sabato 14 settembre 2024

Queste nuove luci sull’auto sono obbligatorie, chi riguardano le nuove regole UE

@ - Nuove luci obbligatorie sull’auto e altre regole dell’Unione europea: ecco di cosa si tratta e chi riguarda.

L’Unione europea è costantemente al lavoro per evitare gli incidenti stradali o almeno limitare le conseguenze dei sinistri. 

Le statistiche parlano chiaro, la stragrande maggioranza degli incidenti è causata da errori e distrazioni del conducente. Soltanto il 5% di questi, infatti, è attribuibile a guasti o malfunzionamenti dei veicoli. Così, vengono gradualmente introdotti nuovi limiti e obblighi, provando a superare la ritrosia dei cittadini dei vari stati membri.

Riveste particolare importanza in questo campo il Regolamento n. 2019/2144 dell’Unione europea, che ha previsto diverse tappe per l’introduzione di nuovi criteri necessari all’omologazione dei veicoli. Il processo si dovrebbe compiere entro luglio 2027, quando la Commissione europea valuterà la funzionalità dei sistemi introdotti e stabilirà nuove misure se ritenuto opportuno.

Da luglio 2024, però, sono entrati in vigore ulteriori obblighi per quanto riguarda i dispositivi di sicurezza e di guida assistita. Tra questi, anche delle luci obbligatorie, in particolare quelle di stop posteriori: con la nuova frenata automatica introdotta dovranno essere lampeggianti. Ci sono poi luci che nulla hanno a che vedere con la visibilità dell’auto o della strada. Si tratta di un sistema di segnalazione luminoso combinato ad avvisi acustici per richiamare il conducente al rispetto dei limiti di velocità. Ma vediamo tutte le novità.

Luci sull’auto e altre nuove regole dell’Ue
Come anticipato, l’Unione europea sta cercando di limitare gli incidenti stradali, aiutando i guidatori a reagire e tutelare i ciclisti e i pedoni. Così, introduce un sistema di frenata di emergenza che rileva possibili impatti con ostacoli, prima avvisando il conducente e poi attivandosi in caso di mancata risposta. Proprio nell’ambito della frenata, le luci di stop posteriori devono in automatico lampeggiare, per allertare in modo più efficace i conducenti. Di pari passo, è richiesto un sistema di rilevamento ostacoli in retromarcia.

Inoltre, è previsto anche un sistema obbligatorio di adattamento intelligente della velocità, capace anche di leggere i segnali stradali riguardanti i limiti di velocità. Così, i conducenti saranno allertati da luci e suoni al loro superamento.

L’Ue ha pensato anche all’assunzione di alcolici alla guida, notoriamente deleteria per la sicurezza della circolazione stradale ma ancora troppo diffusa. Così, è chiesta l’installazione di un’interfaccia per l’installazione dell’alcolock, il dispositivo di rilevamento del tasso alcolemico. Quest’ultimo potrebbe infatti divenire obbligatorio, almeno in alcuni casi, bloccando peraltro l’utilizzo della vettura in caso di ubriachezza.

Non solo l’alcol, anche la stanchezza e i fatidici “colpi di sonno” provocano numerosi e terribili incidenti stradali. Per questo motivo, è richiesta l’installazione di dispositivi che rilevano segnali anomali e controllano i movimenti del conducente, dalle mani sul volante al movimento dello stesso.

In caso di disattenzione, il conducente viene allertato e il dispositivo si attiva per mantenere l’auto in corsia. Non è però integrato il controllo visivo, perché dovrebbe inquadrare il volto del guidatore e contravvenire alle regole sulla privacy, anche se sarebbe più efficace. In ogni caso, ogni impatto viene registrato dalla scatola nera obbligatoria.

Chi riguardano le nuove regole dell’Unione europea
Molti veicoli già dispongono di sistemi simili a quelli elencati, ma con l’entrata in vigore dell’obbligo tutte le nuove vetture necessiteranno delle caratteristiche elencate per ricevere l’omologazione europea. Di conseguenza, tutti i veicoli in uso al momento possono essere utilizzati e continueranno a circolare senza problemi, almeno per un po’ di tempo, ma tutte le auto nuove dovranno disporre dei sistemi di sicurezza individuati dall’Ue. L’obbligo riguarda dunque i produttori (e i rivenditori a cui è vietato immettere in commercio veicoli non omologati), ma non i singoli conducenti.

Chi proverà ad aggirare i divieti, comunque, non potrà senza dubbio circolare con il veicolo in questione e va incontro a rischi sulla propria incolumità e quella altrui, considerando che le norme europee sull’omologazione vanno ben oltre quelle citate.

leggi anche

giovedì 12 settembre 2024

Fi si smarca, Tajani vede Letta e Confalonieri

@ - Due grandi vecchi di Forza Italia e di Mediaset insieme al leader azzurro che ha raccolto il testimone di Silvio Berlusconi. Con Gianni Letta e Fedele Confalonieri il vicepremier Antonio Tajani ha un rapporto intenso ma l'incontro di ieri, negli uffici romani del Richelieu del centrodestra al Nazareno, suscita una selva di ipotesi, retroscena e sospetti.

Fi si smarca, Tajani vede Letta e Confalonieri

Avviene nel momento in cui Tajani mostra sempre più i muscoli agli alleati Giorgia Meloni e Matteo Salvini, si distingue sui temi soprattutto dei diritti, si mostra sicuro del partito in crescita con un'identità precisa, della sua leadership indiscussa, della sua autorevolezza internazionale.

Il ministro degli Esteri e segretario di Fi gioca ormai liberamente la sua partita e si consulta con quelli che sono stati i grandi consiglieri del Cavaliere, che hanno sempre indicato le mosse giuste sul piano politico-economico. La missione è quella annunciata dopo il voto europeo che ha premiato una Fi data per morta, facendole anche superare la Lega: «Vogliamo contaminare sempre più il centrodestra con le nostre idee liberali, europeiste, atlantiste, garantiste».

Nello studio di Letta Tajani va per incontrare il presidente di Mediaset Confalonieri, mentre infuria lo spiacevole caso dell'ex ministro FdI della Cultura Gennaro Sangiuliano e ci si chiede perché è percome è sfumata la scomoda intervista di Maria Rosaria Boccia a «È sempre Cartabianca» di Rete4. Un appuntamento che avrebbe indispettito parecchio la premier.

Tajani, all'uscita dalla riunione, nega che sia stato questo l'argomento di conversazione. Al cronista de LaPresse, che lo incalza per sapere se al centro dell'incontro ci sia stata Mediaset e le sue scelte editoriali, anche in contrasto con gli interessi del governo, risponde: «Non si è parlato di nulla di cui voi pensiate. Non c'è da fare nessuna ricostruzione. Vedo Confalonieri e Letta sempre». Quando gli chiedono se avrebbe preferito che l'intervista a Boccia andasse in onda, il leader azzurro taglia corto: «Non è un compito mio questo. Non ho responsabilità dentro Mediaset».

E sulle nomine Rai in discussione: «Ne parleremo. Se ne parlerà in parlamento e in maggioranza». La riservatezza di Tajani è una sua nota caratteristica, ma stavolta è chiaro che vuol chiudere ogni spiraglio sui temi dell'incontro «cordiale». Il momento è delicato, per i rapporti con Giorgia e Matteo, le ripercussioni del pruriginoso affaire Sangiuliano sul governo e l'armonia con i Berlusconi, Marina e Piersilvio in testa. «Li incontro 150mila volte, conosco Confalonieri da 40 anni e Letta da 50. Non c'è niente di strano», assicura il ministro. E sul ruolo della famiglia Mediaset nell'intervista alla Boccia e i malumori di Meloni, butta acqua sul fuoco: «I giornali scrivono tanto, non c'è da fare nessuna chiarezza, basta».

Decifrare l'incontro insomma non è facile, ma certo Tajani è deciso a smarcarsi dagli alleati, pur rimanendo sempre fedele al centrodestra e non teme che qualcuno parli di avvicinamento al Pd, si fa una risata sopra. «Non siamo un partito telecomandato da altri - dice uno degli azzurri a lui più vicini-, ma un soggetto politico autonomo, che ha le sue idee e vuol'essere rispettato. La Schlein la combattiamo e il fatto che abbia portato il Pd più a sinistra apre per noi ampie praterie al centro».

Rapporto Draghi: Cresce il divario tra UE e USA, passa al 30% nel 2023

@ - Il report presentato da Mario Draghi sottolinea anche l’aumento della competizione con la Cina e la mancanza di presenza europea nel settore tecnologico

fonte Shutterstock

Il 9 settembre è stato diffuso l'atteso rapporto di Mario Draghi sullo stato dell'economia Europea dal titolo “Il futuro della competitività europea”. Tra i dati più interessanti registrati dal report ci sono la crescita competizione con la Cina e la mancanza di presenza europea nel settore tecnologico in forte crescita a livello globale negli ultimi anni. Pesa anche il gap nei confronti degli USA. Negli ultimi 20 anni è raddoppiato il divario del PIL, in particolare, se il gap fra livello di Pil Usa e Ue è era del 15% del 2002, nel 2023 è salito al 30% a prezzi costanti.
Il parere di Elettricità Futura

Da una prima lettura, nel complesso esprimiamo apprezzamento sul Rapporto Draghi e su gran parte delle misure per il settore elettrico. In particolare, è un bene che Mario Draghi abbia spiegato come la transizione energetica offra all’Unione europea l’opportunità sia per assumere un ruolo di leader nelle tecnologie pulite e nelle soluzioni di circolarità, sia per spostare la produzione di energia verso fonti sostenibili, sicure e a basso costo, il più possibile europee. Ed è positivo anche che Draghi abbia posto l’accento sull’elettrificazione come soluzione più efficace e meno costosa per la sostenibilità, anche come importante leva per ridurre le emissioni del settore trasporti, e sulla necessaria coerenza tra quadro normativo e obiettivi, specificando che la capacità dell’Europa di cogliere questa opportunità dipenderà dal fatto che tutte le politiche siano in sintonia con i target clima - energia. Sono messaggi importanti anche per l’Italia che Elettricità Futura comunica costantemente”, dichiara Agostino Re Rebaudengo, Presidente Elettricità Futura.

L'eccessiva burocrazia porta divario di competitività
Da anni Elettricità Futura indica come soluzioni strutturali per rendere l’Italia più indipendente e competitiva molte delle raccomandazioni sulla transizione energetica contenute nel Rapporto Draghi. Come si legge nel Documento la transizione è la strada per ridurre i costi energetici e aumentare la sicurezza e l’indipendenza dell’Europa e dei suoi Stati Membri. Tra le priorità indicate da Mario Draghi, c’è la necessità di semplificare e snellire la burocrazia amministrativa e gli iter autorizzativi per accelerare la realizzazione dei progetti della transizione energetica, come lo sviluppo di nuova capacità di generazione elettrica sostenibile e delle infrastrutture di rete, progetti oggi significativamente ostacolati da processi di autorizzazione lunghi e incerti. Pone anche l’accento sulle notevoli differenze tra i Paesi europei in termini di tempistiche per il rilascio di un’autorizzazione. Lo sappiamo bene in Italia,conclude Agostino Re Rebaudengo,dove le imprese affrontano i tempi più lunghi e i costi più alti d’Europa per ottenere un’autorizzazione, e il peso della burocrazia è un vero e proprio divario di competitività rispetto agli altri Paesi europei”.

mercoledì 11 settembre 2024

Cosa prevede il Piano Draghi per “salvare l’Europa”? Il testo,

@ - Il testo del Piano Draghi in 6 punti. Ecco cosa prevede la strategia che promette di “salvare l’Europa”.

Cosa prevede il Piano Draghi? Cosa c’è scritto nel testo dell’ex premier ed ex presidente della BCE con l’obiettivo dichiarato di “salvare l’Europa”?

Dall’istituzione di un nuovo debito comunitario a una maggiore cooperazione, dal focus sull’innovazione e il cambiamento climatico, ecco tutto quel che si trova all’interno del soprannominato Piano Draghi, la cui redazione è stata richiesta direttamente da Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea.

Il Piano Draghi, in sintesi
Il testo del Piano Draghi propone soluzioni e strategie per affrontare le seguenti 6 sfide: innovazione: il divario tra l’UE e le altre grandi economie mondali deve essere colmato rapidamente, soprattutto sul fronte delle tecnologie rivoluzionarie nei settori digitali/tecnologici, con focus sulla commercializzazione della ricerca;
costi dell’energia: le aziende europee sono sottoposte a dei prezzi dell’energia decisamente più alti rispetto alle controparti statunitensi, scoraggiando così la competitività;
cambiamento climatico: i target previsti nel processo di decarbonizzazione dell’Unione Europea sono più lenti e progressivi rispetto alle economie concorrenti, dinamica che aumenta nel breve termine per le realtà industriali;
dipendenza dall’estero: Draghi individua gli svantaggi generati dalla necessità di rivolgersi all’estero per avere materie prime essenziali soprattutto per l’avanzamento tecnologico;
difesa e sicurezza: con il quadro geopolitico in continuo degrado, diventa cruciale definire e rispettare nuovi requisiti di spesa per la difesa dell’Unione Europea;
crisi demografica: con le prospettive in calo per la forza lavoro europea, occorre trovare nuove soluzioni per non danneggiare la crescita economica.

Il Piano Draghi sprona quindi un cambiamento radicale per l’Europa. Il documento in 6 punti è disponibile di seguito in versione integrale:
>>> Il testo del Piano Draghi (versione integrale)
Fonte: Commisione UE

Cosa prevede il Piano Draghi per “salvare l’Europa”
Un’Europa pressata da sfide epocali e trasformazioni cruciali deve ritrovare la giusta competitività per non restare indietro mentre il mondo cambia: il messaggio è di Mario Draghi.

Una politica industriale molto più coordinata, decisioni rapide e nuovi investimenti sono urgenti per tenere il passo con i rivali Stati Uniti e Cina secondo l’ex presidente BCE e del Consiglio italiano, che ha presentato il rapporto su come l’UE dovrebbe mantenere competitiva la sua economia - insistendo su green e digitale - in un periodo di crescenti tensioni a livello globale.

Il documento redatto dall’economista italiano è il risultato di un’analisi che l’UE stessa ha richiesto a Draghi un anno fa circa. C’è una “sfida esistenziale” che chiama in causa l’Europa e che non può più essere rimandata, ha ricordato l’ex governatore BCE.

Il vecchio continente deve investire il doppio di quanto ha fatto nella ricostruzione dopo la Seconda guerra mondiale se vuole davvero tirarsi fuori da un baratro di bassa produttività e crescita debole, mentre scivola dietro gli Stati Uniti e la Cina.

Il Piano Draghi, riassunto in oltre 300 pagine di rapporto, invita l’UE ad aumentare gli investimenti di circa 5 punti percentuali del PIL del blocco (corrispondenti a 800 miliardi di euro l’anno), un livello mai visto in oltre 50 anni, per potenziare la sua economia.

La crescita dell’UE è infatti da tempo “persistentemente più lenta” rispetto agli Stati Uniti, dinamica che dovrebbe spingere il blocco a digitalizzare e decarbonizzare l’economia rapidamente, così da poter competere con i suoi concorrenti a Est e a Ovest.

L’ampia relazione delinea le principali sfide che l’UE deve affrontare attraverso una nuova strategia industriale, che include la riduzione dei prezzi dell’energia, l’aumento della competitività e il rafforzamento degli investimenti nella difesa. Il rischio, altrimenti, è che “non saremo in grado di diventare, contemporaneamente, un leader nelle nuove tecnologie, un faro di responsabilità climatica e un attore indipendente sulla scena mondiale”.
1. Le tre trasformazioni in corso in Europa
Nel contestualizzare la necessità che l’UE cambia passo nella competitività, Draghi sottolinea innanzitutto che ci sono tre grandi trasformazioni e sfide in corso nel vecchio continente e in tutto il mondo.

La prima è la necessità di accelerare l’innovazione e trovare nuovi motori di crescita. Nella tecnologia, le imprese e il sistema del vecchio continente è in declino. “Con il mondo ormai sull’orlo di un’altra rivoluzione digitale, innescata dalla diffusione dell’intelligenza artificiale (AI), si è aperta una finestra affinché l’Europa possa rimediare ai propri fallimenti in termini di innovazione e produttività e ripristinare il proprio potenziale produttivo”, ha scritto Draghi.

Poi c’è la questione dei prezzi energetici, con la sfida enorme per l’Europa di ridimensionarli. Il cambiamento in corso della decarbonizzazione deve essere sfruttato al meglio. “Assumere un ruolo guida nelle nuove tecnologie pulite e nelle soluzioni di circolarità, spostare la produzione di energia verso fonti di energia pulita sicure e a basso costo in cui l’UE ha generose dotazioni naturali” devono essere priorità.

Infine, il terzo cambiamento da cavalcare è quello geopolitico, con un contesto economico e politico globale diventato frammentato e pericoloso. Raggiungere una reale indipendenza strategica e aumentare la propria influenza geopolitica globale è cruciale, per l’approvvigionamento di risorse e per la difesa comune.

2. Transizione energetica
Per trasformare la transizione energetica in un’opportunità, l’Europa deve allineare tutte le sue politiche agli obiettivi climatici ed elaborare un piano congiunto per la decarbonizzazione e la competitività che coinvolga i produttori di energia, i settori delle tecnologie pulite e dell’automotive, nonché le aziende ad alto consumo energetico, le cui emissioni sono difficili da ridurre.

Le quattro maggiori industrie ad alta intensità di emissioni nell’UEe, come la chimica e i metalli, richiederanno 500 miliardi di euro nei prossimi 15 anni per decarbonizzare, afferma il rapporto di Draghi. Oltre a ciò, gli investimenti nei trasporti ammonteranno a 100 miliardi di euro ogni anno tra il 2031 e il 2050.

Draghi ha attirato l’attenzione in modo particolare sul settore automobilistico, definendolo un “esempio chiave di mancanza di pianificazione da parte dell’UE”. Il blocco affronta un rischio reale che i produttori di automobili continuino a perdere quote di mercato a favore della Cina, che è in vantaggio rispetto al blocco dei 27 membri in “praticamente tutti i settori”, pur producendo a un costo inferiore.

3. Supply Chain
L’elevato livello di apertura commerciale dell’UE la lascerà esposta, se le tendenze verso l’autonomia della supply chain accelerano, continua il rapporto. Circa il 40% delle importazioni europee proviene da un piccolo numero di fornitori che sono difficili da sostituire, e circa la metà di questo volume proviene da Paesi con cui il blocco non è “strategicamente allineato”, afferma.

L’UE dovrà sviluppare una vera e propria politica economica estera” che coordini accordi commerciali preferenziali e investimenti diretti con nazioni ricche di risorse, la costituzione di scorte in aree critiche selezionate e la creazione di partnership industriali per garantire la filiera di fornitura di tecnologie chiave, secondo il rapporto.

L’Unione dovrà garantire che le dipendenze non aumentino e cercare di “sfruttare il potenziale delle risorse nazionali attraverso l’estrazione mineraria, il riciclaggio e l’innovazione nei materiali alternativi”.

4. Più coordinamento nell’UE
Secondo il rapporto Draghi, i Paesi dell’UE avevano già iniziato a rispondere alle nuove sfide, ma la loro efficacia era limitata dalla mancanza di coordinamento.

I diversi livelli di sussidi tra i Paesi disturbano il mercato unico, la frammentazione limita la scala necessaria per competere a livello globale e il processo decisionale dell’UE è complesso e lento.

Sarà necessario riorientare il lavoro dell’UE sulle questioni più urgenti, garantire un coordinamento efficiente delle politiche dietro obiettivi comuni e utilizzare le procedure di governance esistenti in un modo nuovo che consenta agli Stati membri che lo desiderano di muoversi più rapidamente”, si legge nel rapporto.

5. Maggiori finanziamenti
Per massimizzare la produttività, sarà necessario un finanziamento congiunto negli investimenti in beni pubblici europei fondamentali, come per esempio i settori più innovativi... con l’emissione regolare di strumenti di debito comune per consentire progetti di investimento congiunti tra gli Stati membri e contribuire all’integrazione dei mercati dei capitali”, si legge nel Piano Draghi.

Per quanto riguarda le misure per mobilitare finanziamenti privati, il rapporto raccomanda di trasformare l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) da un coordinatore delle autorità di regolamentazione nazionali a un unico ente di regolamentazione per tutti i mercati mobiliari dell’UE, in grado di concentrarsi su obiettivi generali, simile alla Securities and Exchange Commission (SEC) degli Stati Uniti.

6. I settori critici
In un secondo rapporto sulla competitività vengono illustrate le aree politiche di intervento per migliorare coordinamento UE e competitività. Ne vengono evidenziate 13:
  1. Energia;
  2. Materie prime;
  3. Digitalizzazione;
  4. Banda larga;
  5. Intelligenza Artificiale;
  6. Semiconduttori;
  7. Industria ad alto consumo energetico;
  8. Tecnologie pulite;
  9. Automotive;
  10. Difesa;
  11. Spazio;
  12. Settore farmaceutico;
  13. Trasporti
Per ottenere risultati tangibili in questi settori e far crescere l’Europa occorrerà lavorare su alcune buone pratiche come l’accelerazione tecnologica, il superamento del gap nelle competenze professionali, la sostenibilità degli investimenti, il rilancio della competitività, il rafforzamento della governance comune.

Trump-Harris, duello tv incandescente. Donald inciampa su aborto e immigrati e Kamala lo affonda: “Sei la vergogna del mondo”

@ - Si parte subito forte, con l’economia. E il mantra è, da parte di Donald Trump, “con me l’economia andava alla grande, con loro si è fermata ed è aumentata l’inflazione, se vince Kamala Harris diventeremo come il Venezuela”; mentre da parte della sua avversaria, la vicepresidente in carica che per la verità prende la parola per prima e si trova alla destra del teleschermo come Joe Biden nel corso del primo dibattito tv, “io sono l’unica qui dentro che è cresciuta in una famiglia di classe media, quindi so come restituire potere d’acquisto alla classe media”.

Dibattito Harris - Trump © Abc News copertina
L’economia è un tema sul quale Harris insegue, perché effettivamente l’inflazione sotto l’amministrazione Biden ha colpito duro, mentre i suoi cavalli di battaglia sono la difesa della democrazia e l’aborto, del quale si parla poco dopo. I primi 16 minuti del secondo confronto televisivo tra i candidati presidente, il primo tra Trump e Harris dopo la rinuncia di Biden, ospitato dall’emittente privata Abc, sono tutti dedicati alle ricette economiche. E segnalano sin da subito un gioco di sguardi e di posture: all’inizio del confronto, Harris si dirige decisa verso la postazione dell’avversario per stringergli la mano, dopodiché nel corso dell’intera diretta, durata in tutto un’ora e mezza, rivolge spesso lo sguardo verso Trump, il quale invece o fissa la telecamera o guarda verso i conduttori.

Economia, inflazione, potere d’acquisto
Stili comunicativi a parte, Trump rispetto ad altre volte evita volgarità e insulti gratuiti ma insiste sin da subito sul concetto di una Harris “marxista”, “radicale di sinistra”, dando seguito alle provocazioni delle ultime settimane anche da parte dell’ormai braccio destro Elon Musk, con immagini create dall’Intelligenza artificiale per screditare la rivale. Il tema della “venezuelizzazione” degli Stati Uniti del resto è ricorrente: la parola “Venezuela” viene citata da Trump diverse volte, almeno 6-7 nella prima parte del dibattito, e non solo riferendosi al possibile disastro economico di stampo chavista proposto da Harris, ma anche e soprattutto sull’immigrazione, come si vedrà più avanti. “Taglierò le tasse in modo importante”, promette il tycoon. “Non ha un piano”, ribatte Kamala, “la sua politica sui dazi farebbe aumentare l’inflazione, secondo quanto sostengono diversi centri studi e 16 economisti premi Nobel”. “I dazi non ricadrebbero sui consumatori – garantisce Trump -: li paga la Cina, come li pagava quando c’ero io e come ha continuato a fare, visto che l’amministrazione Trump ha confermato le misure. Con me l’inflazione non c’era, con Biden è una delle più alte di sempre”. Harris controbatte ricordando che “Trump ci ha lasciato la disoccupazione più altra dalla Grande Depressione. Quello che abbiamo fatto è stato mettere a posto il pasticcio che lui ha creato”. E’ evidente che la partita si giocherà molto su queste schermaglie, difficile dire chi abbia avuto la meglio in una battaglia incrociata di accuse e promesse.

Aborto e immigrazione
Dopodiché si passa all’aborto e lì l’ex presidente affonda il colpo:I dem voglio uccidere il bambino al nono mese di gravidanza, quando è praticamente nato”. Harris non ha bisogno di negare visto che si tratta di una fake news bella e buona, che costringe la presentatrice a intervenire per correggere il candidato repubblicano. “Il governo e soprattutto Donald Trump non dovrebbero dire ad una donna cosa fare con il suo corpo”, attacca Kamala Harris. “Sono convinta che gli americani ritengono che certe decisioni sulle nostre libertà non devono essere prese dal governo”. La vicepresidente è ben consapevole che sull’argomento gioca in casa, visto che secondo i sondaggi è proprio sui diritti civili che la vicepresidente convince maggiormente gli elettori statunitensi. E infatti su questo passaggio del confronto porta sicuramente a casa il punto. Anche sull’immigrazione Trump non va benissimo. Parte subito col Venezuela, di nuovo:Harris è pronta a seguire le politiche di Maduro. Come farò ad espellere 11 milioni di clandestini? Intanto il numero è molto più alto. Fateci caso: in Venezuela e nel resto del mondo la criminalità è diminuita, da noi invece è aumentata proprio perché i criminali di quei Paesi sono venuti qui e l’amministrazione di Kamala Harris li ha fatti entrare”. Donald esagera, rilanciando un’altra fake news su un presunto caso di immigrati haitiani che avrebbero mangiato cani e gatti rubati ai cittadini di Springfield, in Ohio. Per la seconda volta i moderatori hanno usato il fact checking e lo hanno smentito.

Energia e Capitol Hill
In seguito, poco prima del primo break pubblicitario, si passa ad un tema strategico come l’energia, con Harris che viene accusata di ostacolare il fracking, cioè una nuova tecnica di estrazione di combustibili liquidi dal sottosuolo. “Non sono contraria al fracking, ritengo anzi necessario aprire a nuove fonti di energia per essere meno dipendenti dal petrolio comprato all’estero”, spiega la candidata democratica. Poi si passa di nuovo ad episodi di cronaca: a Trump viene chiesto di chiarire la sua posizione sui fatti del 6 gennaio 2001, per i quali è stato accusato di aver organizzato l’insurrezione. Lui non risponde e ribalta:E quando è che invece i criminali stranieri verranno consegnati alla giustizia? Su Capitol Hill non ho nessuna responsabilità. I rivoltosi non hanno ucciso nessuno, l’assalto era pacifico e patriottico”. Kamala:Io invece il 6 gennaio 2021 c’ero, in quanto senatrice, e il presidente Trump incitava la folla. E non è stato nemmeno l’unico caso: è successo anche a Charlottesville”. Brutte pagine della storia recente americana, sulle quali Trump ancora una volta non è stato convincente.

Politica estera e ambiente
Mentre Trump ribadisce più volte che con lui l’economia andava alla grande e tornerà a farlo, ancora di più, rilanciando il vecchio slogan “Make America Great Again”, si passa alla reputazione all’estero. Kamala affonda il colpo:Sei una vergogna, ovunque sono andata da vicepresidente i leader mondiali ridono di te”. Il tycoon ha sostenuto ancora una vota di poter fermare il conflitto tra Russia e Ucraina e anche in Medio Oriente molto velocemente, “in 24 ore”. “Lei odia Israele, e vi dico che se diventa presidente nel giro di due anni Israele sparirà”, è arrivato a sparare Trump, attaccando la sua avversaria. Harris ha ribadito il suo sostegno a Israele ma ha sottolineato l’eccesso di vittime palestinesi, esprimendosi a favore di una soluzione a due Stati. Ma sottolinea: “Trump è manipolato dai dittatori come Vladimir Putin e Kim Jong Un che fanno il tifo per lui. Vladimir Putin è un dittatore che ti mangerebbe a pranzo, ha detto duramente, rivolgendosi al candidato dei repubblicani. Sulla politica estera tuttavia, in particolare sull’Ucraina, nessuno dei due candidati è sembrato particolarmente convincente.

domenica 8 settembre 2024

La crisi nera della Francia: paura guerra civile: l'appoggio incondizionato all'Ucraina ha rovinato Macron

@ - Il giornalista Jean-Baptiste Noé scrive sulla rivista Limes n. 7/2024 che "Parigi vive il conflitto come umiliazione dell'autonomia strategica. Teme di dovervi inviare soldati non a combattere i russi, ma a evitare una guerra civile. La rinuncia alla diplomazia, lasciata a USA e Cina, è un affronto e un'ammissione di sconfitta"

La crisi nera della Francia: paura guerra civile: l'appoggio incondizionato 
all'Ucraina ha rovinato Macron
Storia di di Matteo Castagna

La crisi nera della Francia
L'esito del conflitto appare scontato, l’Ucraina è un paese materialmente distrutto, in cui il calo demografico si sta facendo sentire. Assomiglia molto ad un "protettorato" degli americani e della Ue. La Francia di Macron è tra le più grandi sostenitrici di Kiev, come si ricorderà dalle sue dichiarazioni, di pochi mesi fa, in merito all'intenzione di un intervento diretto dell'esercito francese, stoppato dalla NATO.

Le conseguenze del "buco nero" ucraino saranno certamente notevoli, anche se il Presidente sembra non volersene accorgere. Il primo problema di Parigi è la criminalità. Migliaia e migliaia di armi d'ogni genere sono arrivate in Ucraina. Una buona parte di esse non è stata usata per la difesa contro la Federazione Russa. La corruzione che regnava sovrana prima della guerra, è sensibilmente aumentata.

Le armi finiscono nelle mani di reti criminali che le rivendono ad altri soggetti. La Francia è la prima ad aver subito delitti con armi provenienti dall'Ucraina, come, ad esempio, una sparatoria a Marsiglia nel maggio 2023, a opera di trafficanti di droga.

Limes sottolinea che "episodi simili sono stati osservati a Grenoble in alcuni regolamenti di conti fra bande criminali. Il 14 maggio 2024 ha avuto luogo una spettacolare evasione in una stazione di pedaggio in Normandia: un cellulare è stato fermato da uomini in equipaggiamento militare che hanno abbattuto i due autisti e liberato il carcerato. Le armi impiegate nell’assalto erano di fabbricazione americana e di provenienza ucraina".

Già dal luglio 2022, Europol aveva avvertito che il contrabbando si sarebbe rivolto verso i paesi dell’Unione Europea. Armi ucraine sono state trovate anche in altri paesi europei: Svezia, Finlandia, Danimarca. Nel giugno 2023, i24 News ha riferito che ne sono state vendute anche all'Iran, a Hamas e Hezbollah.

Quando i combattimenti finiranno, torneranno forti tensioni politiche e sociali. Avvisaglie ci sono già state, tra il presidente e il suo ex capo di Stato maggiore, che hanno portato alla sostituzione di quest’ultimo. Il malcontento popolare, la sconfitta, le frontiere incerte, la disoccupazione, i morti saranno imputati a Zelensky e, giocoforza a Macron, che, non a caso, viene sconfitto alle elezioni e clamorosamente battuto dall'estrema destra di Marine Le Pen e dall'estrema sinistra di Mélenchon, entrambe formazioni politiche euroscettiche e a favore della pace. Non è escluso, a priori, che possa scoppiare una guerra civile, facendo piombare il paese nel caos.

"Le tensioni in corso in Ucraina dagli anni Dieci di questo secolo sono una forma di guerra civile che oppone ucraini che guardano alla Russia ad altri ucraini che guardano all’Europa". Questa divisione potrebbe provocare problemi di ogni genere, anche molto gravi e duraturi, in merito all'eventuale integrazione nella Nato o nell’Unione Europea, che la Francia di Macron sembrerebbe non voler vedere.

Anche la Chiesa ortodossa si è divisa, con la Chiesa di Kiev che ha proclamato l’autocefalia e si è separata da quella di Mosca, col conseguente riconoscimento da parte del patriarca di Costantinopoli. Lo spettro di motivazioni di carattere religioso si aggiungono all' inasprimen-to dei conflitti in Ucraina.

Tutta questa instabilità "potrebbe condurre a una destabilizzazione delle frontiere interne all’Unione Europea" - suggerisce Limes. "La Romania, l’Ungheria e la Polonia potrebbero essere tentate di recuperare territori e popoli un tempo sotto la loro giurisdizione. Non si tratta qui di fare del catastrofismo, bensì di ricordare che scenari simili si sono prodotti in passato – in paesi attraversati da guerre intense – e hanno sempre portato non solo alla rovina del teatro dei combattimenti ma pure di quelli vicini. Per evitarli bisogna conoscerli e prepararsi" - sostiene sempre Limes.

"Parigi si è infilata in un vicolo cieco diplomatico dal quale non sa come uscire. È nuovamente vittima della sindrome siriana. Il governo francese si è mostrato incauto nei confronti del presidente della Siria Baššār al-Assad, arrivando a invocare il suo rovesciamento". Nel 2013 si era offerto volontario per condurre un’operazione militare contro Damasco, annullata in extremis in seguito al rifiuto statunitense di parteciparvi.

Dieci anni dopo, Assad è ancora al potere, la Siria è stata reintegrata in diversi consessi internazionali e i paesi arabi hanno ripristinato le relazioni diplomatiche. "Ma Parigi non sa come rimettere in sesto i rapporti con Damasco senza dare l’impressione di una umiliante retromarcia" (Limes, n.7/2024)

Inoltre, il ministro dell’Economia Bruno Le Maire aveva promesso di «mettere l’economia russa in ginocchio». Non è successo. Le sanzioni non hanno avuto l’effetto previsto: il potere di Vladimir Putin non si è indebolito e Mosca continua ad approvvigionarsi di armi. Di fronte al fallimento di questa politica, è la credibilità della Francia a essere pesantemente sconfitta, così come la sua influenza sulla scena europea e mondiale.

Parigi non è più in grado di costruire la pace in Europa, non ha più influenza in Russia e deve appoggiarsi a concorrenti, anzi ad avversari, come la Cina e la Turchia. Infine, dopo settimane di attesa e negoziazioni febbrili, la Francia ha un nuovo primo ministro. È Michel Barnier, già commissario europeo e capo negoziatore per conto di Bruxelles sulla Brexit. La scelta a cui è approdato il presidente Emmanuel Macron, dopo lunga esitazione, cerca di gestire una situazione senza precedenti all’Assemblea Nazionale, che è priva di una maggioranza. La scommessa di Macron, in altre parole, è che ‘Mr. Brexit’ utilizzi i suoi quasi 50 anni di esperienza politica, per costruire ponti e traghettare la Francia fuori dall’attuale stallo politico. Ma di fronte agli occhi dell'Europa e del mondo intero, la grandeur è tramontata definitivamente.

A tutto ciò aggiungiamo altri particolari, attendendo gli esiti delle analisi giornalistiche: Candace Owens, giornalista investigativa americana, si è espressa sull'inchiesta del giornalista Xavier Poussard sulla famiglia di Emmanuel Macron. Parlando, in generale, dei potenti, ha affermato in un video su Telegram: "la mia teoria è che mettono i pedofili e le loro vittime in posizioni di comando, in modo da poterli controllare, in tutto il mondo".

"Innanzitutto, non sappiamo molto di Macron. È cresciuto con la nonna e la casa in cui vivevano ora è chiusa. Questo è molto strano. Non ci sono fotografie di Macron con i suoi genitori fino all’età di 25 anni. Abbiamo scoperto che una donna di nome François Nogias, presentata come la madre di Emmanuel Macron, era responsabile di un programma medico per persone transgender in Francia. Questa informazione non è mai apparsa sui giornali. E ci sono testimonianze che abbiamo trovato, in cui le persone transgender ringraziano François Noguesse per questo programma. Dobbiamo anche ricordare che Macron, prima di diventare presidente, era un banchiere dei Rothschild. Ma non aveva le qualifiche per fare il banchiere".

giovedì 5 settembre 2024

Ue, la scossa di Draghi: “Cambiare o morire”

@ - Dal sogno americano, all’incubo europeo. C’è un’immagine che più di tutte ha toccato le corde emotive dei capigruppo al Parlamento europeo durante i novanta minuti di confronto con Mario Draghi. È comparsa quando l’ex premier ha confessato di avere “incubi” sul futuro dell’Europa, invitando di conseguenza i suoi interlocutori a fare subito ciò che serve per scacciare un incubo: svegliarsi.

DRAGHI SVELA IL REPORT, 'PER L'UE RIFORME SENZA PRECEDENTI'© ANSA

Lo ha fatto prima con gli ambasciatori dei 27 Stati membri – spronando i governi Ue a mettere da parte le divisioni per dar vita a «una cooperazione senza precedenti» – e poi con i leader politici dell’Eurocamera, ai quali ha anticipato a grandi linee i contenuti del rapporto sulla competitività che lo ha tenuto impegnato negli ultimi undici mesi. Il lavoro è ormai completo e nei prossimi giorni verrà consegnato a Ursula von der Leyen. Il passaggio nelle mani della presidente della Commissione avverrà simbolicamente lunedì verso l’ora di pranzo, con circa due mesi di ritardo rispetto ai piani iniziali. Ma Draghi non ha nascosto la soddisfazione per aver già ottenuto un paio di risultati: nel corso dei due incontri di ieri, secondo fonti qualificate, l’ex premier «ha fatto notare che molte delle sue idee hanno trovato posto nelle linee guida politiche presentate a luglio da von der Leyen per il suo secondo mandato» e che la sostanza del report «si rifletterà nelle lettere d’incarico ai commissari designati».

Soddisfazione che però non può trasformarsi in compiacimento, anche perché è stata proprio questa una delle principali critiche mosse da Draghi ai responsabili politici europei. Ha chiesto loro di agire «con urgenza» per evitare che l’Europa continui a perdere competitività a causa di quelli che nel corso dei suoi interventi ha definito come «freni strutturali»: ritardi nella capacità di innovazione, prezzi dell’energia più elevati rispetto ai concorrenti, scarsità di competenze, lentezza nella digitalizzazione e mancanza di capacità nel campo della Difesa comune. Bisogna dunque «riconquistare un vantaggio competitivo» per evitare di finire schiacciati dai principali concorrenti. Da un lato gli Stati Uniti, dall’altro la Cina, in mezzo un’Europa vaso di coccio. Ecco l’incubo dell’ex numero uno della Bce.

Consapevole che Ursula von der Leyen ha tutta l’intenzione di raccogliere il suo messaggio e di trasformarlo in vere e proprie proposte legislative, Draghi ha deciso di rivolgersi in anticipo ai protagonisti delle due istituzioni che dovranno occuparsi dell’approvazione dei vari provvedimenti. Il Parlamento europeo e soprattutto il Consiglio dell’Unione europea, dove siedono i governi. La giornata di ieri gli è servita per capire che nell’Eurocamera una convergenza è possibile: basti pensare che al termine dell’incontro il capogruppo dei popolari, Manfred Weber, e quello dei Verdi, Bas Eickhout, sono usciti insieme per dire sostanzialmente di essere sulla stessa linea rispetto all’analisi e alle soluzioni prospettate dall’italiano. E se i due estremi della nuova coalizione sono d’accordo, vuol dire che in Parlamento ci sono margini per consolidare un consenso. «Il fatto che la questione della competitività sia al primo posto – ha spiegato il capo del Ppe – per noi è un gran messaggio. Ma non ci ha parlato solo di numeri, bensì di valori europei». Al suo fianco, l’ecologista si è detto molto soddisfatto perché «Draghi ha insistito sulla necessità di mantenere la qualità dei servizi pubblici e del mercato del lavoro, inserendo la questione climatica tra i più importanti valori europei». Scettici gli eurodeputati della sinistra, ai quali si è accodato anche il Movimento 5 Stelle: secondo l’ex presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, «il rapporto Draghi non è all’altezza delle sfide».

Ma il cammino più ostico sembra essere quello del Consiglio. E a Draghi, qualora ce ne fosse bisogno, è bastato il confronto di ieri con il Coreper (il comitato dei 27 rappresentanti permanenti) per capire che le divisioni tra i governi potrebbero essere un grande ostacolo. Dopo il suo intervento, non meno di 20 ambasciatori hanno preso la parola srotolando il loro cahier de doléances in base alle rispettive priorità: unione dei mercati di capitali, prezzi dell’energia, inclusione sociale, transizione ecologica, sburocratizzazione, rimozione delle barriere nel mercato unico, promozione dell’industria della Difesa, rafforzamento della Coesione, politica commerciale, norme sugli aiuti di Stato, principio della neutralità tecnologica.

Draghi ha replicato, senza troppo entrare nel merito delle singole questioni e sorvolando sul nodo del debito comune, che in molte capitali resta un tabù. Ma ha evidenziato la necessità di dar vita a una cooperazione «senza precedenti» tra gli Stati membri e ha invitato i rappresentanti dei governi a prendere in considerazione «una riforma completa di tutte le istituzioni». Tra qualche giorno le sue proposte saranno di dominio pubblico: «Ora spetta a voi – si è congedato – portare avanti il lavoro e trasformare queste raccomandazioni in risultati concreti per i cittadini europei».

Ucraina, le dimissioni di Kuleba e la debolezza di Zelensky

@ - Cosa c’è dietro la raffica di dimissioni a Kyiv comprese quelle del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba? È un semplice, seppur ampio, rimpasto? Un cambio programmato da tempo? Una purga per eliminare pericolosi rivali, presenti e futuri? Un modo per sparigliare le carte nelle faide interne? Una risposta univoca non c’è, ma con grande probabilità alla verità si arriva sommando i vari fattori.

Ucraina, le dimissioni di Kuleba e la debolezza di Zelensky

Quello che è certo è se che mezzo governo viene sostituito, se all’interno dell’amministrazione e tra i vertici militari le girandole di poltrone sono all’ordine del giorno, se il cerchio magico di Volodymr Zelensky perde pezzi e a dettare il ritmo degli avvicendamenti un po’ ovunque è il suo alter ego, il capo dell’ufficio presidenziale Andryi Yermak, allora forse non tutto sta andando per il verso giusto. I cambiamenti non sono quasi mai un segno di forza, ma di debolezza, soprattutto in un Paese che sta affondando.

I cambi di guardia nelle forze armate, con Budanov pronto a sostituire Syrsky

Non è la prima volta che arriva un repulisti da quando è iniziata l’invasione russa: di pezzi piccoli e grossi il governo ne ha già persi per strada una decina, ora di quelli nominati nel 2019 non è rimasto quasi nessuno. E se i ministeri chiave (Interni, Esteri, Difesa, Giustizia, Finanze, Economia, Infrastrutture) sono prima o poi passati di mano, anche le forze armate hanno cambiato guida, con Valery Zaluzhny sostituito dal generale Oleksandr Syrsky lo scorso febbraio ed è ancora da vedere se quest’ultimo riuscirà a mangiare il panettone: l’esito dell’incursione ucraina nel territorio russo di Kursk deciderà il destino di Syrsky, con Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare, già pronto a prenderne il posto. Ovviamente l’andamento del conflitto determina promozioni e bocciature tra i vertici militari e influisce sugli equilibri politici a Kyiv.

Zelensky con l’azzardo dell’attacco in Russia sta ipotecando il sostegno degli Usa
Come nel settembre del 2023 il ministro della Difesa Olexey Reznikov aveva dovuto lasciare spazio a Rustem Umerov, dopo il fallimento della controffensiva tanto annunciata e mai vista, stavolta saltano in tanti, uno su tutto appunto Kuleba, forse il nome più inquietante tra i bocciati, visto che il ministro degli Esteri è stato fondamentale nelle relazioni con gli alleati occidentali; questo valeva in teoria anche per il generale Zaluzhny, che però ha finito a fare l’ambasciatore a Londra e a scrivere libri. Anche Kuleba, si dice, potrebbe intraprendere la strada diplomatica, magari a Bruxelles. Non ha nemmeno tutti i torti Maria Zakharova, la cinica portavoce del ministero degli esteri di Mosca, che commentando le dimissioni del ministro ha dichiarato: «Autunno, cadono le foglie e i rami si mostrano nudi». Questioni di errori sul campo o di rivalità con il presidente? Entrambe le cose: ed è per questo che appeso a un filo non è solo Syrsky, ma anche lo stesso Zelensky, che con l’azzardo dell’attacco in Russia sta ipotecando il sostegno degli alleati, soprattutto degli Usa.

Il presidente cala nei sondaggi e il terzo inverno di guerra è alle porte
Sia a Kyiv che nelle cancellerie occidentali sono molti i dubbi che l’incursione possa ribaltare il conflitto. Dopo un mese l’offensiva nella regione di Kursk si è fermata, la Russia da un lato la tiene sotto controllo senza troppa difficoltà né urgenza di respingerla, dall’altro prosegue l’avanzata nel Donbass. È qui che le forze ucraine paiono molto indebolite. I russi sono ormai alle porte di Pokrovsk e la strategia di Zelensky e Syrsky non sembra dare frutti. Il capo dello Stato sta calando vistosamente nei sondaggi, il governo del premier Denis Shmyhal non ha mai goduto di grande popolarità, l’elettorato è irrequieto e stanco della guerra, il prossimo inverno si annuncia ancora peggiore dei precedenti. I malumori alla Rada, il parlamento, non affliggono solo l’opposizione, ma serpeggiano anche tra le varie correnti della maggioranza e di Servitore del Popolo, il partito del presidente. Volodymyr Zelensky ha parlato di un nuovo capitolo, di nuova energia necessaria per affrontare anche questa fase del conflitto, con i prossimi mesi che saranno decisivi per capire come e se cambierà il supporto degli Stati Uniti dopo le Presidenziali di novembre. L’impressione è però quella di un presidente indebolito e in parte anche isolato, che rischia di diventare il prossimo, grande, capro espiatorio, soprattutto se la guerra continuerà sulla stessa piega e l’Occidente non vorrà intervenire se non per consigliare di mettersi al tavolo delle trattative con la Russia.