domenica 8 settembre 2024

La crisi nera della Francia: paura guerra civile: l'appoggio incondizionato all'Ucraina ha rovinato Macron

@ - Il giornalista Jean-Baptiste Noé scrive sulla rivista Limes n. 7/2024 che "Parigi vive il conflitto come umiliazione dell'autonomia strategica. Teme di dovervi inviare soldati non a combattere i russi, ma a evitare una guerra civile. La rinuncia alla diplomazia, lasciata a USA e Cina, è un affronto e un'ammissione di sconfitta"

La crisi nera della Francia: paura guerra civile: l'appoggio incondizionato 
all'Ucraina ha rovinato Macron
Storia di di Matteo Castagna

La crisi nera della Francia
L'esito del conflitto appare scontato, l’Ucraina è un paese materialmente distrutto, in cui il calo demografico si sta facendo sentire. Assomiglia molto ad un "protettorato" degli americani e della Ue. La Francia di Macron è tra le più grandi sostenitrici di Kiev, come si ricorderà dalle sue dichiarazioni, di pochi mesi fa, in merito all'intenzione di un intervento diretto dell'esercito francese, stoppato dalla NATO.

Le conseguenze del "buco nero" ucraino saranno certamente notevoli, anche se il Presidente sembra non volersene accorgere. Il primo problema di Parigi è la criminalità. Migliaia e migliaia di armi d'ogni genere sono arrivate in Ucraina. Una buona parte di esse non è stata usata per la difesa contro la Federazione Russa. La corruzione che regnava sovrana prima della guerra, è sensibilmente aumentata.

Le armi finiscono nelle mani di reti criminali che le rivendono ad altri soggetti. La Francia è la prima ad aver subito delitti con armi provenienti dall'Ucraina, come, ad esempio, una sparatoria a Marsiglia nel maggio 2023, a opera di trafficanti di droga.

Limes sottolinea che "episodi simili sono stati osservati a Grenoble in alcuni regolamenti di conti fra bande criminali. Il 14 maggio 2024 ha avuto luogo una spettacolare evasione in una stazione di pedaggio in Normandia: un cellulare è stato fermato da uomini in equipaggiamento militare che hanno abbattuto i due autisti e liberato il carcerato. Le armi impiegate nell’assalto erano di fabbricazione americana e di provenienza ucraina".

Già dal luglio 2022, Europol aveva avvertito che il contrabbando si sarebbe rivolto verso i paesi dell’Unione Europea. Armi ucraine sono state trovate anche in altri paesi europei: Svezia, Finlandia, Danimarca. Nel giugno 2023, i24 News ha riferito che ne sono state vendute anche all'Iran, a Hamas e Hezbollah.

Quando i combattimenti finiranno, torneranno forti tensioni politiche e sociali. Avvisaglie ci sono già state, tra il presidente e il suo ex capo di Stato maggiore, che hanno portato alla sostituzione di quest’ultimo. Il malcontento popolare, la sconfitta, le frontiere incerte, la disoccupazione, i morti saranno imputati a Zelensky e, giocoforza a Macron, che, non a caso, viene sconfitto alle elezioni e clamorosamente battuto dall'estrema destra di Marine Le Pen e dall'estrema sinistra di Mélenchon, entrambe formazioni politiche euroscettiche e a favore della pace. Non è escluso, a priori, che possa scoppiare una guerra civile, facendo piombare il paese nel caos.

"Le tensioni in corso in Ucraina dagli anni Dieci di questo secolo sono una forma di guerra civile che oppone ucraini che guardano alla Russia ad altri ucraini che guardano all’Europa". Questa divisione potrebbe provocare problemi di ogni genere, anche molto gravi e duraturi, in merito all'eventuale integrazione nella Nato o nell’Unione Europea, che la Francia di Macron sembrerebbe non voler vedere.

Anche la Chiesa ortodossa si è divisa, con la Chiesa di Kiev che ha proclamato l’autocefalia e si è separata da quella di Mosca, col conseguente riconoscimento da parte del patriarca di Costantinopoli. Lo spettro di motivazioni di carattere religioso si aggiungono all' inasprimen-to dei conflitti in Ucraina.

Tutta questa instabilità "potrebbe condurre a una destabilizzazione delle frontiere interne all’Unione Europea" - suggerisce Limes. "La Romania, l’Ungheria e la Polonia potrebbero essere tentate di recuperare territori e popoli un tempo sotto la loro giurisdizione. Non si tratta qui di fare del catastrofismo, bensì di ricordare che scenari simili si sono prodotti in passato – in paesi attraversati da guerre intense – e hanno sempre portato non solo alla rovina del teatro dei combattimenti ma pure di quelli vicini. Per evitarli bisogna conoscerli e prepararsi" - sostiene sempre Limes.

"Parigi si è infilata in un vicolo cieco diplomatico dal quale non sa come uscire. È nuovamente vittima della sindrome siriana. Il governo francese si è mostrato incauto nei confronti del presidente della Siria Baššār al-Assad, arrivando a invocare il suo rovesciamento". Nel 2013 si era offerto volontario per condurre un’operazione militare contro Damasco, annullata in extremis in seguito al rifiuto statunitense di parteciparvi.

Dieci anni dopo, Assad è ancora al potere, la Siria è stata reintegrata in diversi consessi internazionali e i paesi arabi hanno ripristinato le relazioni diplomatiche. "Ma Parigi non sa come rimettere in sesto i rapporti con Damasco senza dare l’impressione di una umiliante retromarcia" (Limes, n.7/2024)

Inoltre, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire aveva promesso di «mettere l’economia russa in ginocchio». Non è successo. Le sanzioni non hanno avuto l’effetto previsto: il potere di Vladimir Putin non si è indebolito e Mosca continua ad approvvigionarsi di armi. Di fronte al fallimento di questa politica, è la credibilità della Francia a essere pesantemente sconfitta, così come la sua influenza sulla scena europea e mondiale.

Parigi non è più in grado di costruire la pace in Europa, non ha più influenza in Russia e deve appoggiarsi a concorrenti, anzi ad avversari, come la Cina e la Turchia. Infine, dopo settimane di attesa e negoziazioni febbrili, la Francia ha un nuovo primo ministro. È Michel Barnier, già commissario europeo e capo negoziatore per conto di Bruxelles sulla Brexit. La scelta a cui è approdato il presidente Emmanuel Macron, dopo lunga esitazione, cerca di gestire una situazione senza precedenti all’Assemblea Nazionale, che è priva di una maggioranza. La scommessa di Macron, in altre parole, è che ‘Mr. Brexit’ utilizzi i suoi quasi 50 anni di esperienza politica, per costruire ponti e traghettare la Francia fuori dall’attuale stallo politico. Ma di fronte agli occhi dell'Europa e del mondo intero, la grandeur è tramontata definitivamente.

A tutto ciò aggiungiamo altri particolari, attendendo gli esiti delle analisi giornalistiche: Candace Owens, giornalista investigativa americana, si è espressa sull'inchiesta del giornalista Xavier Poussard sulla famiglia di Emmanuel Macron. Parlando, in generale, dei potenti, ha affermato in un video su Telegram: "la mia teoria è che mettono i pedofili e le loro vittime in posizioni di comando, in modo da poterli controllare, in tutto il mondo".

"Innanzitutto, non sappiamo molto di Macron. È cresciuto con la nonna e la casa in cui vivevano ora è chiusa. Questo è molto strano. Non ci sono fotografie di Macron con i suoi genitori fino all’età di 25 anni. Abbiamo scoperto che una donna di nome François Nogias, presentata come la madre di Emmanuel Macron, era responsabile di un programma medico per persone transgender in Francia. Questa informazione non è mai apparsa sui giornali. E ci sono testimonianze che abbiamo trovato, in cui le persone transgender ringraziano François Noguesse per questo programma. Dobbiamo anche ricordare che Macron, prima di diventare presidente, era un banchiere dei Rothschild. Ma non aveva le qualifiche per fare il banchiere".

giovedì 5 settembre 2024

Ue, la scossa di Draghi: “Cambiare o morire”

@ - Dal sogno americano, all’incubo europeo. C’è un’immagine che più di tutte ha toccato le corde emotive dei capigruppo al Parlamento europeo durante i novanta minuti di confronto con Mario Draghi. È comparsa quando l’ex premier ha confessato di avere “incubi” sul futuro dell’Europa, invitando di conseguenza i suoi interlocutori a fare subito ciò che serve per scacciare un incubo: svegliarsi.

DRAGHI SVELA IL REPORT, 'PER L'UE RIFORME SENZA PRECEDENTI'© ANSA

Lo ha fatto prima con gli ambasciatori dei 27 Stati membri – spronando i governi Ue a mettere da parte le divisioni per dar vita a «una cooperazione senza precedenti» – e poi con i leader politici dell’Eurocamera, ai quali ha anticipato a grandi linee i contenuti del rapporto sulla competitività che lo ha tenuto impegnato negli ultimi undici mesi. Il lavoro è ormai completo e nei prossimi giorni verrà consegnato a Ursula von der Leyen. Il passaggio nelle mani della presidente della Commissione avverrà simbolicamente lunedì verso l’ora di pranzo, con circa due mesi di ritardo rispetto ai piani iniziali. Ma Draghi non ha nascosto la soddisfazione per aver già ottenuto un paio di risultati: nel corso dei due incontri di ieri, secondo fonti qualificate, l’ex premier «ha fatto notare che molte delle sue idee hanno trovato posto nelle linee guida politiche presentate a luglio da von der Leyen per il suo secondo mandato» e che la sostanza del report «si rifletterà nelle lettere d’incarico ai commissari designati».

Soddisfazione che però non può trasformarsi in compiacimento, anche perché è stata proprio questa una delle principali critiche mosse da Draghi ai responsabili politici europei. Ha chiesto loro di agire «con urgenza» per evitare che l’Europa continui a perdere competitività a causa di quelli che nel corso dei suoi interventi ha definito come «freni strutturali»: ritardi nella capacità di innovazione, prezzi dell’energia più elevati rispetto ai concorrenti, scarsità di competenze, lentezza nella digitalizzazione e mancanza di capacità nel campo della Difesa comune. Bisogna dunque «riconquistare un vantaggio competitivo» per evitare di finire schiacciati dai principali concorrenti. Da un lato gli Stati Uniti, dall’altro la Cina, in mezzo un’Europa vaso di coccio. Ecco l’incubo dell’ex numero uno della Bce.

Consapevole che Ursula von der Leyen ha tutta l’intenzione di raccogliere il suo messaggio e di trasformarlo in vere e proprie proposte legislative, Draghi ha deciso di rivolgersi in anticipo ai protagonisti delle due istituzioni che dovranno occuparsi dell’approvazione dei vari provvedimenti. Il Parlamento europeo e soprattutto il Consiglio dell’Unione europea, dove siedono i governi. La giornata di ieri gli è servita per capire che nell’Eurocamera una convergenza è possibile: basti pensare che al termine dell’incontro il capogruppo dei popolari, Manfred Weber, e quello dei Verdi, Bas Eickhout, sono usciti insieme per dire sostanzialmente di essere sulla stessa linea rispetto all’analisi e alle soluzioni prospettate dall’italiano. E se i due estremi della nuova coalizione sono d’accordo, vuol dire che in Parlamento ci sono margini per consolidare un consenso. «Il fatto che la questione della competitività sia al primo posto – ha spiegato il capo del Ppe – per noi è un gran messaggio. Ma non ci ha parlato solo di numeri, bensì di valori europei». Al suo fianco, l’ecologista si è detto molto soddisfatto perché «Draghi ha insistito sulla necessità di mantenere la qualità dei servizi pubblici e del mercato del lavoro, inserendo la questione climatica tra i più importanti valori europei». Scettici gli eurodeputati della sinistra, ai quali si è accodato anche il Movimento 5 Stelle: secondo l’ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, «il rapporto Draghi non è all’altezza delle sfide».

Ma il cammino più ostico sembra essere quello del Consiglio. E a Draghi, qualora ce ne fosse bisogno, è bastato il confronto di ieri con il Coreper (il comitato dei 27 rappresentanti permanenti) per capire che le divisioni tra i governi potrebbero essere un grande ostacolo. Dopo il suo intervento, non meno di 20 ambasciatori hanno preso la parola srotolando il loro cahier de doléances in base alle rispettive priorità: unione dei mercati di capitali, prezzi dell’energia, inclusione sociale, transizione ecologica, sburocratizzazione, rimozione delle barriere nel mercato unico, promozione dell’industria della Difesa, rafforzamento della Coesione, politica commerciale, norme sugli aiuti di Stato, principio della neutralità tecnologica.

Draghi ha replicato, senza troppo entrare nel merito delle singole questioni e sorvolando sul nodo del debito comune, che in molte capitali resta un tabù. Ma ha evidenziato la necessità di dar vita a una cooperazione «senza precedenti» tra gli Stati membri e ha invitato i rappresentanti dei governi a prendere in considerazione «una riforma completa di tutte le istituzioni». Tra qualche giorno le sue proposte saranno di dominio pubblico: «Ora spetta a voi – si è congedato – portare avanti il lavoro e trasformare queste raccomandazioni in risultati concreti per i cittadini europei».

Ucraina, le dimissioni di Kuleba e la debolezza di Zelensky

@ - Cosa c’è dietro la raffica di dimissioni a Kyiv comprese quelle del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba? È un semplice, seppur ampio, rimpasto? Un cambio programmato da tempo? Una purga per eliminare pericolosi rivali, presenti e futuri? Un modo per sparigliare le carte nelle faide interne? Una risposta univoca non c’è, ma con grande probabilità alla verità si arriva sommando i vari fattori.

Ucraina, le dimissioni di Kuleba e la debolezza di Zelensky

Quello che è certo è se che mezzo governo viene sostituito, se all’interno dell’amministrazione e tra i vertici militari le girandole di poltrone sono all’ordine del giorno, se il cerchio magico di Volodymr Zelensky perde pezzi e a dettare il ritmo degli avvicendamenti un po’ ovunque è il suo alter ego, il capo dell’ufficio presidenziale Andryi Yermak, allora forse non tutto sta andando per il verso giusto. I cambiamenti non sono quasi mai un segno di forza, ma di debolezza, soprattutto in un Paese che sta affondando.

I cambi di guardia nelle forze armate, con Budanov pronto a sostituire Syrsky

Non è la prima volta che arriva un repulisti da quando è iniziata l’invasione russa: di pezzi piccoli e grossi il governo ne ha già persi per strada una decina, ora di quelli nominati nel 2019 non è rimasto quasi nessuno. E se i ministeri chiave (Interni, Esteri, Difesa, Giustizia, Finanze, Economia, Infrastrutture) sono prima o poi passati di mano, anche le forze armate hanno cambiato guida, con Valery Zaluzhny sostituito dal generale Oleksandr Syrsky lo scorso febbraio ed è ancora da vedere se quest’ultimo riuscirà a mangiare il panettone: l’esito dell’incursione ucraina nel territorio russo di Kursk deciderà il destino di Syrsky, con Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare, già pronto a prenderne il posto. Ovviamente l’andamento del conflitto determina promozioni e bocciature tra i vertici militari e influisce sugli equilibri politici a Kyiv.

Zelensky con l’azzardo dell’attacco in Russia sta ipotecando il sostegno degli Usa
Come nel settembre del 2023 il ministro della Difesa Olexey Reznikov aveva dovuto lasciare spazio a Rustem Umerov, dopo il fallimento della controffensiva tanto annunciata e mai vista, stavolta saltano in tanti, uno su tutto appunto Kuleba, forse il nome più inquietante tra i bocciati, visto che il ministro degli Esteri è stato fondamentale nelle relazioni con gli alleati occidentali; questo valeva in teoria anche per il generale Zaluzhny, che però ha finito a fare l’ambasciatore a Londra e a scrivere libri. Anche Kuleba, si dice, potrebbe intraprendere la strada diplomatica, magari a Bruxelles. Non ha nemmeno tutti i torti Maria Zakharova, la cinica portavoce del ministero degli esteri di Mosca, che commentando le dimissioni del ministro ha dichiarato: «Autunno, cadono le foglie e i rami si mostrano nudi». Questioni di errori sul campo o di rivalità con il presidente? Entrambe le cose: ed è per questo che appeso a un filo non è solo Syrsky, ma anche lo stesso Zelensky, che con l’azzardo dell’attacco in Russia sta ipotecando il sostegno degli alleati, soprattutto degli Usa.

Il presidente cala nei sondaggi e il terzo inverno di guerra è alle porte
Sia a Kyiv che nelle cancellerie occidentali sono molti i dubbi che l’incursione possa ribaltare il conflitto. Dopo un mese l’offensiva nella regione di Kursk si è fermata, la Russia da un lato la tiene sotto controllo senza troppa difficoltà né urgenza di respingerla, dall’altro prosegue l’avanzata nel Donbass. È qui che le forze ucraine paiono molto indebolite. I russi sono ormai alle porte di Pokrovsk e la strategia di Zelensky e Syrsky non sembra dare frutti. Il capo dello Stato sta calando vistosamente nei sondaggi, il governo del premier Denis Shmyhal non ha mai goduto di grande popolarità, l’elettorato è irrequieto e stanco della guerra, il prossimo inverno si annuncia ancora peggiore dei precedenti. I malumori alla Rada, il parlamento, non affliggono solo l’opposizione, ma serpeggiano anche tra le varie correnti della maggioranza e di Servitore del Popolo, il partito del presidente. Volodymyr Zelensky ha parlato di un nuovo capitolo, di nuova energia necessaria per affrontare anche questa fase del conflitto, con i prossimi mesi che saranno decisivi per capire come e se cambierà il supporto degli Stati Uniti dopo le Presidenziali di novembre. L’impressione è però quella di un presidente indebolito e in parte anche isolato, che rischia di diventare il prossimo, grande, capro espiatorio, soprattutto se la guerra continuerà sulla stessa piega e l’Occidente non vorrà intervenire se non per consigliare di mettersi al tavolo delle trattative con la Russia.

Notizie dai Giovani: "Le coltellate, l'accanimento, il vero obiettivo. ...

Notizie dai Giovani: "Le coltellate, l'accanimento, il vero obiettivo. ...: @ - " Da un punto di vista criminologico, la tragedia di Paderno Dugnano ci racconta in maniera drammatica la dinamica di un contesto ...

giovedì 29 agosto 2024

Regione Lazio, Rocca dà il via alla rivoluzione per fermare la fuga dei medici

@ - Questa casa (della salute) non è un albergo e, contro le «porte girevoli» dei continui passaggi di medici da un ospedale a un’Asl (e viceversa), ora arriva anche nel Lazio la clausola che stoppa il fuggi-fuggi dei camici bianchi neo-assunti almeno nel loro primo quinquennio da dipendenti. 


La Regione ha infatti approvato una «nuova procedura di autorizzazione all’assunzione del personale del Servizio Sanitario Regionale». Stabilendo che ogni «bando di concorso deve prevedere la clausola per cui il vincitore della procedura si impegna a rimanere in servizio presso l’Azienda di destinazione per almeno 5 anni». Una novità che arriva dopo «l’elevato numero di graduatorie concorsuali, a valenza regionale, nelle quali numerosi candidati idonei hanno rinunciato all’assunzione a causa della sede di destinazione, rendendo di fatto vana la procedura di reclutamento con valenza regionale».

Perché c’è chi, come può, migra subito nelle aziende ospedaliere più prestigiose, lasciando troppi organici scoperti, soprattutto nelle aziende più periferiche delle 5 province. Per questo motivo ora la Regione, per cercare di «ridurre il pendolarismo dei professionisti della salute», valuterà «caso per caso, l’opportunità di autorizzare la procedura concorsuale in forma singola o aggregata tra più Aziende, la cui graduatoria possa avere valenza regionale tenendo conto delle peculiari esigenze assunzionali delle diverse aziende presenti sul territorio e dell’elevato numero di differenti profili professionali e discipline mediche da reclutare». Come al Pronto Soccorso del policlinico Tor Vergata che, «per fronteggiare gravi e perduranti carenze di personale medico deputato alla gestione delle attività assistenziali nell’ambito dell’Area dell’Emergenza - Urgenza per dimissioni/trasferimenti» non ha trovato, in tutta la Regione, una graduatoria aperta dove poter attingere per coprire il fabbisogno immediato. A scriverlo è la stessa azienda che, «a fronte dell’impossibilità di ricorrere a graduatorie di concorso/avviso nella disciplina, come dimostrato dall’inutile tentativo di acquisire le unità autorizzate dalla Regione Lazio mediante le graduatorie di merito del Concorso pubblico per la copertura a tempo pieno e indeterminato di 152 posti di Medico» del gennaio scorso, si è trovata costretta a indire un «avviso pubblico per la copertura a tempo determinato di 13 posti di Medico».

Anche all’ospedale Sant’Andrea sono aumentati i buchi e le conseguenti «esigenze di copertura della turnazione del pronto soccorso e di soddisfazione dei livelli clinico-assistenziali impongono di aumentare il numero degli incarichi libero professionali». Quindi l’azienda ha dovuto «aumentare a 16 il numero degli incarichi libero professionali da attribuire a medici da destinare al Dipartimento D’Emergenza e Urgenza». Bottino ben più magro per il «Grassi» di Ostia: solo un medico per il pronto soccorso e 4 per i codici minori (bianchi e verdi) nel bando aperto anche ai camici bianchi in pensione. Mentre al San Camillo, «stante il perdurare della grave carenza di organico», l’azienda ha dovuto approvare un «Progetto di produttività aggiuntiva volto a garantire la copertura dei turni del Pronto Soccorso», con gettoni ai medici interni disponibili a fare gli extra «pari a 80 euro l’ora». Gettoni esterni, invece, nell’Asl Roma 5 di Tivoli che, «in considerazione del perdurante stato di grave carenza in organico di 22 medici», ha provveduto alla «aggiudicazione servizio di guardia attiva di pronto soccorso diurna e/o notturna con turni di 12 ore occorrente al dipartimento di emergenza urgenza, per un importo di un milione e 100 mila euro» ai camici bianchi gettonisti presi in «noleggio» da una società privata.

martedì 27 agosto 2024

Vent'anni persi appresso a Saviano & C

@ - Non un facinoroso populista, bensì uno dei leder della sinistra europea, nonché capo del governo della Germania, il cancelliere Olaf Scholz, ha usato ieri le parole forse più dure pronunciate da un leader europeo contro l'immigrazione e l'islamismo.

Vent'anni persi appresso a Saviano & C© Fornito da Il Giornale

A poche ore dall'attentato di Solingen da parte di un clandestino estremista di Allah che ha provocato tre morti e otto feriti, Scholz ha parlato di «rabbia contro gli islamisti» e ha annunciato un piano per accelerare le espulsioni per chi non ha diritto di vivere in Germania. La novità è che per la prima volta si esce da quel politicamente corretto che negli ultimi anni ha anestetizzato l'Occidente e si chiamano le cose con il loro nome: non ci può essere diritto di cittadinanza per chi pensa di islamizzare, per di più usando la violenza, l'Europa. Né per chi in Europa pensa di poterci stare a prescindere dal rispetto delle leggi.

Il timore è che si provi a chiudere le stalle quando i buoi sono scappati, modo contadino di definire rimedi presi troppo tardi. Ma almeno sul piano politico e culturale la scossa si è sentita e forse l'Italia i cui governi da tempo denunciano l'insostenibilità della situazione da oggi sarà meno sola. Non bisogna peraltro essere particolarmente esperti per dire che senza misure drastiche e condivise a livello europeo la situazione non potrà che peggiorare. Non tanto e non solo per i flussi incessanti, ma per il rischio di saldature tra immigrati radicalizzati allo sbando, movimenti locali di estrema sinistra che inneggiano alla rivoluzione anche armata contro «sionisti e imperialisti», tornati particolarmente attivi questa estate, e manovre destabilizzanti più o meno occulte della Russia in tutta Europa.

Già nel 2001, all'indomani dell'attentato alle Torri Gemelle, Oriana Fallaci vide chiaramente il pericolo e lo denunciò con forza nel suo famoso libro «La rabbia e l'orgoglio». Fu inascoltata, fatta passare per matta, razzista e pure fascista. Stessa sorte hanno avuto in Italia quei politici e intellettuali che hanno provato a mettersi in scia della scrittrice. Abbiamo perso venti e passa anni appresso alle follie di Roberto Saviano e soci, oggi un leader socialista esprime lo stesso concetto. Benvenuto, gli risparmiamo la domanda: «Ma dove sei stato finora?». Ma va bene così, meglio tardi che mai.