@ - La vittoria del partito Ennahda in Tunisia, le dichiarazioni del presidente del Cnt libico e le incognite sul futuro dell'Egitto: viaggio inchiesta nei Paesi a maggioranza musulmana.
La vittoria del partito islamico tunisino Ennahda alle prime elezioni dell’era post Ben Alì e le ultime dichiarazioni del presidente del Consiglio nazionale di transizione libico sulla volontà di introdurre la sharia nel Paese ripropongono su larga scala il dibattito – in verità mai sopito – sul ruolo della legge islamica negli ordinamenti statali moderni. Che si ripropone anche in Egitto, dove i Fratelli musulmani sono favoriti nelle prossime elezioni politiche. Slogan come "l’islam è la soluzione" sono oggi la bandiera politica di numerosi movimenti politici che puntano all’edificazione di uno Stato su basi ritenute divine. E dove le minoranze cristiane devono spesso fare i conti con restrizioni più o meno grandi della loro libertà di espressione. Se è vero che alcuni Paesi islamici – come la Turchia, l’Indonesia e il Senegal – adottano una forma di separazione tra Stato e religione, molti altri evocano la sharia come fonte principale, e talvolta unica, della legislazione. La sharia viene "integralmente" applicata, secondo la rigida interpretazione wahhabita, in Arabia Saudita, unico Paese al mondo a considerare il Corano come la propria "Costituzione". Il venerdì, dopo la preghiera del mezzogiorno, l’esecuzione delle pene previste dal Corano, i cosiddetti hudud, ha luogo in pubblico: taglio della mano per i ladri, decapitazione per gli assassini, lapidazione per gli adulteri. Nelle città i membri della polizia religiosa, i mutawain, vegliano al rigoroso rispetto del codice di abbigliamento islamico. Ma la sharia regna sovrana in tutti gli altri Paesi del Golfo. Così nel Kuwait, dove la legge islamica viene indicata come "fonte principale della legislazione" (articolo 2). Nello Yemen l’articolo 3 della Costituzione stabilisce che "la sharia islamica è la fonte di tutte le legislazioni" del Paese. L’articolo 12 del codice penale menziona le pene coraniche previste per gli hudud: ribellione, apostasia, rapina, furto, adulterio, falsa accusa di adulterio e consumo di vino. Negli Emirati Arabi Uniti, l’articolo 75 del regolamento della Corte suprema federale precisa che "vengono applicate le prescrizioni della sharia islamica, le leggi federali e altre leggi in vigore negli emirati membri in armonia con le prescrizioni della sharia". Il regolamento fa poi riferimento alle regole consuetudinarie precisando che vengono applicati solo "quando non in contraddizione con le prescrizioni della sharia". La sharia costituisce la fonte unica della legislazione in Iran sin dal 1979, anno di instaurazione della Repubblica islamica. L’articolo 4 della Costituzione afferma, infatti, che "tutte le leggi, tutti i regolamenti di ordine civile, penale, finanziario, economico amministrativo, militare, politico o altro, siano stabiliti sulla base delle norme islamiche". L’islam è definito religione di Stato all’articolo 12, con la precisazione che il rito ufficiale è quello sciita duodecimano. Assai singolare è il caso dell’Egitto, dove la Costituzione del 1971 stabiliva nell’articolo 2 che "i principi della legge islamica costituiscono una fonte principale della legislazione". Fino all’emendamento costituzionale del 22 maggio 1980, proposto dall’allora presidente Anwar Sadat, secondo il quale i principi della legge islamica sono diventati "la fonte principale della legislazione" egiziana. La mossa di Sadat è stata interpretata come una concessione ai gruppi fondamentalisti che esigevano una "stretta" in senso islamico della carta fondamentale dello Stato. Nello stesso periodo, è stato anche stabilito, per decisione della Corte costituzionale, che "qualunque legge contraria all’islam è contraria alla Costituzione". Di fronte alle difficoltà oggettive di introdurre la sharia in Paesi multireligiosi si è fatto ricorso a diverse soluzioni. Così nella Nigeria, dove dodici Stati della Federazione hanno introdotto, a partire dal 2000, la legge islamica riconoscendo ai propri tribunali religiosi il diritto di dirimere le questioni penali, avvalendosi di un articolo della Costituzione che autorizza le corti d’appello islamiche a esercitare "un’altra giurisdizione loro conferita dalla legge dello Stato". Fino ad allora, i tribunali sharaitici avevano competenza solo in materia di matrimonio e codice di famiglia relativamente a musulmani o a controversie tra musulmani in cui le parti acconsentono a ricorrere ad essi. Un recente e interessante caso di revisione della Carta costituzionale in chiave islamica è l’Iraq post-Saddam. La nuova Costituzione, sottoposta a referendum popolare nel 2005, menziona l’islam come religione di Stato e la sharia "una fonte principale della legislazione". Precisando che "non è permesso emanare leggi contrarie ai principi e alle disposizioni dell’islam", la Carta afferma tuttavia, all’articolo 41, il rispetto della libertà di pensiero e di coscienza di tutti i cittadini.
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