giovedì 5 giugno 2025

Hamas ha già vinto la sua guerra: delegittimare Israele e accreditarsi in Occidente, così ha ribaltato fatti e verità

@ - In tempi di guerra, ogni parola è un atto politico. Ogni immagine, ogni frame, ogni omissione contribuisce a modellare il campo simbolico e morale del conflitto. E nella guerra in corso tra Israele e Hamas, una battaglia si è già conclusa, ed è quella dell’informazione.

Hamas libera ostaggi israeliani

Nonostante la sproporzione militare evidente tra le parti, Hamas ha saputo mettere in campo una strategia comunicativa tanto sofisticata quanto spietata, che ha piegato la narrazione globale a suo favore. Non ha sconfitto Israele sul terreno, ma lo ha sconfitto nel tribunale dell’opinione pubblica. Quello che osserviamo non è un effetto collaterale della guerra: è parte integrante della strategia di Hamas.

Il gruppo terrorista islamista ha sempre saputo che la vera forza non risiede nelle armi – rudimentali o tecnologichema nella capacità di indirizzare il giudizio morale delle masse globali. E per farlo si è dotato, negli anni, di una rete estesa di alleati informali e formali: Ong internazionali che operano nella Striscia senza reale autonomia; opinion maker occidentali pronti a legittimare ogni resistenza purché anti-israeliana; attivisti embedded con l’agenda del gruppo; e soprattutto la galassia dei social, dove i contenuti virali contano più della verifica e della responsabilità editoriale. Hamas ha così trasformato la sofferenza della popolazione palestinese – innegabile e drammatica – in un’arma comunicativa. Le immagini dei bambini feriti, delle madri in lacrime, delle macerie sono state rimosse dal contesto, decontestualizzate, a volte artefatte, e rilanciate con un’unica cornice: quella del colonialismo israeliano, della repressione sionista, dell’apartheid. Una narrazione potente, semplificata, a tratti mitologica, che ha avuto l’effetto di occultare la realtà: ovvero che il conflitto è stato riacceso da un attacco terroristico deliberato, pianificato da mesi, con lo scopo dichiarato di uccidere civili, rapire bambini, umiliare e provocare Israele e interrompere un processo di pacificazione dell’area mediorientale.

Mentre gli Accordi di Abramo disegnavano infatti un nuovo scenario di cooperazione tra Israele e il mondo arabo, rompendo decenni di stallo diplomatico, Hamas ha risposto con la sola logica che conosce: la violenza. Eppure il Sabato Nero è già stato rimosso. Il dato più inquietante è che questa strategia ha funzionato anche grazie alla complicità di attori che si ritengono terzi o imparziali. Alcune Ong hanno rilanciato numeri e denunce provenienti da fonti controllate da Hamas senza alcuna verifica indipendente. Alcune testate giornalistiche – anche di grande prestigio – hanno rinunciato a contestualizzare, a confrontare le fonti, a interrogare le responsabilità. E nelle università, nei campus, nei talk show, si è affermata una forma di infantilismo morale che trasforma ogni espressione di vicinanza a Israele in una colpa, mentre si legittima ogni grido di odio e ogni ambiguità nei confronti del terrorismo.

Si è creato un vasto movimento di consenso a cui hanno aderito – più o meno spontaneamente – personaggi pubblici, influencer, opinionisti. E siccome di consenso spesso la politica si nutre, in molti hanno cavalcato questo mainstream. La guerra dell’informazione non è un gioco. È uno dei fronti decisivi di questo conflitto. E chi oggi rilancia contenuti manipolati, narrazioni distorte, accuse infondate, contribuisce attivamente a una campagna di delegittimazione che mira non solo a Israele, ma al concetto stesso di democrazia liberale in Medio Oriente. Hamas non vuole solo distruggere lo Stato ebraico: vuole distruggere la sua legittimità, la sua narrazione, la sua ragione d’essere.

La lucidità, in questo scenario, è un dovere morale. Non significa giustificare ogni azione militare, né chiudere gli occhi davanti alle vittime civili. Significa però comprendere che dietro le quinte di questo dramma umanitario c’è un’efficace e potente strategia di comunicazione che ha trasformato la verità in un campo di battaglia. E in quel campo, oggi, Hamas ha vinto. Non con i razzi. Ma con i post, i video virali, i silenzi complici e le mezze verità rilanciate da un sistema informativo troppo spesso prigioniero delle proprie ideologie. Per questo, oggi più che mai, servono voci capaci di resistere alla propaganda. Voci che rifiutino la semplificazione e rivendichino la complessità. Perché la pace, quella vera, non si costruisce sulla menzogna. E nemmeno sulla rimozione sistematica della realtà.

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