domenica 3 dicembre 2017

Intervista a Vito Mancuso: "Con Francesco tensioni fortissime, c'è il rischio che la Chiesa si spezzi"

Intervista a Vito Mancuso: "Con Francesco tensioni fortissime, c'è il rischio che la Chiesa si spezzi": "A Carate Brianza, si sentiva in esilio: "Mio padre e mia madre erano emigrati dalla Sicilia poco prima che nascessi. Andavo a scuola in provincia di Monza e già quando i professori facevano l'appello in classe sentivo che c'era qualcosa che non andava. Io mi chiamo Vito Mancuso. Il mio nome e cognome evocano prepotentemente il sud. Invece, crescevo nella Brianza bianchissima degli anni sessanta. Mi sentivo fuori posto e diverso. Avvertivo su di me il razzismo, la diffidenza di certa gente. Credo che dalla lacerazione tra ciò a cui appartenevo e il luogo in cui mi trovavo sia nato in me il bisogno di pensare".

Per rifondare la fede cristiana su una base laica e universale, Vito Mancuso ha affrontato duemila anni di dottrina della Chiesa, armato di Tommaso d'Acquino e Albert Einstein, di filosofia e di scienza, del suo corpo e della sua mente: tutti uniti nella lotta. Teologo, ha scritto che il peccato originale è "un'offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all'innocenza e alla bontà della natura". Ha definito l'inferno "un concetto teologicamente indegno, logicamente inconsistente, moralmente deprecabile". Ha incuriosito il mondo secolare e procurato allarme in quello religioso. "Svuota di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa"(La Civiltà Cattolica). "Ha suscitato in me un senso di profondo disagio"(Osservatore Romano) .

Leggendo il suo ultimo libro – "Il bisogno di pensare" (Garzanti) – si ha l'impressione che il margine sia per Mancuso il luogo da cui può sentire più forte l'appartenenza, come lo sradicamento è all'origine del suo bisogno di radicarsi: "Non ho mai tenuto a essere iscritto a una scuola, fosse quella hegeliana, kantiana, martiniana. Preferisco coltivare l'indipendenza, anche nei confronti dei maestri".

Lei si occupa di Dio, ma richiama sempre la carne. Perché?

Nietzsche diceva che non bisogna mai prestare ascolto a un pensiero che viene in mente quando non si è in cammino. E che avere il "sedere di pietra" – cioè, stare sempre seduti – è un peccato contro lo spirito santo. La parte del corpo con cui penso di più sono i piedi. Essi mi fanno sentire la concretezza delle cose. Giacché il pensiero è sempre immerso nel materiale.

Anche le idee lo sono?

Le idee sono delle visioni, non sono concetti che si pensano e che si elaborano: sono qualcosa che si impone alla vista, anche se li si guarda con gli occhi interiori. È questo ciò che connota le grandi intuizioni dei musicisti, dei poeti, degli artisti, degli scienziati.

Gli scienziati non lo fanno con gli esperimenti?

Quando nel 1964 Peter Higgs teorizzò l'esistenza di un bosone oltre le particelle elementari, non aveva nessun dato per sostenerlo. Lo vide. Quarant'anni dopo, al Cern di Ginevra, verificarono che c'era davvero. Fu così anche per la teoria della relatività. Einstein aveva da una parte la meccanica quantistica, dall'altra le leggi dell'elettromagnetismo: due teorie che prese singolarmente erano vere, ma insieme erano inconciliabili. La sua visione della relatività le univa. Finché non fu verificata, anch'essa era pura immaginazione.

La sua fantasia di cosa si è nutrita?

Mio padre era un muratore, mia madre cominciò facendo la sartina. A casa mia c'erano solo due libri: un vangelo con la copertina bianca e le pagine sottilissime, e un libro di preghiere. Quando mio padre ebbe un piccolo successo economico, cominciò a comprare a rate delle enciclopedie. I volumi arrivavano una volta al mese. Io sfogliavo Le Scienze, Universi, perdendomi nelle parole e nelle illustrazioni. E poi c'erano i romanzi d'avventura di Emilio Salgari.

Fece il liceo negli anni settanta. Com'era?

Studiavo a Desio, a dieci chilometri da Milano. Era una zona operaia, vicino agli stabilimenti dell'Autobianchi. Democrazia proletaria era fortissima, come gli altri gruppi dell'estrema sinistra. Desio, però, aveva anche una grande tradizione cattolica. È la città di Don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e Liberazione. E ogni manifestazione finiva nella piazza che ospita la statua di Pio XI – anch'egli nato lì – con una bandiera rossa inforcata tra le tre dita benedicenti.

Lei da che parte stava?

In mezzo agli extraparlamentari di sinistra e ai ragazzi di Cielle. Ero vicino al cattolicesimo democratico, ma sopratutto ero lontano, anzi provavo allergia nei confronti di quei miei coetanei che sapevano già tutto della vita, che avevano in tasca una verità rossa, bianca oppure nera. Sentivo in loro una falsità. Avevo l'impressione che rimuovessero le contraddizioni dell'esistenza, nascondendosi dietro una citazione ritagliata dai loro testi di riferimento. Io, invece, cercavo la verità che c'era dentro ogni posizione: la verità della tesi, e quella dell'antitesi. Quando scoprii Hegel, sentii una grande affinità con la sua dialettica.

Così giovane lesse Hegel?

No, a diciassette anni lessi Dio esiste? di Hans Küng, un libro di più di mille pagine che si interroga sul rapporto tra il pensiero moderno e l'idea di Dio, dove c'era una parte dedicata ad Hegel. Quando lo finii, mi dissi: "A questo voglio dedicarmi: a pensare Dio filosoficamente". Fu una lettura decisiva. Mi cambiò la vita." SEGUE >>>

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