venerdì 11 luglio 2025

Roma, gli “zombie” che passeggiano sul Raccordo Anulare “fatti” di eroina Cobret

@ - Un 40enne è stato fermato mentre girovagava sul Grande Raccordo Anulare di Roma a piedi. Non è l’unico. La Polizia locale ne ha intercettati altri cinque. Camminavano sulla strada barcollando e gli automobilisti se li vedevano spuntare davanti all’improvviso. «Mi sono imbottito di cobret, d’eroina e poi l’alcol…», ha detto agli agenti mentre vagava scalzo. La droga si chama Cobret, un oppiaceo conosciuto come scarto dell’eroina. Non si inietta ma si inala dopo aver fatto squagliare la polvero su un cucchiaio. I fumi escono fuori a serpentina, ricordando la forma del cobra.


L’eroina Cobret
Il Messaggero dice che un poliziotto lo ha incontrato mentre stava sulla rampa del Raccordo dalla via Casilina. Il ragazzo era disperato e convinto di essere sulla strada per Fiuggi alla ricerca della comunità alloggio da cui era scappato. «Non mi può aiutare nessuno, solo don Matteo, devo andare da lui», ripeteva. Quello era il secondo zombie della giornata. Altri quattro erano stati trovati nei giorni precedenti. Tutti in crisi psicofisica e pronti a comportamenti pericolosi per sé e per gli altri. L’idea degli investigatori è che in prossimità degli svincoli del Gra ci siano accampamenti e stamberghe in cui viene spacciata la droga «degli scarti».

La droga
La professoressa Sabina Strano Rossi, associato di Tossicologia Forense e Medicina Legale dell’Università Cattolica, spiega al quotidiano che il cobret è «una forma di eroina, proveniente probabilmente da scarti della produzione di eroina o comunque contenenti residui di lavorazione tossici». Sul mercato si trovano a prezzi piuttosto bassi: «Gli effetti maggiori sono di natura comportamentale, con evidenti alterazioni psicofisiche. Questo tipo di droghe producono gli stessi effetti e lo stesso grado di dipendenza dell’eroina con tutte le conseguenze neurobiologiche e comportamentali che ne conseguono e sono altamente tossiche».

L'assunzione
«Questo tipo di droghe possono essere fumate (come nel caso della cocaina crack), oppure possono essere introdotte per via sottocutanea o intravenosa, tramite iniezione. Possono essere mescolate ad altre sostanze, che ne potenziano l’attività tossica. In questi casi viene ricercata un’amplificazione degli effetti. Infine possono essere usate insieme ad alcolici o a farmaci sedativi (legalmente in commercio), che possono potenziare alcune reazioni», spiega Strano Rossi. «Il principale danno provocato dalle droghe che appartengono alla categoria degli oppiacei riguarda il sistema nervoso centrale. Si parla dunque di modificazioni del comportamento. L’uso prolungato di queste droghe porta a marcata dipendenza fisica e l’assunzione di tutti gli oppiacei può portare ad una depressione respiratoria, ovvero di una diminuzione della frequenza e della profondità del respiro, una reazione avversa che può portare a conseguenze fatali, se non trattata in tempo e adeguatamente», aggiunge.

La dipendenza
Infine: «C’è il grave danno legato alla dipendenza: con queste sostanze può avvenire nell’arco di poco tempo dal momento in cui si inizia a farne uso. Bisogna anche considerare le eventuali infezioni, al livello polmonare nel caso in cui la sostanza venga assunta per inalazione. Non è raro che si crei una necrosi del punto di inoculazione quando introdotta per via sottocutanea. Le droghe che contengono sostanze di scarto hanno effetti altamente tossici ancor più elevati rispetto alle altre preparazioni delle medesime droghe poiché contengono molte impurezze».

mercoledì 2 luglio 2025

La super intelligenza medica di Microsoft: «Diagnosi complesse 4 volte più precise rispetto ai medici»

@ - È arrivato il momento della super intelligenza medica? Mustafa Suleyman, amministratore delegato della divisione intelligenza artificiale di Microsoft sostiene di sì. In un'intervista al Financial Times, contemporanea alla pubblicazione dei dati della ricerca sul sito dell'azienda (e non su una rivista scientifica) ha annunciato che il nuovo potente strumento di intelligenza artificiale è stato in grado di diagnosticare malattie complesse con una precisione quattro volte superiore rispetto a un gruppo di medici in carne ed ossa. E anche i costi sarebbero stati inferiori in modo significativo.


La super intelligenza medica di Microsoft: 
«Diagnosi complesse 4 volte più precise rispetto ai medici»
Tuttavia Microsoft, pur evidenziando i potenziali risparmi sui costi, ha minimizzato le implicazioni occupazionali, affermando che l'intelligenza artificiale potrà integrare il lavoro dei medici piuttosto che sostituirlo. «Il loro ruolo clinico è molto più ampio della semplice diagnosi. Devono destreggiarsi nell'ambiguità e costruire un rapporto di fiducia con i pazienti e le loro famiglie, in un modo che l'IA non è in grado di fare» scrive l'azienda. Il colosso informatico non ha ancora deciso se proverà a commercializzare la nuova tecnologia, ma certamente nei prossini anni serviranno ulteriori test per dimostrane l'efficacia.

Il nuovo «orchestratore diagnostico» si chiama MAI-DxO ed è la prima iniziativa nata dalla divisione sanitaria basata sull'intelligenza artificiale creata l'anno scorso da Mustafa Suleyman con personale prelevato da DeepMind, il laboratorio di ricerca da lui co-fondato e ora di proprietà della rivale Google. Secondo Suleyman la «super intelligenza medica» potrebbe contribuire a risolvere le crisi di personale e i lunghi tempi di attesa nei sistemi sanitari sovraccarichi.

MAI-DxO crea panel virtuali composti da cinque agenti di intelligenza artificiale che agiscono come veri medici (ognuno di loro ha un ruolo specifico come ad esempio scegliere i test diagnostici o formulare ipotesi) che interagiscono tra loro e «dibattono» per individuare una linea di azione.

Per testare le capacità di MAI-DxO, la superintelligenza artificiale ha analizzato 304 «case Report» pubblicati sul New England Journal of Medicine (NEJM), una delle riviste di salute più prestigiose al mondo. I «case report» sono situazioni cliniche complesse che la rivista propone ogni settimana per mettere alla prova le capacità diagnostiche dei medici di tutto il mondo.

L'«orchestratore diagnostico» ha imitato il percorso a step che in genere svolge un medico per arrivare alla diagnosi (il test è stato chiamato Sequential diagnosis benchmark), trasformando questi studi in «sfide interattive». Non si è trattato dunque di rispondere a domande a scelta multipla, ma di seguire un vero percorso di diagnosi, partendo dai sintomi e ponendo domande specifiche, con prescrizione e valutazione di esami per arrivare alla diagnosi definitiva. Ad esempio, un paziente con sintomi di tosse e febbre potrebbe richiedere esami del sangue e una radiografia del torace prima che il medico arrivi a una diagnosi di polmonite.

Microsoft ha utilizzato i principali modelli linguistici di OpenAI, Meta, Anthropic, Google, xAI e DeeepSeek. L'orchestratore ha migliorato le prestazioni di tutti gli LLM, risolvendo correttamente l'85,5% dei case report del NEJM.

I 21 medici coinvolti nella valutazione (provenienti da Regno Unito e Stati Uniti) hanno ottenuto in media il 20% di diagnosi corrette. tuttavia, è da sottolineare che ai professionisti che hanno partecipato allo studio è stato chiesto di non consultare libri, di non chiedere supporto a colleghi e di non utilizzare strumenti aggiuntivi per la diagnosi, tutte situazioni che avrebbero certamente aumentato il tasso di successo «umano», dal momento che consultare colleghi è una normale prassi quando le diagnosi sono particolarmente complesse. Inoltre i medici potrebbero aver tenuto conto di altri fattori come ad esempio la tolleranza del paziente a una determinata procedura o alla disponibilità di un particolare strumento diagnostico che magari l'AI ha dato per scontati.

La tecnologia è chiaramente ancora alle fasi iniziali, non è ancora stata sottoposta a revisione paritaria e non è pronta per «entrare in ospedale». Tuttavia il lavoro è stato salutato con un certo entusiasmo da buona parte della comunità medico-scientifica. «È uno studio epocale - ha affermato Eric Topol, cardiologo, fondatore e direttore dello Scripps Research Translation Institute - e sebbene questo studio non sia stato condotto nel contesto della pratica medica reale è il primo a fornire prove del potenziale di efficienza dell'IA generativa in medicina: accuratezza e risparmio sui costi». Secondo David Sontang la ricerca è importante non solo perché rispecchia fedelmente il modo in cui i medici operano, ma anche perché affronta in modo rigoroso i possibili problemi nelle metodologie. Per confermare le potenzialità di MAI-DxO sono comunque tutti d'accordo: il nuovo strumento diagnostico va testato sul campo, con pazienti reali e non «case report». Solo a quel punto sarà effettivamente possibile confrontare la sua efficacia rispetto ai medici in carne ed ossa e valutare in modo rigoroso i costi.

Del resto è già noto che l'intelligenza artificiale è capace di fare una diagnosi, anche meglio degli umani. Tuttavia i modelli di AI, pur ottenendo punteggi eccellenti nei test medici, non riescono a supportare efficacemente persone comuni in situazioni realistiche, come emerso anche in un recente lavoro dell'Università di Oxford. L'AI conosce la medicina, ma è per ora poco capace di comunicare con l'uomo. Nella realtà le persone descrivono i sintomi spesso in modo confuso e incompleto, mentre nei test di studio l'AI riceve istruzioni (prompt) molto accurati e ben scritti ed è proprio qui che emerge il gap tra la mera conoscenza medica e la capacità pratica e di comunicazione che, almeno per ora, solo un medico vero può avere.

lunedì 23 giugno 2025

Hormuz: l’Iran, la risposta agli Usa e il blocco dello stretto su cui transita il 20% del petrolio mondiale

@Alì Khamenei deve dare il via libera alla chiusura. Che porterebbe a un aumento di 5-6 dollari al barile del brent. I rischi per l'economia cinese e per quella europea

 

Sarà lo stretto di Hormuz la risposta dell’Iran all’attacco Usa? Attraverso lo stretto transita il 20% del petrolio mondiale. Teheran produce circa 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno: è il nono produttore mondiale. E di questo ne esporta poco meno della metà (1,5 milioni). L’Iran ha promesso di difendersi il giorno dopo che gli Stati Uniti hanno sganciato bombe bunker-buster da 30.000 libbre sulla montagna sopra il sito nucleare iraniano di Fordow. 
L’emittente iraniana Press TV ha affermato che la chiusura dello stretto richiede l’approvazione del Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale, organismo guidato da un membro nominato dalla Guida Suprema iraniana, l’Ayatollah Ali Khamenei.

Il prezzo del petrolio
Chiudere lo stretto può far schizzare alle stelle i prezzi globali del petrolio, far deragliare l’economia mondiale e provocare un conflitto con la Quinta Flotta della Marina statunitense, di base nel Golfo e incaricata di mantenerlo aperto. Gli analisti di mercato hanno affermato che il greggio dovrebbe aumentare di 3-5 dollari al barile alla ripresa delle contrattazioni. Gli esperti di sicurezza hanno a lungo avvertito che un Iran indebolito potrebbe anche trovare altri modi non convenzionali per contrattaccare, come attentati o attacchi informatici.

La Cina
Il segretario di Stato americano Marco Rubio ha invitato la Cina a sollecitare l’Iran a non chiudere lo Stretto di Hormuz in risposta agli attacchi di Washington contro i siti nucleari di Teheran. «Incoraggio il governo cinese a contattarli in merito, perché dipendono fortemente dallo Stretto di Hormuz per il loro petrolio», ha detto Rubio, che è anche consigliere per la Sicurezza nazionale, parlando a Fox News dopo che il Parlamento iraniano ha approvato il blocco strategico dello Stretto attraverso cui transita oltre il 20% di petrolio e gas mondiale demandando la decisione finale al Consiglio supremo di sicurezza nazionale.

Una immagine cartografica dello Stretto di Hormuz tratta da Google Maps. Lo stretto divide la penisola arabica dalle coste dell’Iran, e mette in comunicazione il Golfo di Oman a sud-est, con il Golfo Persico ad ovest. GOOGLE MAPS / ANSA

Il precedente
Il Global Times, il tabloid del Quotidiano del Popolo, ha già reagito criticando duramente in un editoriale l’intervento americano del fine settimana pro Israele. E osservando che «ciò che le bombe Usa hanno colpito è il fondamento dell’ordine di sicurezza internazionale. Attaccando gli impianti nucleari sotto la tutela dell’Aiea, Washington ha creato un pericoloso precedente». E ha detto che una volta che lo stretto «sarà bloccato dalla guerra, i prezzi internazionali del petrolio sono destinati a fluttuare drasticamente, mentre la sicurezza del trasporto marittimo globale e la stabilità economica dovranno affrontare serie sfide».

La palla nel campo di Teheran
Secondo Reuters adesso la palla è nel campo di Teheran. Che non ha ancora colpito nessun sito statunitense. Il petrolio è in rialzo di quasi il 2%, ma ben lontano dai picchi iniziali di cinque mesi, poiché gli analisti notano che l’OPEC ha un’ampia offerta extra da aggiungere se lo desidera. I future sulle azioni di Wall Street sono in calo dello 0,3%, dopo aver iniziato con perdite dell’1%, mentre i future europei sono in calo di circa lo 0,4%.

Il dollaro è leggermente più forte rispetto all’euro e allo yen, riflettendo la dipendenza dell’Ue e del Giappone dalle importazioni di petrolio e GNL e lo status degli Stati Uniti come esportatore netto. I rendimenti dei titoli del Tesoro sono leggermente in rialzo, quindi non ci sono molte offerte di titoli rifugio. Mentre i future sui fondi federali sono in calo, probabilmente a causa del rischio che un aumento sostenuto dei costi energetici possa aumentare la pressione inflazionistica proprio mentre i dazi si fanno sentire sui prezzi.

I prezzi al top
Ma i prezzi del petrolio sono balzati aggiungendo il livello più alto da gennaio. Hanno segnato prima un rialzo del 4% poi hanno ripiegato. Sui circuiti asiatici il Brent ora passa di mano a 77,90 dollari al barile in progresso dell’1,16%. I future sul WTI avanzano dell’1,18% a 74,71 dollari. Secondo Goldman Sachs, il Brent potrebbe raggiungere un picco di 110 dollari al barile se il flusso di petrolio attraverso lo stretto di Hormuz venisse dimezzato per un mese, per poi rimanere in calo del 10% nei 11 mesi successivi. La banca d’affari continua a non prevedere interruzioni significative dell’approv-vigionamento di petrolio e gas naturale. Dall’inizio del conflitto tra Iran e Israele, il Brent è aumentato del 13% mentre il WTI ha guadagnato circa il 10%.

domenica 15 giugno 2025

Perché l'Iran è un nostro nemico

 @Nel febbraio 1979 l'Unità, quotidiano ufficiale del partito comunista italiano guidato da un Enrico Berlinguer oggi di fatto beatificato, prese una delle sue tante cantonate: scambiò la imminente vittoria dei rivoltosi khomeinisti sul regime monarchico di Teheran con un trionfo dei poveri sui ricchi.


Non vide, e con essa il solito stuolo di presuntuose anime belle «de sinistra», l'evidente germe di una dittatura fondata su un retrogrado fanatismo religioso, ma volle credere che la svolta in Iran fosse «una travolgente vittoria popolare» che apriva la strada come da titolo di un editoriale che oggi fa cadere le braccia a «una via inesplorata delle rivoluzioni» nel resto del mondo.

Quarantasei anni di dittatura islamica sciita si sono incaricati di smentire queste ridicole illusioni, ma ancora oggi in Occidente c'è chi blatera soprattutto nelle università e nei quartieri benestanti delle grandi città - di islamo-gauchismo come di un'alternativa rivoluzionaria al maledetto capitalismo. Ma qui non ci perderemo in polemiche contro i Foucault di ieri e i Mélenchon di oggi, solo per citare due nomi. Vogliamo invece ricordare cosa sia stata realmente la Repubblica islamica dell'Iran a partire da quel fatale 1979 e spiegare perché, oggi più che mai, essa rappresenti una minaccia esistenziale non solo per Israele, ma per l'Occidente intero.

Certamente lo Shah Reza Pahlevi, amico degli americani fautore di una relativa occidentalizzazione dei costumi in Iran, non era un esempio di democraticità. La sua polizia, il Sadek, perseguitava gli oppositori e maltrattava i mullah, i preti sciiti in cui lo Shah vedeva un simbolo di arretratezza. E non esitava a sparare sulla folla in caso di proteste di piazza, di solito aizzate da quegli stessi mullah. Ma quando l'ayatollah Khomeini prese il potere a Teheran arrivando direttamente in aereo da Parigi dove era vissuto in dorato esilio, le sciocche illusioni sull'inizio di un'era di nuova libertà per gli iraniani si sciolsero come neve al sole.

Dapprima la folla esultò per le uccisioni sommarie degli aguzzini del deposto regime, ma i nuovi padroni dell'Iran instaurarono una loro legge ben più spietata, quella islamica della Sharia. Frustate in pubblico alle donne che vestivano all'occidentale, massacri di oppositori nemici di Dio e di omosessuali, repressione spietata di studenti e intellettuali. E da subito, il nuovo regime guidato da quel vecchio barbuto col turbante nero sempre in posa ieratica impose le sue terribili parole d'ordine in politica estera: morte a Israele e morte all'America, ribattezzati il Piccolo Satana e il Grande Satana.

Già in quel 1979 che vide l'esordio della Repubblica Islamica dell'Iran, Khomeini mostrò al mondo in che cosa stava trasformando il Paese che fino a pochi mesi prima era stato una pietra angolare del sistema di alleanze americane in Medio Oriente. Lo fece ordinando il sequestro di oltre 50 membri del personale dell'ambasciata Usa a Teheran, gesto scioccante che di fatto costò la rielezione al presidente Jimmy Carter: la prigionia durò 15 mesi e terminò solo per le aperte minacce a Khomeini del successore di Carter, l'assai più risoluto Ronald Reagan. Contemporaneamente, veniva creato un sistema di esportazione della rivoluzione in giro per il Medio Oriente, che continua a tutt'oggi con il finanziamento e l'armamento di milizie sciite fanaticamente nemiche dei Satana piccoli e grandi: da Hezbollah in Libano a Hamas nei territori palestinesi, dagli Houthi in Yemen ai gruppi armati iracheni.

Intanto, l'Iran si era mutato in una teocrazia sciita. Il che significa un dramma per il popolo iraniano come per la pace nel mondo. All'interno, questo potere assoluto ha azzerato le libertà civili e politiche, concedendo strapotere a una polizia religiosa che scorrazza armata nelle città e impone con la violenza il rispetto di regole restrittive soprattutto alle donne, il cui primo dovere è «manifestare modestia». Abbiamo assistito per decenni all'uso di una brutalità spaventosa, dall'invio di stuoli di ragazzini con al collo le «chiavi del Paradiso» sui campi minati del nemico iracheno per aprire la strada alla fanteria, ai pestaggi in strada e agli spari dei cecchini che miravano agli occhi delle donne che rifiutavano il velo islamico; alle stragi di giovani manifestanti che chiedevano l'uscita dal medioevo; all'impiccagione pubblica a gru altissime, per meglio impressionare e terrorizzare, di oppositori politici e criminali veri o presunti; abbiamo saputo dell'uso sistematico di stupri e torture infami nel terribile carcere di Evin a Teheran.

Sul piano politico è stato instaurato a Teheran una sorta di papato della branca più fanatica dell'islam, cui veniva e viene attribuito il vero potere in pace e in guerra quest'ultima vissuta come uno stato perenne nei confronti di quel mondo infedele, ebraico o cristiano che sia, il cui destino dev'essere la sottomissione alla legge islamica. Come ben ricordava il grande studioso Bernard Lewis, tre sono le fasi di questa marcia verso l'islamizzazione del mondo che l'Iran si è prefissato come obiettivo storico: la cacciata degli infedeli dalle terre dell'islam, la riconquista di quelle perdute e infine la conquista del mondo intero.

Questo, da troppi stoltamente frainteso come balorda propaganda religiosa, è il vero obiettivo della Repubblica Islamica. Ed è per questo che va in ogni modo impedito che quel regime brutale si doti di armi atomiche: a differenza di ogni altro Paese al mondo, anche delle peggiori dittature, le userebbe non per difendersi, ma per devastare. Non solo Israele, ma tutti noi «infedeli» ci troveremmo nel mirino di forsennati che ritengono la loro stessa morte violenta, come la nostra, un glorioso passaggio per trasformare il mondo a loro immagine e somiglianza.

sabato 7 giugno 2025

Preoccupazioni ITALIANE !!!

 Un caccia ucraino MiG-29 è riuscito a distruggere un presunto posto di comando russo nella regione di Zaporizhzhia utilizzando bombe a guida di precisione fornite dalla Francia.


............. COSA NE PENSATE !!! ???.... nell'attesa della REAZIONE !!!!

venerdì 6 giugno 2025

Il governo Netanyahu e la mossa anti Hamas. "Arma una milizia con criminali e jihadisti"

@ - «Il nemico del mio nemico è il mio amico». Il proverbio è antico, ma non sempre funziona. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu continua però a crederci.

Il governo Netanyahu e la mossa anti Hamas.
"Arma una milizia con criminali e jihadisti"

Dopo essersi illuso di poter addomesticare Hamas ingrassandolo con i soldi del Qatar ora cerca di dargli il colpo di grazia reclutando clan criminali e jihadisti della Striscia pronti a vendersi al miglior offerente. E a rendere il tutto più surreale contribuisce il modo in cui sta venendo alla luce l'operazione.

A vuotare il sacco in un'intervista alla televisione israeliana Kan ci ha pensato Avigdor Lieberman, un falco dell'estrema destra, già ministro nei passati governi Netanyahu, passato all'opposizione dopo una serie di scontri con il leader. «Il governo israeliano seguendo le indicazioni del suo premier - ha spiegato Lieberman - sta distribuendo armi ad un gruppo di criminali legati allo Stato islamico. Tutto questo, per quanto ne so, non è stato deciso con l'approvazione del governo. E non so neanche - ha aggiunto l'ex ministro - se il comandante delle forze armate ne sia al corrente».

Insomma un'autentica bomba politica capace di lacerare ulteriormente la già divisa opinione pubblica israeliana, e di acuire l'isolamento internazionale di Israele. Il gruppo di cui parla Lieberman è quello di Yasser Abu Shabab, un beduino di 32 anni alla testa di un importante clan, originario della zona di Rafah, che conterebbe tra le sue fila trafficanti di droga, miliziani di jihadisti e criminali comuni. Famoso per le foto diffuse sui social in cui si fa ritrarre armato di tutto punto alla testa di check point improvvisati Abu Shabab ama indossare elmetti e giubbotti antiproiettili con la scritta «Servizio antiterrorismo». Ma non tutti sono disposti a riconoscergli quel ruolo. Secondo molte fonti della Striscia il gruppo conterrebbe tra le proprie fila un discreto numero di criminali comuni e molti militanti salafiti e jihadisti in scontro aperto con Hamas.

Arrestato lui stesso da Hamas prima della guerra con l' accusa di furto e traffico di narcotici Abu Shabab è riuscito a sopravvivere al bombardamento dell'edificio in cui era prigioniero e a fuggire. Subito dopo la rocambolesca fuga ha fondato le «Forze popolari» un gruppo che sostiene di proteggere la popolazione dai soprusi di Hamas impedendogli di mettere le mani sugli aiuti alimentari. Secondo un documento interno delle Nazioni Unite Abu Shabab sarebbe invece la mente e l'organizzatore di numerose operazioni di saccheggio delle razioni alimentari distribuite da agenzie dell'Onu.

Da parte loro molte fonti palestinesi descrivono Abu Shabab e i suoi come una milizia al servizio di Israele nella zona del valico di Kerem Shalom e di Rafah. Notizie riprese anche da Hamas che non esita a definirlo un collaboratore e un traditore. Accuse a cui Abu Shabab ha risposto con un video fatto circolare due giorni fa in cui dichiara di operare «sotto legittimità palestinese». Frase sibillina con cui il miliziano fa capire di essere legato all'Autorità palestinese. E di muoversi dentro Gaza con la sua autorizzazione.

giovedì 5 giugno 2025

Hamas ha già vinto la sua guerra: delegittimare Israele e accreditarsi in Occidente, così ha ribaltato fatti e verità

@ - In tempi di guerra, ogni parola è un atto politico. Ogni immagine, ogni frame, ogni omissione contribuisce a modellare il campo simbolico e morale del conflitto. E nella guerra in corso tra Israele e Hamas, una battaglia si è già conclusa, ed è quella dell’informazione.

Hamas libera ostaggi israeliani

Nonostante la sproporzione militare evidente tra le parti, Hamas ha saputo mettere in campo una strategia comunicativa tanto sofisticata quanto spietata, che ha piegato la narrazione globale a suo favore. Non ha sconfitto Israele sul terreno, ma lo ha sconfitto nel tribunale dell’opinione pubblica. Quello che osserviamo non è un effetto collaterale della guerra: è parte integrante della strategia di Hamas.

Il gruppo terrorista islamista ha sempre saputo che la vera forza non risiede nelle armi – rudimentali o tecnologichema nella capacità di indirizzare il giudizio morale delle masse globali. E per farlo si è dotato, negli anni, di una rete estesa di alleati informali e formali: Ong internazionali che operano nella Striscia senza reale autonomia; opinion maker occidentali pronti a legittimare ogni resistenza purché anti-israeliana; attivisti embedded con l’agenda del gruppo; e soprattutto la galassia dei social, dove i contenuti virali contano più della verifica e della responsabilità editoriale. Hamas ha così trasformato la sofferenza della popolazione palestinese – innegabile e drammatica – in un’arma comunicativa. Le immagini dei bambini feriti, delle madri in lacrime, delle macerie sono state rimosse dal contesto, decontestualizzate, a volte artefatte, e rilanciate con un’unica cornice: quella del colonialismo israeliano, della repressione sionista, dell’apartheid. Una narrazione potente, semplificata, a tratti mitologica, che ha avuto l’effetto di occultare la realtà: ovvero che il conflitto è stato riacceso da un attacco terroristico deliberato, pianificato da mesi, con lo scopo dichiarato di uccidere civili, rapire bambini, umiliare e provocare Israele e interrompere un processo di pacificazione dell’area mediorientale.

Mentre gli Accordi di Abramo disegnavano infatti un nuovo scenario di cooperazione tra Israele e il mondo arabo, rompendo decenni di stallo diplomatico, Hamas ha risposto con la sola logica che conosce: la violenza. Eppure il Sabato Nero è già stato rimosso. Il dato più inquietante è che questa strategia ha funzionato anche grazie alla complicità di attori che si ritengono terzi o imparziali. Alcune Ong hanno rilanciato numeri e denunce provenienti da fonti controllate da Hamas senza alcuna verifica indipendente. Alcune testate giornalistiche – anche di grande prestigio – hanno rinunciato a contestualizzare, a confrontare le fonti, a interrogare le responsabilità. E nelle università, nei campus, nei talk show, si è affermata una forma di infantilismo morale che trasforma ogni espressione di vicinanza a Israele in una colpa, mentre si legittima ogni grido di odio e ogni ambiguità nei confronti del terrorismo.

Si è creato un vasto movimento di consenso a cui hanno aderito – più o meno spontaneamente – personaggi pubblici, influencer, opinionisti. E siccome di consenso spesso la politica si nutre, in molti hanno cavalcato questo mainstream. La guerra dell’informazione non è un gioco. È uno dei fronti decisivi di questo conflitto. E chi oggi rilancia contenuti manipolati, narrazioni distorte, accuse infondate, contribuisce attivamente a una campagna di delegittimazione che mira non solo a Israele, ma al concetto stesso di democrazia liberale in Medio Oriente. Hamas non vuole solo distruggere lo Stato ebraico: vuole distruggere la sua legittimità, la sua narrazione, la sua ragione d’essere.

La lucidità, in questo scenario, è un dovere morale. Non significa giustificare ogni azione militare, né chiudere gli occhi davanti alle vittime civili. Significa però comprendere che dietro le quinte di questo dramma umanitario c’è un’efficace e potente strategia di comunicazione che ha trasformato la verità in un campo di battaglia. E in quel campo, oggi, Hamas ha vinto. Non con i razzi. Ma con i post, i video virali, i silenzi complici e le mezze verità rilanciate da un sistema informativo troppo spesso prigioniero delle proprie ideologie. Per questo, oggi più che mai, servono voci capaci di resistere alla propaganda. Voci che rifiutino la semplificazione e rivendichino la complessità. Perché la pace, quella vera, non si costruisce sulla menzogna. E nemmeno sulla rimozione sistematica della realtà.

martedì 3 giugno 2025

Israele: sgozzato, calpestato, crocifisso e tenuto a chiedere ‘scusa’. Perché ci si scaglia contro l’unica democrazia del Medio Oriente

@ - In nessun’altra parte del mondo uno Stato democratico sotto attacco viene invitato con tanta solerzia a moderazione, clemenza, senso della misura. Solo Israele, quando viene sgozzato, calpestato, crocifisso, è tenuto a chiedere scusa per il sangue che versa.

guerra israele

Come se difendersi fosse un atto di arroganza, e la sopravvivenza fosse un peccato d’orgoglio. Il 7 ottobre ha segnato l’epilogo di un decennio di ipocrisia. Migliaia di fanatici hanno varcato un confine per macellare civili, rapire bambini, filmare stupri e decapitazioni. Non una rivolta, ma una liturgia dell’odio che nessun movimento di liberazione dovrebbe anche solo sognarsi di rivendicare. Eppure, poco dopo, le piazze europee sventolavano le stesse bandiere dei carnefici, e le università si travestivano da tribunali morali.

La proporzione
L’Occidente progressista si è risvegliato con un riflesso condizionato: se Israele è coinvolto, è sicuramente colpevole. Hamas, da parte sua, non ha mai nascosto il proprio obiettivo. È scritto in ogni statuto, proclama e missile: distruggere Israele. Non conviverci. Non negoziare. Sradicarlo. È il solo attore del conflitto che ha sempre detto la verità. Eppure, chi lo combatte viene accusato di essere sproporzionato. La “proporzione” è diventata una gabbia semantica: Israele può difendersi, ma solo finché non turba la coscienza selettiva di chi osserva. Può colpire, ma senza colpire troppo. Una guerra con l’elmetto, ma senza il diritto al dolore.

Il punto non sono solo i bambini morti
Le immagini dei bambini morti a Gaza spezzano il cuore. Ma quando diventano strumento di propaganda, allora spezzano anche la verità. Ci spezza il cuore ogni bambino morto. A Gaza come in Sudan, dove migliaia sono stati massacrati nel silenzio globale. In Yemen, uccisi o mutilati da bombe, fame, colera e indifferenza. In Congo, in Etiopia, a Myanmar, in Afghanistan: milioni di bambini muoiono senza che un corteo sfili per loro. Nessuna università occupata. Nessun appello degli artisti. Nessun volto sui cartelloni. Nessuna bandiera. Il punto non sono solo i bambini morti. Il punto è dove muoiono, e chi li avrebbe “uccisi”. Se a colpire è una milizia tribale, il lutto è discreto. Se a bombardare è Israele, il lutto si fa liturgia collettiva. Perché il problema non è Gaza. Il problema, per molti, è che Israele non muore. Che resiste. Che non si inginocchia alla morale del pianto selettivo. E mentre il mondo predica pace e versa milioni in aiuti, Hamas ha fatto la sua scelta. Ha usato quei fondi per scavare tunnel invece di costruire scuole. Per creare depositi di armi invece di ospedali. Per addestrare bambini-soldato invece di aprire università. Gaza avrebbe potuto diventare Singapore; è stata ridotta a Mogadiscio con le preghiere.

Il solito copione europeo
Nel frattempo, in Europa si recita il solito copione. Intellettuali esausti dalla complessità, partiti in cerca di voti nelle banlieue, opinionisti in posa permanente. Tutti uniti in un esercizio di equilibrismo che non distingue più tra aggredito e aggressore. È la sindrome del colonialismo rovesciato: Israele è la potenza, quindi va punito. Anche se circondato da Stati che, se potessero, ne celebrerebbero la fine in diretta su Al Jazeera. Parlare di “pace” in questo contesto suona come una boutade. Pace con chi? Con un’organizzazione che usa i civili come carne da propaganda, che occupa militarmente i propri fratelli, che trasforma gli aiuti in logistica militare? Hamas è un sistema mafioso con una narrativa religiosa. E la Palestina, ostaggio due volte: di Israele per i suoi check-point, ma soprattutto di un’élite armata che usa la disperazione come capitale politico.

La resa dei conti con la menzogna
L’unica via d’uscita non è la resa di Israele, ma la resa dei conti con la menzogna. Quella che finge che “resistenza” significhi strage, che “libertà” significhi califfato, che “giustizia” significhi cancellare uno Stato. Israele è l’unico Paese a cui si chiede ogni giorno di giustificare la propria esistenza. L’unico che deve spiegare perché vuole vivere. È una democrazia imperfetta – certo – ma dove i tribunali giudicano anche i Generali. Dove si protesta, si vota, si discute, persino sotto i razzi. Eppure, nel grande gioco della morale internazionale, Israele è il colpevole di professione. Perché resiste. Perché ha trasformato un popolo perseguitato in una nazione armata. Perché non ha chiesto il permesso. È questa l’eresia. Ed è per questo che tanti lo odiano. Israele non è perfetto. Ma non chiede l’assoluzione. Chiede solo di non essere messo al rogo per aver detto – con i fatti di non voler morire da vittima né vivere da colpevole.