@ - Cosa c’è dietro la raffica di dimissioni a Kyiv comprese quelle del ministro degli Esteri Dmytro Kuleba? È un semplice, seppur ampio, rimpasto? Un cambio programmato da tempo? Una purga per eliminare pericolosi rivali, presenti e futuri? Un modo per sparigliare le carte nelle faide interne? Una risposta univoca non c’è, ma con grande probabilità alla verità si arriva sommando i vari fattori.
Ucraina, le dimissioni di Kuleba e la debolezza di Zelensky
Quello che è certo è se che mezzo governo viene sostituito, se all’interno dell’amministrazione e tra i vertici militari le girandole di poltrone sono all’ordine del giorno, se il cerchio magico di Volodymr Zelensky perde pezzi e a dettare il ritmo degli avvicendamenti un po’ ovunque è il suo alter ego, il capo dell’ufficio presidenziale Andryi Yermak, allora forse non tutto sta andando per il verso giusto. I cambiamenti non sono quasi mai un segno di forza, ma di debolezza, soprattutto in un Paese che sta affondando.
I cambi di guardia nelle forze armate, con Budanov pronto a sostituire Syrsky
Non è la prima volta che arriva un repulisti da quando è iniziata l’invasione russa: di pezzi piccoli e grossi il governo ne ha già persi per strada una decina, ora di quelli nominati nel 2019 non è rimasto quasi nessuno. E se i ministeri chiave (Interni, Esteri, Difesa, Giustizia, Finanze, Economia, Infrastrutture) sono prima o poi passati di mano, anche le forze armate hanno cambiato guida, con Valery Zaluzhny sostituito dal generale Oleksandr Syrsky lo scorso febbraio ed è ancora da vedere se quest’ultimo riuscirà a mangiare il panettone: l’esito dell’incursione ucraina nel territorio russo di Kursk deciderà il destino di Syrsky, con Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare, già pronto a prenderne il posto. Ovviamente l’andamento del conflitto determina promozioni e bocciature tra i vertici militari e influisce sugli equilibri politici a Kyiv.
Zelensky con l’azzardo dell’attacco in Russia sta ipotecando il sostegno degli Usa
Come nel settembre del 2023 il ministro della Difesa Olexey Reznikov aveva dovuto lasciare spazio a Rustem Umerov, dopo il fallimento della controffensiva tanto annunciata e mai vista, stavolta saltano in tanti, uno su tutto appunto Kuleba, forse il nome più inquietante tra i bocciati, visto che il ministro degli Esteri è stato fondamentale nelle relazioni con gli alleati occidentali; questo valeva in teoria anche per il generale Zaluzhny, che però ha finito a fare l’ambasciatore a Londra e a scrivere libri. Anche Kuleba, si dice, potrebbe intraprendere la strada diplomatica, magari a Bruxelles. Non ha nemmeno tutti i torti Maria Zakharova, la cinica portavoce del ministero degli esteri di Mosca, che commentando le dimissioni del ministro ha dichiarato: «Autunno, cadono le foglie e i rami si mostrano nudi». Questioni di errori sul campo o di rivalità con il presidente? Entrambe le cose: ed è per questo che appeso a un filo non è solo Syrsky, ma anche lo stesso Zelensky, che con l’azzardo dell’attacco in Russia sta ipotecando il sostegno degli alleati, soprattutto degli Usa.
Il presidente cala nei sondaggi e il terzo inverno di guerra è alle porte
Sia a Kyiv che nelle cancellerie occidentali sono molti i dubbi che l’incursione possa ribaltare il conflitto. Dopo un mese l’offensiva nella regione di Kursk si è fermata, la Russia da un lato la tiene sotto controllo senza troppa difficoltà né urgenza di respingerla, dall’altro prosegue l’avanzata nel Donbass. È qui che le forze ucraine paiono molto indebolite. I russi sono ormai alle porte di Pokrovsk e la strategia di Zelensky e Syrsky non sembra dare frutti. Il capo dello Stato sta calando vistosamente nei sondaggi, il governo del premier Denis Shmyhal non ha mai goduto di grande popolarità, l’elettorato è irrequieto e stanco della guerra, il prossimo inverno si annuncia ancora peggiore dei precedenti. I malumori alla Rada, il parlamento, non affliggono solo l’opposizione, ma serpeggiano anche tra le varie correnti della maggioranza e di Servitore del Popolo, il partito del presidente. Volodymyr Zelensky ha parlato di un nuovo capitolo, di nuova energia necessaria per affrontare anche questa fase del conflitto, con i prossimi mesi che saranno decisivi per capire come e se cambierà il supporto degli Stati Uniti dopo le Presidenziali di novembre. L’impressione è però quella di un presidente indebolito e in parte anche isolato, che rischia di diventare il prossimo, grande, capro espiatorio, soprattutto se la guerra continuerà sulla stessa piega e l’Occidente non vorrà intervenire se non per consigliare di mettersi al tavolo delle trattative con la Russia.
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