voler liberare Gaza ne progettava la distruzione

 @ - Cosa succede? Come mai l’alleanza atlantica scopre solo ora che in Medio Oriente c’è una guerra orrenda e senza sbocchi? Le stragi di Gaza smuovono le coscienze, ed è un bene. La destra al governo di Tel Aviv ha superato ogni limite, ed è un dato oggettivo.

ostaggi hamas

Ma nell’era del pensiero sepolto dall’emozione, i crimini di guerra di Netanyahu confermano la prodigiosa capacità dell’Occidente di dimenticare la genesi dei drammi che piange. 

Oggi, quella tragedia si chiama Gaza. Ma la strage permanente è esattamente la strategia di Hamas. È ciò che i capi del terrorismo palestinese hanno progettato a tavolino, con il calcolo del sangue e del sacrificio della loro gente. Ernesto Galli della Loggia, mentre dipinge la guerra israeliana come un drammatico Vietnam mediorientale, ricorda che dopo il 7 ottobre Israele fu lasciata sola, di fronte ad una guerra che Hamas avrebbe potuto non far iniziare, così come potrebbe interromperla in ogni momento. I terroristi hanno sterminato all’improvviso gente inerme con il mandato iraniano e l’appoggio yemenita. Non hanno mai voluto nessun tavolo vero di tregua o di pace. I bollettini serali di morti civili ricordano quelli del Covid, solo che per Hamas erano e sono un solidissimo credito verso il resto del mondo, un’arma politica micidiale. E serviva anche la tragedia umanitaria: quindi, Hamas ha lasciato che la gente morisse di fame e di stenti, bloccando ogni aiuto che non passasse da loro. E questo nell’inerzia dell’Onu.

Un attimo dal chiudere gli occhi
Da qui comincia il brusco capovolgersi delle nostre reazioni. In silenzio contemplativo per un anno e mezzo, ora scopriamo l’orrore. Ma ci vuole un attimo dal chiudere gli occhi sulle bombe israeliane a chiudere gli occhi sul fatto che quegli ospedali e quelle scuole erano basi militari per scelta di Hamas. Un attimo dal chiudere gli occhi sull’escalation israeliana a chiuderli sull’antisemitismo, che oggi impedisce agli ebrei europei persino di parlare o di mangiare in un ristorante. Un attimo dal chiudere gli occhi sui falchi israeliani al chiuderli sul fatto che oggi a Tel Aviv c’è gente in piazza mentre a Gaza gli oppositori vengono torturati e uccisi. Un attimo. Per un Occidente che rinuncia alla politica e balbetta condanne, il 7 ottobre 2023 è già sparito. Era la notte in cui il vicino terrorista irrompeva in un rave di ragazzi, massacrava intere famiglie nelle loro case, sgozzava bambini, stuprava donne e deportava centinaia di cittadini. Ed era soprattutto il primo atto di un disegno teso a conquistare il palcoscenico mondiale, e fermare gli accordi degli arabi con Israele e gli occidentali.

Il capolavoro strategico
Il massacro, e poi ogni possibile azione per rendere più cruenta la reazione. Un vero capolavoro strategico: fingere di volere la liberazione di Gaza, mentre se ne progetta la distruzione. Per questo Hamas ha nascosto le armi nelle scuole, nei tunnel sotto gli ospedali, tra i palazzi residenziali. Ha trasformato i bambini in scudi, e i civili in ostaggi. L’obiettivo era l’odio verso Israele, alimentato dai crimini di un leone ferito ormai in balia dei suoi estremisti. Era staccarla dagli occidentali e dagli arabi. Rendere pericoloso anche il solo essere ebrei. Obiettivo raggiunto.

domenica 25 maggio 2025

La balla globale sullo sterminio per carestia nella Striscia, in 19 mesi non c’è stato un morto per stenti a Gaza

 @A proposito degli aiuti umanitari per la Striscia di Gaza, la comunità internazionale era tenuta a manifestare, nei modi giusti, una pretesa legittima e ad adempiere, nei modi dovuti, a un dovere imprescindibile. Non ha fatto né una cosa né l’altra.


Anziché reclamare che Israele non ponesse ostacoli ingiustificati all’ingresso degli aiuti, o che ponesse rimedio a eventuali ritardi e insufficienze delle forniture, la comunità internazionale ha raccontato per 19 mesi che Israele affamava la popolazione di Gaza, che Israele ne aveva programmato lo sterminio per fame, che Israele aveva ridotto Gaza in carestia.

In 19 mesi non c’è stato un morto per stenti a Gaza
Durante un periodo di 19 mesi in cui – grazie a Dio, anzi grazie a Israele che lo ha evitato – non c’è stato un solo morto per stenti a Gaza, la comunità internazionale ha senza sosta propalato la menzogna – rigonfia di numeri e dati falsi – secondo cui a Gaza era in corso, o era imminente, una catastrofe umanitaria da migliaia di morti per fame alla settimana. Sino (e siamo a qualche giorno fa) alla bufala di altezze himalaiane secondo cui 14mila bambini sarebbero morti di fame nel giro di 48 ore, una fake news strepitosa che i mezzi di informazione hanno continuato a divulgare nonostante l’inevitabile smentita.

Gli aiuti sequestrati da Hamas
C’è poi l’altro fronte, quello dei doveri cui la comunità internazionale si è sistematicamente sottratta nel trattamento di questo dossier effettivamente delicatissimo, e così implicante per le sensibilità umanitarie di ciascuno. A fronte della documentata, plateale, reiterata e impunita pratica in cui si sono esercitati i predoni di Gaza sequestrando i convogli degli aiuti, per usarli in proprio e per rivenderli a strozzo alla popolazione civile, la comunità internazionale non solo è rimasta a guardare, ma ha preteso che quell’andazzo continuasse senza che Israele potesse assumere qualsiasi iniziativa per porvi rimedio. A cominciare dall’esautoramento delle agenzie dell’Onu di cui si vagheggiava l’insostituibilità mentre erano acquiescenti – se non complici – in quel quadro di sistematica predazione.

Su quel doppio confine, dunque, la cosiddetta comunità internazionale ha dolosamente e criminalmente interferito nella situazione umanitaria di Gaza, imputando a Israele inesistenti programmi genocidiari e omettendo di denunciare i crimini delle dirigenze terroristiche palestinesi che, nell’inerzia o con la connivenza delle Nazioni Unite, usavano quegli aiuti per approvvigionare sé stesse e per trarne profitto ai danni della popolazione civile.

Errori anche gravi, o persino illeciti, che possano essere stati commessi da Israele in occasione di questa o quella scelta esecutiva a proposito degli aiuti non hanno nulla a che fare con la menzogna dello sterminio per fame, diventata verità ufficiale in forza di quell’inesausta propaganda. Un’operazione di contraffazione della verità tanto più grave, appunto, perché si accoppiava all’assoluta mancanza di qualsiasi denuncia circa il metodico sequestro a fini di arricchimento, in danno dei civili, che i miliziani della Striscia facevano di quegli aiuti.

sabato 24 maggio 2025

Netanyahu attacca i leader occidentali: “Siete dalla parte di Hamas e dalla parte sbagliata della storia”

@ - Benjamin Netanyahu torna a parlare con la solennità delle grandi occasioni, davanti a una telecamera e con un tono che mescola denuncia, propaganda e sfida.


Netanyahu attacca i leader occidentali: 
“Siete dalla parte di Hamas e dalla parte sbagliata della storia”

L'occasione in questione è il recente attentato avvenuto a Washington, dove due giovani, Yaron Lischinsky e Sara Milgrim, entrambi membri dell'ambasciata di Israele, sono stati uccisi da un uomo che, al momento dell'arresto, ha gridato Free Palestine. Un episodio che, per il premier israeliano, rappresenta in toto il simbolo di un odio radicato e antico, che collega direttamente l'attuale clima politico al massacro del 7 ottobre. Così, attraverso un video ufficiale diffuso sui social e sul sito del governo, Netanyahu si scaglia ora contro la comunità internazionale, con un attacco particolare rivolto ai leader di Francia, Regno Unito e Canada, accusati di voler “premiare i terroristi” istituendo uno Stato palestinese.

Netanyahu si rivolge dunque al mondo, e soprattutto ai suoi alleati e al suo elettorato, usando un linguaggio netto e privo di sfumature, in cui il nemico è totale e la verità univoca. E mentre denuncia l"ipocrisia' dell'Occidente, la realtà sul terreno a Gaza è drammatica e la popolazione palestinese continua a soffrire e a morire di fame.

Netanyahu: "Free Palestine oggi è come dire Heil Hitler"
Netanyahu apre il discorso ricordando i nomi delle vittime dell'attentato di Washington, la loro storia d'amore, l'anello di fidanzamento appena acquistato: "Non sono stati uccisi per caso. Sono stati colpiti perché ebrei", afferma. E subito traccia un parallelo diretto: "Lo stesso grido, Free Palestine, lo abbiamo sentito il 7 ottobre, quando i terroristi di Hamas hanno compiuto il peggior massacro dalla Shoah".

Il cuore ideologico del discorso è poi l'equivalenza tra Hamas e nazismo: Netanyahu cita il cancelliere tedesco Olaf Scholz: "Mi ha detto che Hamas è come i nazisti. Aveva ragione". Poi aggiunge: "Free Palestine oggi è come dire ‘Heil Hitler’. Non vogliono uno Stato palestinese. Vogliono annientare lo Stato ebraico".

L'attacco all'Europa: "Premiate i carnefici"
La parte più dura è rivolta ai governi europei: "Per 18 anni abbiamo avuto uno stato palestinese di fatto. Si chiama Gaza. E cosa abbiamo ottenuto? La pace? No. Abbiamo subito il più feroce massacro di ebrei dai tempi dell'Olocausto. Non vi sorprenderà sapere che Hamas ha ringraziato il presidente Macron e i primi ministri Starmer e Carney per aver chiesto a Israele di porre immediatamente fine alla sua guerra a Gaza. Hamas ha fatto bene a ringraziarli". Netanyahu poi continua: Perché, presentando la loro richiesta, accompagnata dalla minaccia di sanzioni contro Israele, contro Israele, non contro Hamas, questi tre leader hanno di fatto affermato di volere che Hamas rimanga al potere. Vogliono che Israele si faccia da parte e accetti che l'esercito di assassini di massa di Hamas sopravviva, si ricostruisca e ripeta il massacro del 7 ottobre ancora e ancora, perché questo è ciò che Hamas ha promesso di fare. Dico al Presidente Macron, al Primo Ministro Carney e al Primo Ministro Starmer: quando assassini di massa, stupratori, assassini di neonati e rapitori vi ringraziano, siete dalla parte sbagliata della giustizia. Siete dalla parte sbagliata dell'umanità e siete dalla parte sbagliata della storia.

Per il premier israeliano, ogni ipotesi di Stato palestinese equivale a una nuova Gaza, destinata inevitabilmente a cadere in mano agli estremisti: "Non sarà mai uno Stato pacifico. L'Iran manderà i suoi, e i radicali prenderanno il controllo", dice.

La carestia, l'ONU e le colpe di Hamas
Netanyahu si scaglia anche contro le Nazioni Unite e i media internazionali: "Un funzionario dell'ONU ha detto che 14mila bambini moriranno in 48 ore. È una bugia di Hamas. Ma la stampa la ripete e la folla ci crede". E rivendica: "Abbiamo mandato 92mila camion di aiuti a Gaza. Hamas li ha rubati, rivenduti ai civili e usati per finanziare nuovi terroristi". Il governo israeliano, spiega, avrebbe ora trovato una soluzione: distribuire direttamente il cibo attraverso compagnie americane, in zone sicure protette dall'esercito. Un sistema che permetterebbe, secondo Netanyahu, di combattere Hamas senza affamare la popolazione.

Ma a Gaza l'emergenza è reale
Eppure, nonostante le rassicurazioni del premier, la crisi umanitaria a Gaza è gravissima. Le agenzie internazionali continuano a denunciare fame diffusa, ospedali al collasso e centinaia di migliaia di persone sfollate, ammassate in condizioni precarie. I dati parlano di un numero crescente di bambini malnutriti e di un accesso agli aiuti ancora estremamente limitato. La carestia, evocata con toni sprezzanti da Netanyahu, è invece un rischio concreto, segnalato da fonti indipendenti come il World Food Programme, Emergency, Medici Senza Frontiere: come viene da tempo denunciato, il diritto internazionale impone la protezione dei civili anche in guerra, e l'incolumità della popolazione non può essere affidata solo a dispositivi logistici o a meccanismi bilaterali, per quanto ben congegnati.

La questione degli ostaggi e il richiamo alla civiltà
Nel finale, Netanyahu parla degli ostaggi ancora detenuti a Gaza: "Siamo pronti a tregue temporanee per liberarli, ma esigiamo il rilascio totale. E ogni paese civile dovrebbe fare lo stesso". Poi una distinzione netta tra Hamas e Israele: "Noi non colpiamo civili. Hamas sì, e usa i propri come scudi umani. È un doppio crimine di guerra. Ma chi ci critica non dice nulla su questo".

Trump e il mondo che resta "dalla parte giusta"
Il premier chiude il discorso con una nota identitaria e un ringraziamento esplicito al presidente degli Stati Uniti: "Voglio ringraziare Donald Trump e il popolo americano. Insieme vedremo la vittoria della civiltà sulla barbarie". Un messaggio che definisce le coordinate morali del suo racconto: Israele come baluardo dell'Occidente, la guerra come battaglia esistenziale e ogni critica come tradimento.

martedì 20 maggio 2025

Un professore universitario propone di sospendere le pensioni a un terzo degli anziani

@ - Negli Stati Uniti, come nel nostro Paese, la previdenza sociale è uno dei pilastri del benessere di milioni di anziani. Tuttavia, il suo futuro è incerto: secondo gli esperti, se non verrà attuata una qualche riforma, i fondi a sostegno potrebbero esaurirsi entro il 2035, con conseguenti tagli automatici alle prestazioni sociali.


Un professore universitario propone di smettere di pagare le pensioni a un terzo degli anziani: una proposta provocatoria che riapre il dibattito sulla giustizia generazionale e sulla sostenibilità del sistema pensionistico© picture alliance - Getty Images


In questo contesto, il professore della New York University Scott Galloway, noto per le sue posizioni controverse, ha proposto una soluzione drastica: eliminare i sussidi per un terzo degli attuali beneficiari. Il motivo? Beh, secondo lui, semplicemente non ne hanno bisogno.

La dichiarazione non è passata inosservata. Nel suo podcast, Galloway ha sostenuto che tra il 10 e il 30 percento dei beneficiari della previdenza sociale appartiene alla fascia più ricca della popolazione americana e che continuare a versare loro la pensione rappresenta un ingiusto trasferimento di ricchezza dalle generazioni più giovani e povere ai pensionati più abbienti.

"Stiamo parlando della generazione più ricca nella storia di questo pianeta", ha affermato, riferendosi ai baby boomer, ora in pensione. "Ogni anno, 1,2 trilioni di dollari vengono trasferiti da giovani in difficoltà crescente a persone che, in molti casi, non ne hanno bisogno. Qualcosa non funziona".

Smettere di pagare le pensioni a un terzo degli anziani
Galloway non si riferisce solo a una questione morale, ma anche strutturale. Il sistema, sostiene, è stato concepito come meccanismo di ridistribuzione, ma ha finito per funzionare al contrario. I dati della Federal Reserve indicano che il 10% più ricco ha un patrimonio netto medio di 7,8 milioni di dollari. Per questo gruppo, la perdita di un sussidio mensile avrebbe avuto un impatto minimo o nullo sulla qualità della vita. Per molti giovani lavoratori, tuttavia, questo onere fiscale fa una differenza significativa.

Critica anche il tetto fiscale sui contributi previdenziali. Negli Stati Uniti, entro il 2025, saranno tassati solo i primi 176.100 dollari di reddito. Ciò significa che, in pratica, un CEO miliardario contribuisce al sistema nella stessa misura di un professionista della classe media.

Una delle proposte più popolari per affrontare i problemi finanziari della previdenza sociale è quella di eliminare il limite massimo per i redditi superiori a 400.000 dollari. Tuttavia, secondo gli esperti, anche questa misura ritarderebbe il collasso del fondo solo di circa 20 anni.

Organizzazioni come il Manhattan Institute, un think tank conservatore, sostengono in parte la tesi di Galloway: mantenere i benefici per i pensionati ad alto reddito comporta una redistribuzione regressiva. Secondo lui, continuare ad aumentare le tasse e i contributi per mantenere questi benefici è "uno dei più grandi e ingiusti trasferimenti di ricchezza intergenerazionali della storia".

La proposta di Galloway tocca una corda sensibile nel dibattito negli Stati Uniti e in un numero crescente di paesi: la previdenza sociale dovrebbe essere un diritto universale garantito dal versamento dei contributi oppure un sistema su misura per le esigenze di ogni individuo? La sua idea, seppur controversa, ci costringe ad affrontare una scomoda realtà: mantenere lo status quo delle pensioni potrebbe avere conseguenze altrettanto ingiuste, ma per le generazioni più giovani.