sabato 4 gennaio 2020

Iran, allerta per i soldati italiani. Guerini: «No al disimpegno»

@ - «Nessun disimpegno è allo studio». Lorenzo Guerini, ministro della Difesa, chiude ancor prima che possa cominciare l'eventuale dibattito nel governo rosso-giallo sulla permanenza all'estero dei 6.000 militari italiani impegnati in missioni internazionali


Dopo il raid americano a Baghdad, che ha portato all'uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, alla violentissima reazione di Teheran e alle minacce del mondo sciita contro le forze occidentali in Iraq e Libano, però l'allerta per i nostri soldati è massima.


Proprio Guerini, in contatto con il capo di stato maggiore della Difesa Enzo Vecciarelli, ha chiesto informazioni al Comando Operativo di Vertice Interforze (Coi) sui contingenti nazionali presenti nei vari teatri operativi e ha ordinato di alzare le misure di sicurezza. Inoltre, il ministro dem ha chiesto di limitare al minimo gli spostamenti al di fuori delle basi. E il sottosegretario grillino alla Difesa, Angelo Tofalo, ha messo a verbale: «Con l'uccisione del generale iraniano Soleimani si sta delineando il quadro di una situazione complessa che deve necessariamente essere stabilizzata per scongiurare una pericolosa escalation di tensione. La priorità è soprattutto la sicurezza dei nostri militari, a tal riguardo c'è già stato l'innalzamento delle misure di sicurezza nelle basi».

MISSIONI A RISCHIO
La situazione è critica soprattutto in Iraq. Il Coi teme attacchi contro le basi italiane nel territorio iracheno e in Kuwait dove sono impegnati, nell'operazione Prima Parthica (iniziata nel 2014), ben 926 militari con compiti di addestramento delle forze di sicurezza curde e irachene, attività air-to-air refueling (rifornimento in volo), ricognizione e sorveglianza di aerei e velivoli a pilotaggio remoto. Allerta massima anche in Libano dove è operativa una missione di diecimila uomini (1.100 italiani) comandata dal generale Stefano Del Col. Qui gli Hezbollah, storici alleati dell'Iran, hanno annunciato rappresaglie per «vendicare Soleimani». Tensione alle stelle pure in Libia, dove trecento militari presidiano un ospedale gestito da medici italiani a Misurata. «La situazione è critica e i nostri soldati sono particolarmente esposti», afferma Vincenzo Camporini, ex capo di Stato maggiore della Difesa, «non c'è infatti dubbio che di fronte all'azione americana contro un esponente politico di altissimo spessore, l'Iran dovrà reagire per non perdere la faccia. Un'escalation è sicura, è stata varcata la linea rossa e non sappiamo cosa c'è dietro...».
Il premier Giuseppe Conte, secondo palazzo Chigi, «segue la situazione con la massima attenzione» e ha condiviso la decisione di Guerini di alzare i livelli di sicurezza. Decisione, fanno sapere alla Difesa, condivisa dai vertici delle coalizioni internazionali in cui operano i nostri soldati nel quadro di operazioni Onu, Nato, Unione europea.

IL VOTO SUL DECRETO
Da capire cosa accadrà a fine gennaio e inizio febbraio quando il Parlamento sarà chiamato, come ogni anno, a votare il decreto missioni. In passato i 5Stelle e Leu non sempre hanno detto sì, ma Luigi Di Maio sembra ormai piegato alla realpolitik e nel ruolo di ministro degli Esteri si limita a dirsi «fortemente preoccupato per la pericolosa escalation» in Iraq, mentre il leader di Leu Roberto Speranza già annuncia il voto a favore del rinnovo delle missioni: «Chiederemo però una particolare attenzione sull'operazione in Libia». Dunque non ci dovrebbero essere problemi. Tanto più perché ogni missione militare è decisa e diventa operativa dentro cornici internazionali frutto di deliberati dell'Onu e di intese in seno alla Nato e all'Unione europea.
L'uccisione di Soleimani ha innescato anche un nuovo scontro politico. E divisioni a destra. Matteo Salvini ha festeggiato il raid: «Donne e uomini liberi, alla faccia dei silenzi dei pavidi dell'Italia e dell'Unione Europea, devono ringraziare Trump per aver eliminato uno degli uomini più pericolosi e spietati al mondo un terrorista islamico nemico dell'Occidente». Presto è arrivata però la bacchettata della leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni: «La complessa questione mediorientale non merita tifoserie da stadio ma necessita di grande attenzione. Un'escalation non è nell'interesse dell'Italia». Lapidario Ignazio La Russa, capogruppo di FdI: «Non condivido il grazie a Trump di Salvini».

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