@ - di Corinna De Cesare
Per capire come cambierà il lavoro dopo il coronavirus basta partire dal dietro le quinte delle interviste contenute in questo pezzo: un amministratore delegato spadellava (e mangiava) mentre era al telefono, un altro stava seduto al computer con un braccio ingessato e gli occhi rivolti verso la montagna, un altro lavorava dal terrazzo. Il lavoro insomma è già cambiato ed è stato il primo cambiamento, forte, immediato, allo scoppio dell'emergenza sanitaria. Gli uffici si sono svuotati e si sono trasferiti nelle nostre case, in un angolo del salone, della cucina, del terrazzo o della camera da letto. Facendo schizzare in alto l'asticella dello smartworking, strumento usato fino a poco tempo fa da una modestissima fetta di imprese. Chi è rimasto in azienda, quelle rimaste aperte durante il lockdown, si è munito di mascherine e guanti, non ha usato l'ascensore, si è allontanato dai colleghi, ha attuato insomma le classiche misure di sicurezza che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi mesi definendole tristemente «distanziamento sociale».
Nell'automotive, uno dei settori più colpiti dal coronavirus, cominciano a vedersi i primi accordi con i sindacati per la fase2, quella della ripartenza. Con obbligo, vedi Fca, di mascherina per tutto il personale, rilevazione delle temperature prima dell'ingresso in azienda, mantenimento della distanza di almeno un metro, sanificazione degli ambienti, procedure per evitare assembramenti nelle mense e negli spogliatoi dove ovviamente si farà abbondante uso di dispenser di amuchina. È solo una delle prime intese raggiunte ma che ci dice molto di quello che sarà il lavoro dopo. Perché come spiega Silvia Candiani, amministratore delegato di Microsoft, "niente sarà come prima". Neanche in ambito sanitario, il settore di cui più si parla in questo momento storico. "Con Teams ad esempio - spiega Candiani - i dottori si stanno coordinando tra loro per evitare contatti ravvicinati e hanno la possibilità di eseguire appuntamenti e visite con pazienti che non richiedono indagini di persona. La telemedicina, coadiuvata con rilievi da fare a casa, cambierà il modo di erogare le prestazione sanitarie». Gli psicologi hanno cominciato a fare sedute di psicoterapia collegati in videocall e circa "10 mila giudici in Italia hanno approvato l'uso di Teams - aggiunge Candiani - in un settore in cui, bisogna ricordarlo, c'è ancora il messo comunale che ti porta le notifiche".
E così cominciano a proliferare aziende e startup che vendono sensori indossabili, ingegnerizzati e capaci di avvertire se si è troppo vicini a qualcuno e quindi, più a rischio. Utilizzabili ad esempio nelle catene di montaggio o nei magazzini dove vengono smistati i prodotti comprati online.
Ovviamente il lavoro subirà delle conseguenze, pesanti, anche dal punto di vista numerico: secondo l'Ilo, l'Organizzazione Internazionale del lavoro dell'Onu, rischiamo di perdere 25 milioni di posti di lavoro. Una cifra monstre con alcuni settori particolarmente in difficoltà: manifattura, real estate, vendita diretta, trasporti, ristorazione ma anche musica, arte e spettacolo. Che concerti vedremo nel futuro? Sarà ancora possibile riempire gli stadi? Sono domande che in questo momento si stanno facendo tutti gli artisti e il personale che ruota attorno a questo campo. "Anche se la tecnologia sta già cambiando da tempo questo settore - spiega Marco Alboni, amministratore delegato di Warner Music - ci sono ologrammi in concerto, i Coldplay che presentano l'album con due concerti in cima all'antica Citadel di Amman in Giordania in diretta su Youtube. L'adattamento a questa nuova situazione farà emergere competenze nuove, aziende nuove, tipi di business che non esistevano prima, anche nella musica e nelle arti". Ma le folle radunate a Circo Massimo o come nel 2017 per il Modena Park di Vasco Rossi, sarà molto difficile rivederle a breve termine.
"Con il virus dovremo conviverci, questo è evidente - aggiunge Marco Ceresa, amministratore delegato di Randstad, agenzia per il lavoro - e il lavoro è già cambiato. Le faccio un esempio: in questi giorni avevo bisogno dell'elettricista, il mio non era disponibile e ha mandato un suo ragazzo. Era più giovane, con meno esperienza, ma aveva uno smartphone e con un'app di realtà aumentata è riuscito a fare delle cose che da solo non sarebbe stato in grado di fare". Non è escluso che in futuro queste app potremmo usarle anche noi, coadiuvati da remoto dall'elettricista senior.
"Dobbiamo prepararci ad affrontare due fasi - puntualizza Cristina Pozzi, ceo di Impactscool e autrice di "Benvenuti nel 2050" (Egea, 2019) - la fase di passaggio e quella di trasformazione che determina come cambieranno le cose a lungo termine. Secondo Harvard quella del Coronavirus sarà un'emergenza che ci porteremo avanti fino al 2022 con alcune categorie di lavori a rischio che continueranno a tutelarsi solo in un modo: restando in casa. Di certo, in questa fase di passaggio, abbiamo dato un'accelerazione alla digitalizzazione che fa anche bene all'ambiente e questa mi sembra già una buona notizia. Sicuramente saremo più fluidi, multicanale, multi strumento, tutte cose che le nuove generazioni si portano dietro nel dna. Tutti gli altri saranno costretti a cambiare mentalità, anche con l'aiuto di digital evangelist. Perché non è tanto fare riunioni su Zoom o su Teams da remoto, come sta succedendo in questi giorni, ma di non farle durare un'ora e mezza come prima, imparando a essere più agili, flessibili. Alcuni settori dovranno reinventarsi, dall'albergatore alla piccola attività commerciale che dovrà imparare a fare le consegne a casa e non come sta succedendo adesso attraverso un numero di telefono che risulta sempre occupato. Di sicuro c'è fermento digitale e per la prima volta non ha come prima finalità il guadagno e questo potrebbe sicuramente portare a un'accelerazione dei processi innovativi".
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