@ - Le lezioni alla «Kim Il Sung University » sono sospese e gli studenti sono confinati nei campus o nelle loro case;
le strade di Pyongyang si sono svuotate e ristoranti, bar dove usualmente i cittadini amano sedersi al sole di maggio prendendo una birra o mangiare i naengmyeon, sono chiusi. Dopo più di due anni durante i quali il Paese ha fronteggiato con un certo successo l’espandersi della pandemia del coronavirus, la subvariante Omicron BA.2 ha fatto breccia nella nazione espandendo l’infezione in tutte le province. Il governo ha dichiarato il confinamento e la quarantena per i cittadini contagiati, che hanno ormai superato, secondo i dati ufficiali, 1.700.000 unità provocando 62 morti. Non sono però stati chiusi i servizi produttivi, come le industrie e le cooperative agricole.
Più del virus, Pyongyang teme la contrazione economica, che nel 2021 ha confermato il calo del 4,5% segnato l’anno precedente dopo che, fino al 2019, le riforme liberali volute da Kim Jong Un avevano creato le basi per un’espansione che aveva raggiunto livelli cinesi con un aumento del Pil del 5-8% annuo. Dopo aver affermato che «il nemico più pericoloso per noi non è il virus, ma l’ignoranza, la mancanza di fede e di determinazione », Kim Jong Un ha strigliato, come ormai sua abitudine, gli stessi dirigenti del partito, colpevoli di «rilassamento, irresponsabilità, inefficienza e sbagli amministrativi ».
Dal gennaio 2020 le frontiere della nazione sono chiuse e le merci passano con il contagocce. Il commercio con Pechino è crollato dell’80% rispetto al periodo prepandemia e gli scaffali dei centri commerciali, prima zeppi di prodotti cinesi, sudcoreani e giapponesi, oggi sono vuoti. I turisti, che nel 2019 avevano raggiunto le 350.000 visite annuali portando nelle casse dello Stato 175 milioni di dollari, si sono azzerati e il treno che mi avrebbe dovuto portare da Pechino a Pyongyang, dopo quattro mesi dal suo ripristino è stato di nuovo soppresso e gli unici collegamenti con l’esterno sono mantenuti dai pochi voli della Koryo Airlines. Sull’aereo siamo meno di una decina di persone e all’aeroporto di Pyongyang i controlli sono veloci e sbrigativi. Il funzionario di dogana mi consegna un documento che obbliga a indossare la mascherina, rispettare la distanza di sicurezza, non uscire dall’hotel se non necessario.
La lotta al coronavirus, definita già nel 2020 come decisiva per la «sopravvivenza nazionale», è stata imbastita ricalcando le orme delle esperienze passate quando la quarantena a merci e persone era stata imposta con successo prima nel 1947 per contrastare l’epidemia di colera dalla Corea del Sud, poi nel 2002 per fermare la Sars dalla Cina e infine nel 2014 quando ebola apparve in Africa (Pyongyang ha rapporti economici con diversi Paesi africani). «Tutto sembrava procedere bene e forse è stata proprio la troppa sicurezza che ci ha fatto abbassare la guardia» spiega la guida che mi è stata assegnata. Ciò che ha fatto scatenare il virus, secondo le stesse fonti ufficiali, sarebbe stata la parata militare del 26 aprile, che ha fatto mobilitare e confluire sulla capitale migliaia di persone da tutte le provincie.
I nordcoreani starebbero lavorando per riattivare un reattore capace di produrre 55 kg di plutonio-239 l’anno. L’arsenale nucleare potrebbe arricchirsi di una dozzina di ordigni l’anno
Nell’aprile 2021, Kim Jong Un ha evocato l’Ardua marcia, la tremenda carestia che colpì la nazione negli anni Novanta e che portò alla morte centinaia di migliaia di nordcoreani, invitandoli ad unirsi attorno al partito per fronteggiare il coronavirus. Un rapporto della Fao afferma che il 42% dei nordcoreani soffre di denutrizione e, anche se le razioni del Servizio di distribuzione pubblica sono state reintrodotte dopo anni in cui lo Stato non era stato in grado di provvedere all’assistenza dei propri cittadini, le quantità non raggiungono mai i livelli nominali e, soprattutto, gli alimenti non hanno una dieta equilibrata portando molto spesso alla malnutrizione.
Il terrore della Corea del Nord verso le merci straniere si è riversato anche sugli aiuti umanitari e medici, tanto che l’Oms e l’Unicef hanno enormi difficoltà a convincere i funzionari del Paese ad accettare medicinali provenienti dall’estero. Ad oggi solo 64.200 test sono stati effettuati sull’intera popolazione. A questo si aggiunge un sistema sanitario al collasso a cui Kim Jong Un sta cercando di porre rimedio con una campagna di informazione e di costruzione di nuovi complessi ospedalieri, policlinici, stazioni anti epidemiologiche che ha, fino ad oggi, dato buoni risultati. L’Oms rivela però che su 25 milioni di abitanti, 8,7 milioni di persone hanno accesso limitato a servizi sanitari adeguati. Ma non servono solo medicinali, ospedali, dispensari: molti villaggi non hanno corrente elettrica e quelli più sperduti neppure acqua potabile, il che ha aumentato negli ultimi due anni i casi di diarrea e di polmoniti. I tempi della collaborazione tra Kim, Trump e Moon Jae-in sembrano lontani, ma la penisola coreana ci ha abituati alle sorprese
Il governo ha sino ad oggi rifiutato i vaccini offerti dai governi occidentali, dall’Oms e dall’Unicef per diverse ragioni: non dover sottostare all’obbligo richiesto dalle agenzie internazionali di avere dettagliati rapporti sull’andamento della pandemia, orgoglio nazionale e, non ultimo, l’occasione che la classe più conservatrice nel rallentare, se non a fermare, la liberalizzazione sociale ed economica avviata dallo stesso Kim. A Kaechon, nel nord del Paese, il jangmadang, il mercato dove i privati possono vendere i loro prodotti e che sono fioriti in tutte le province, di solito colmo di merce, è oggi quasi vuoto. Il riso, che a Pyongyang viene venduto a 4.500 won al chilo (un dollaro equivale a 7.500 won al mercato nero), qui costa 3.500 won «ma solo quattro mesi fa» mi dice una cameriera del bar in cui ci fermiamo a bere una birra, «costava 1.200 won al chilo». Il mais, venduto a 2.000 won al kg nella capitale, qui schizza a 4.500 won. Queste fluttuazioni di prezzi riflettono un mercato estremamente settorializzato ed in cui la mobilità dei beni è minima.
Le ambizioni, declamate da Kim Jong Un all’inizio dell’anno secondo cui la Corea del Nord 'risolverà una volta per tutte e definitivamente il problema ali- mentare' sembrano rimaste lettera morta. In compenso il Paese ha intensificato i test missilistici: dall’inizio del 2022 sono ben 12 i lanci effettuati, di cui uno, quello del 24 marzo, avrebbe riguardato un Icbm Hwasong- 17 (il condizionale è d’obbligo perché vi sono forti dubbi a riguardo). Vi sono inoltre evidenze che i nordcoreani stiano lavorando per riattivare il reattore Lwr da 50 Mw della centrale nucleare di Yongbyon 2, capace di produrre 55 kg di plutonio-239 all’anno. Se così fosse, l’arsenale nucleare di Pyongyang potrebbe arricchirsi di una dozzina di ordigni ogni anno. Anche nel sito dei test nucleari di Punggye-ri, la cui distruzione avvenuta nel maggio 2018 era stata indicata come il primo passo per la denuclearizzazione della Corea del Nord dopo i colloqui di Singapore con l’allora presidente Trump, sono iniziati i lavori di ripristino del Tunnel 3, in cui era stato condotto il test nucleare nel 2013.
Tutti questi indizi, secondo il Dipartimento di Stato Usa e i servizi segreti sudcoreani, indicherebbero che Pyongyang starebbe preparando il suo settimo test nucleare. Di fronte alla possibilità di un’escalation nella penisola, il ministro della Difesa sudcoreano Suh Wook ha avvisato Pyongyang che le forze di Seoul possono «colpire in modo rapido e accurato ogni obiettivo » nel Nord aggiungendo che il Sud sta sviluppando un sistema di difesa missilistica di ultima concezione in grado di «rispondere in modo schiacciante alla minaccia missilistica del Nord». Il commento di Suh è stato rintuzzato da Kim Yo Jong, sorella di Kim Jong Un e vicedirettore del Comitato Centrale del Partito dei lavoratori di Corea, la quale ha detto che se il Sud «opta per la soluzione militare (...) le nostre forze nucleari faranno il loro dovere». I tempi di distensione e collaborazione tra Kim, Trump e Moon Jae-in sembrano ormai lontani, ma la penisola coreana ci ha abituati a continue sorprese.
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