martedì 5 novembre 2019

La lettera di ArcelorMittal ai commissari Ilva: ecco perché ce ne andiamo

@ - Il venir meno dell'immunità penale sul piano ambientale, il rischio di veder spento l'altoforno 2 per motivi di sicurezza e il generale clima di ostilità. Ecco i motivi per cui la multinazionale dell'acciaio si chiama fuori dalla gestione del gruppo e lo riaffida ai commissari, e quindi allo Stato.
Sei pagine firmate dall'ad Morselli, indirizzate ai commissari straordinari Ilva Ardito, Danovi e Lupo - l'amministrazione straordinaria è infatti proprietaria degli impianti mentre ArcelorMittal solo affittuaria - e tre motivazioni sostanziali. In sintesi, è qui la lettera di recesso del contratto con cui la multinazionale dell'acciaio si chiama fuori dalla gestione del gruppo e lo riaffida ai commissari, e quindi allo Stato, dai quali l'aveva preso in carico l'1 novembre 2018 dopo la gara di aggiudicazione vinta a giugno 2017, il via libera dell'Unione Europea a maggio 2018 e l'accordo con i sindacati al Mise a settembre 2018.

Le motivazioni addotte da ArcelorMittal sono:
  1. il venir meno dell'immunità penale sul piano ambientale col decreto Imprese, da pochi giorni convertito in legge;
  2. il rischio di veder spento l'altoforno 2 per la mancata adozione delle prescrizioni di sicurezza e, a seguire, per le stesse ragioni, anche degli altiforni 1 e 4;
  3. “il generale clima di ostilità” che rende impossibile la gestione dell'azienda.
Sull'immunità, il provvedimento legislativo adottato, appunto la soppressione avvenuta col dl Imprese - con i Cinque Stelle che hanno fatto pressione per la cancellazione della norma portandosi dietro il resto della maggioranza -, «rende impossibile, fattualmente e giuridicamente, attuare il piano ambientale in conformità alle relative scadenze, nonché al contempo proseguire l'attività produttiva e gestire lo stabilimento di Taranto come previsto dal contratto, nel rispetto dell'applicabile normativa amministrativa e penale».

Facendo poi presente che numerosi responsabili operativi dell'area a caldo della fabbrica (quella che comprende parchi minerali, cokerie, altiforni e acciaierie) si sarebbero rifiutati di lavorare sapendo che la protezione legale non c'è più, ArcelorMittal scrive ai commissari che a questo punto «è necessario ed inevitabile chiudere l'intera area a caldo dello stabilimento di Taranto (a cui le misure del piano ambientale si applicano prevalentemente) e interrompere la produzione, con conseguente impossibilità sopravvenuta di eseguire il contratto».

Altoforno 2.
È l'impianto teatro di un incidente mortale a giugno 2015. La Procura lo sequestrò allora senza facoltà d'uso, il Governo intervenne subito con un decreto legge che permise la continuità dell'impianto a fronte di lavori di messa a norma da farsi in un tempo da concordare con l'autorità giudiziaria, e scattò così la facoltà d'uso. Ma la scorsa estate la Procura ha ripristinato il vecchio sequestro del 2015 sull'altoforno perché è emerso che non tutti i lavori di sicurezza prescritti sono stati effettuati.

Con un ricorso al Tribunale del Riesame, l'Ilva è però riuscita a ottenere nuovamente a settembre la facoltà d'uso. Tuttavia, sul fatto che si possano eseguire i lavori nei tempi fissati, ArcelorMittal scrive ai commissari: «Nonostante le indimostrate dichiarazioni contenute nella vostra lettera del 30 ottobre, gli organi competenti non hanno confermato in alcun modo che la presentazione dei progetti e dei cronoprogrammi relativi all'esecuzione della prescrizione entro il 13 novembre sia sufficiente per ottemperare all'ordinanza. Allo stato, quindi, Afo 2 dovrebbe essere spento».

Sul punto specifico, però, fonti vicine a Ilva hanno spiegato che questo aspetto è già stato chiarito. I termini, si afferma, si riferiscono alla presentazione della progettazione degli interventi e dell'analisi di rischio, adempimenti che le autorità contano di fare anche in anticipo sulle scadenze.

Nessun commento: