mercoledì 4 settembre 2019

Hong Kong, Carrie Lam annuncerà il ritiro formale della legge sull'estradizione

@ - Secondo quanto riportatano il South China Morning Post e altri media locali, l'annuncio è atteso in giornata.
La parolina magica, quella che per tre mesi ha evitato, ora Carrie Lam è pronta a pronunciarla. Secondo un’indiscrezione del South China Morning Post, poi confermata da fonti del governo, la Chief executive starebbe per “ritirare” la contestata legge sull’estradizione, causa scatenante delle proteste che in queste settimane hanno fatto precipitare nel caos la città.

Il ritiro della norma, finora solo sospesa, è la prima delle richieste dei manifestanti, che ottengono così la prima vera vittoria. Lam ha convocato i parlamentari della maggioranza pro-Pechino nella sua residenza alle 16, le 10 italiane, per comunicare loro la decisione. L’obiettivo, dice una fonte governativa, è “raffreddare l’atmosfera”, considerata l’escalation di violenze vista nelle ultime settimane. Il problema è che nel frattempo la parolina tanto, troppo attesa dai cittadini di Hong Kong rischia di aver perso gran parte del suo potere. Il ritiro è effettivamente l’inizio di una risposta politica, e ha fatto fare un balzo di gioia alla Borsa locale, ma oltre ad arrivare con enorme ritardo accoglie solo una delle cinque richieste del movimento. La cui fiducia nei confronti di Carrie Lam è ai minimi termini.



DAL NOSTRO INVIATO FILIPPO SANTELLI

Cosa dice la legge della discordia?
La norma che ha scatenato le proteste di Hong Kong regola l’estradizione dei sospetti verso i Paesi con cui al momento l’ex colonia britannica non ha un accordo specifico. Ufficialmente il governo di Carrie Lam l’ha presentata per risolvere il caso di un cittadino taiwanese accusato dell’omicidio della fidanzata, attualmente in carcere a Hong Kong. Il problema è che tra i Paesi coinvolti c’è anche la Cina continentale: così per i milioni di cittadini scesi in strada la legge ha finito per rappresentare un attentato all’autonomia della città rispetto a Pechino, non solo giudiziaria. In un primo momento, nonostante le proteste oceaniche (e pacifiche), Carrie Lam l’ha difesa, decidendo poi di sospenderla dopo gli scontri attorno al Parlamento del 12 giugno. Ha poi detto che la norma era di fatto “morta”, ma il rifiuto di ritirarla del tutto ha alimentato la rabbia dei cittadini.

Perché adesso?
Dopo tredici settimane di muro, e proteste che non accennano a placarsi, anzi aumentano di violenza, Lam avrebbe quindi deciso di fare un passo indietro. Un passo che le è stato raccomandato da molti esponenti dell’elite di Hong Kong che ha incontrato nei giorni scorsi, ma che senza dubbio è passato anche al vaglio di Pechino. La scorsa settimana Reuters ha rivelato, sulla base di fonti anonime, che la Chief executive aveva già proposto al governo cinese il ritiro della legge, sentendosi rispondere di no. Durante un incontro a porte chiuse tenuto la scorsa settimana con un gruppo di imprenditori, la cui registrazione è stata ottenuta e pubblicata dalla stessa Reuters, Lam aveva ammesso di avere uno spazio politico “molto, molto, molto limitato”. Quello spazio ora è stato ottenuto o concesso, secondo i punti di vista: sembra il riconoscimento, da parte di Lam e di Pechino, che per riportare l’ordine a Hong Kong il bastone, cioè le minacce e gli arresti dei manifestanti violenti, non basta.

E ora?
Subito dopo la diffusione della notizia la Borsa di Hong Kong è schizzata al rialzo del 3%, con i titoli del settore immobiliare a trascinare il gruppo. La comunità di affari, preoccupata per l’impatto dei disordini sulla già balbettante economia della città, gradirebbe un pronto ritorno all’ordine. Lam (e Pechino) sperano che il ritiro della legge basti ad accontentare la maggioranza pacifica della protesta, e insieme agli arresti dei violenti (già oltre mille) e al passare dei giorni smorzi il movimento. Se questa strategia possa avere successo lo si capirà con il tempo, ma almeno al momento sembra improbabile. Dopo settimane di ostinata opposizione alle loro richieste, la fiducia dei cittadini verso Carrie Lam e le istituzioni di Hong Kong è precipitata ai minimi storici. L’uso della forza da parte della polizia, apparso in molte circostanze eccessivo, l’ha resa un nemico, anche dei manifestanti pacifici. Le altre richieste sono l’amnistia nei confronti dei cittadini arrestati, una commissione indipendente che valuti l’operato degli agenti e il suffragio universale, il grande tabù di Pechino. E in pochi sembrano disposti ad accontentarsi.

Si avvicina anche una data chiave per la Cina: il primo ottobre si festeggiano i 70 anni della nascita della Repubblica Popolare. Una celebrazione che i disordini di Hong Kong rischiano di oscurare.

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