@ - Nel viaggio di ritorno da Mozambico, Madagascar e Isole Maurizio, papa Bergoglio ha parlato delle critiche pesanti che vengono contro il suo operato dagli Stati Uniti.
È stato il corrispondente a Roma del New York Times, Jason Drew Horowitz, ad indirizzarsi al pontefice, in conclusione della conferenza stampa che lo ha riportato martedì assieme al seguito papale a Roma da Antananarivo, per evidenziare una profonda crisi che sembra attraversare il cattolicesimo statunitense. Ecco la domanda del collega: «Nel volo verso Maputo, lei ha riconosciuto di essere sotto attacco di un settore della Chiesa statunitense. Ci sono forti critiche da parte di alcuni vescovi e cardinali, ci sono tv cattoliche e siti web statunitensi molto critici, e alcuni dei suoi alleati più stretti hanno parlato persino di un complotto contro di lei, alcuni dei suoi alleati nella curia italiana. C’è qualcosa che questi critici non capiscono del suo pontificato? C’è qualcosa che lei ha imparato dalle critiche negli Stati Uniti?».
Papa Francesco non si è negato, e ha risposto alla domanda ribadendo la sua ben nota idea di dialogo sincero, nella parresia, cioè nella chiarezza delle posizioni e nella franchezza dei propositi. Val la pena di riportare interamente le sue risposte ad Horowitz, che chiariscono la posizione del pontefice in un momento in cui numerosi settori della Chiesa, non solo negli Stati Uniti, manifestano dure critiche verso un papa che non sarebbe più “cattolico”, ma altro: laico, comunista, lassista…
Ha detto Bergoglio: «Prima di tutto, le critiche aiutano sempre. Quando uno riceve una critica, subito deve fare l’autocritica e dire: è vero o non vero? Fino a che punto? Dalle critiche io traggo sempre vantaggi, sempre. A volte ti fanno arrabbiare, ma i vantaggi ci sono».
Nel viaggio di andata a Maputo, il giornalista francese Nicolas Senèze, de La Croix, gli aveva dato un libro da lui scritto intitolato Come l’America vuole cambiare il papa. Ha ripreso quindi Bergoglio: «Le critiche non sono soltanto degli americani, ma un po’ dappertutto, anche in Curia. Almeno quelli che le dicono hanno il vantaggio dell’onestà di dirle. A me piace questo. Non mi piace quando le critiche sono sotto il tavolo e ti fanno un sorriso che ti fa vedere i denti e poi ti pugnalano alle spalle. Questo non è leale, non è umano. La critica è un elemento di costruzione, e se la tua critica non è giusta, stai pronto a ricevere la risposta e fare un dialogo, una discussione, e arrivare a un punto giusto. Questa è la dinamica della critica vera. Invece la critica delle “pillole di arsenico” è un po’ come gettare la pietra e nascondere la mano. Questo non serve, non aiuta. Aiuta i piccoli gruppetti chiusi, che non vogliono sentire la risposta alla critica. Davanti al caso del papa: “Questa cosa non mi piace”, gli faccio la critica, aspetto la risposta, vado da lui, parlo, faccio un articolo e gli chiedo di rispondere, questo è leale, questo è amare la Chiesa. Fare una critica senza voler sentire la risposta e senza fare il dialogo è non voler bene alla Chiesa, è andare dietro a un’idea fissa: cambiare il papa, o fare uno scisma, non so. Questo è chiaro: una critica leale è sempre ben accetta, almeno da me».
Tornano in mente i tanti inviti del pontefice a non avere paura dei conflitti – invito rivolto anche ad intere e note organizzazioni che sembrano assolutamente amorevoli nella loro proposta ma che nei loro meccanismi interni spesso e volentieri dimenticano la necessità della sincerità piena –, ad affrontarli con parresia e coraggio, a evitare che la mala pianta della critica gratuita e corrosiva entri nelle comunità cristiane, non solo in Vaticano.
Jason Drew Horowitz ha poi rincarato la dose: «Lei ha paura di uno scisma nella Chiesa statunitense? E se sì, c’è qualcosa che lei potrebbe fare – un dialogo – per aiutare, per evitarlo?».
Anche in questo caso il papa nella sua risposta è stato trasparente: «Nella Chiesa ci sono stati tanti scismi. Dopo il Vaticano I, dopo l’ultima votazione, quella dell’infallibilità, un bel gruppo se n’è andato, si è staccato dalla Chiesa e ha fondato i vetero-cattolici (o vecchio-cattolici, concentrati soprattutto in Svizzera, ndr) per essere proprio “onesti” con la tradizione della Chiesa. Poi loro stessi hanno trovato uno sviluppo differente e adesso fanno le ordinazioni delle donne; ma in quel momento erano rigidi, andavano dietro a una certa ortodossia e pensavano che il Concilio avesse sbagliato. Un altro gruppo se ne andò senza votare, zitti zitti, ma non vollero votare… Il Vaticano II ha pure creato queste cose, forse il distacco più conosciuto è quello di Lefebvre».
Quindi il papa è sembrato indicare che non bisogna vedere nello scisma qualcosa di catastrofico per la Chiesa cattolica, che comunque va avanti nonostante eventuali rotture: «L’opzione scismatica – ha proseguito – c’è sempre nella Chiesa, sempre. È una delle opzioni che il Signore lascia sempre alla libertà umana. Io non ho paura degli scismi, prego perché non ce ne siano, perché c’è in gioco la salute spirituale di tanta gente. Che ci sia il dialogo, che ci sia la correzione se c’è qualche sbaglio, ma il cammino dello scisma non è cristiano. Pensiamo all’inizio della Chiesa, come è cominciato con tanti scismi, uno dietro l’altro, basta leggere la storia della Chiesa: ariani, gnostici, monofisiti…».
A questo punto il papa ha raccontato un aneddoto che ha fatto sorridere i presenti sul volo papale: «Quando nel Concilio di Efeso c’era la discussione sulla maternità divina di Maria, il popolo – questo è storico – stava all’ingresso della cattedrale quando i vescovi entravano per fare il concilio, stavano lì con dei bastoni, facevano vedere i bastoni e gridavano: “Madre di Dio! Madre di Dio!”, come a dire: se non fate questo vi aspettano… Il popolo di Dio aggiusta sempre le cose e aiuta. Uno scisma è sempre un distacco elitario provocato dall’ideologia staccata dalla dottrina. È un’ideologia, forse giusta, ma che entra nella dottrina e la stacca e diventa “dottrina” per un certo tempo. Per questo io prego che non ci siano degli scismi, ma non ho paura».
Ma Horowitz ha insistito: «Cosa fare per aiutare?». E Bergoglio ha ribadito la sua idea: «Non avere paura: io rispondo alle critiche, forse se a qualcuno verrà in mente qualcosa che devo fare e lo farò, per aiutare. Ma questo è uno dei risultati del Vaticano II, non di questo papa o dell’altro papa… Per esempio, le cose sociali che dico, sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, le stesse. Io copio lui. Ma dicono: “Il Papa è troppo comunista”. Nella dottrina entrano delle ideologie, e quando la dottrina scivola nelle ideologie, lì c’è la possibilità di uno scisma».
E Bergoglio ha citato l’ideologia behaviorista, che vorrebbe il primato di una morale asettica su una morale che invece matura nel popolo di Dio. «I pastori – ha continuato papa Francesco – devono condurre il gregge tra la grazia e il peccato, perché la morale evangelica è questa. Invece una morale di un’ideologia pelagiana, per così dire, ti porta alla rigidità, e oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro la Chiesa, che non sono scismi ma sono vie cristiane pseudo-scismatiche, che finiranno male. Quando voi vedete dei cristiani, dei vescovi, dei sacerdoti rigidi, dietro quell’atteggiamento ci sono dei problemi, non c’è la santità del Vangelo. Per questo dobbiamo essere miti con le persone che sono tentate di fare questi attacchi, stanno attraversando un problema, dobbiamo accompagnarli con mitezza».
Anche qui, il papa ribadisce quanto detto in diverse occasioni e con molte sfumature, soprattutto in occasione dei suoi consueti incontri con i consacrati e col clero delle nazioni da lui visitate: attenzione alla rigidità, agli autoritarismi, agli arroccamenti su presunte verità che non sono tali ma che in realtà sono deviazioni dal messaggio evangelico, sono peccati contro la libertà. È la misericordia, è la mitezza, è l’amore che permette di “tenere assieme” un gruppo, una comunità, una convivenza.
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