La Polonia che «accoglie» non trova più immigrati: "Non vuole sentire parlare di xenofobia nella 'sua' Polonia, il signor Majed Tinawi, professionista siriano in pensione che ha lasciato Damasco trentacinque anni fa e che ora vive a Danzica: «Dopo la marcia per l’Indipendenza di novembre a Varsavia, sulla stampa estera non abbiamo sentito la voce delle migliaia di polacchi che sostengono e sono pronti ad accogliere migranti e rifugiati. L’attenzione è andata invece solo alla minoranza dei manifestanti che si è presa tutti i titoli dei giornali», racconta amareggiato, mentre ricordiamo la manifestazione dell’11 novembre, quando in piazza nella capitale c’erano 60mila persone, con l’ultradestra di mezza Europa, Italia compresa, che si è presa la scena a suon di slogan radicali e antimigranti. Recentemente, la stampa internazionale è tornata ad occuparsi della Polonia: questa volta per l’approvazione di una controversa norma che prevede fino a tre anni di carcere per chi definisca 'campi polacchi' i Lager nazisti e per chi faccia riferimento alle complicità con i crimini del Terzo Reich. Si lavora, dunque, per 'ripulire' l’immagine della nazione, cancellando le macchie di ieri e tentando di salvaguardare l’omogeneità della società di oggi, non perdendo l’occasione di sottolineare che i migranti non sono ben accetti.
A Danzica, dove i visitatori arrivano per vedere i luoghi in cui l’orrore della Seconda Guerra Mondiale ha avuto inizio (ma che è anche la città dei cantieri navali e del fermento operaio di Solidarnosc), è in corso un esperimento sociale in controtendenza rispetto a quanto accade in molte altre aree del Paese. Un Consiglio degli immigrati, di cui anche il signor Majed fa parte, è stato istituito nel 2015 dal sindaco Pawel Adamowicz, all’interno di un più ampio Modello di integrazione che prevede gruppi tematici di lavoro su occupazione, casa, salute, istruzione, cultura. Si tratta del primo team interdisciplinare dedicato all’integrazione di rifugiati e cittadini stranieri a nascere in Polonia. Il Consiglio assiste il primo cittadino, fa proposte su diversi aspetti dell’accoglienza. Per saperne di più, incontriamo in municipio Piotr Olech, responsabile per il coordinamento delle politiche sulle migrazioni e l’integrazione. Ci racconta quello che l’amministrazione comunale ha realizzato per i nuovi arrivati, una rete di coordinamento con le Ong locali davvero ben congegnata se non fosse per un particolare non secondario: qui mancano i rifugiati. In questa città di mezzo milione di abitanti sono appena 200, provenienti da Cecenia, Armenia, Georgia, Uzbekistan. Solo una decina i siriani. Sono, invece, circa 15mila i cittadini stranieri che vivono e lavorano a Danzica, venuti da Ucraina, Bielorussia, Russia, Italia, Spagna, Germania, Scandinavia.
«Ospitiamo un numero limitato di rifugiati perché il piano Ue di trasferimento e reinsediamento è fermo in tutta la Polonia», spiega Piotr Olech. «Quando si è cominciato a parlare di programmi di relocation con il governo precedente, la capitale Varsavia e altre grandi città come Cracovia e Danzica si sono dette disponibili all’accoglienza. Eravamo pronti a prendere parte ai programmi. Abbiamo avviato la discussione con l’esecutivo di allora con cui però c’è stato un duro confronto sui finanziamenti: sapevamo che esistevano fondi europei utili, ad esempio, ad assumere nuovi operatori sociali. Ma il governo precedente non era così aperto nel condividere i finanziamenti con le municipalità. Poi, due anni fa, con il cambio dell’esecutivo e l’arrivo al potere del PiS (il partito conservatore 'Diritto e Giustizia', fondato dai gemelli Kaczynski, ndr) è stata chiusa ogni discussione. Il nuovo governo non ha più voluto sentire parlare di relocation».
Da allora nulla è cambiato e, infatti, lo scontro di metà dicembre all’interno del Consiglio europeo si è consumato proprio sulla possibile obbligatorietà delle assegnazioni di rifugiati ai diversi Stati membri, a cui si è opposto il blocco delle nazioni dell’Est Europa di cui la Polonia fa parte. Varsavia non gradisce le nuove quote previste dalla riforma del Regolamento di Dublino né d’altra parte ha mai accettato quelle 'vecchie', decise nel 2015 per ridistribuire i richiedenti asilo arrivati in Italia e soprattutto in Grecia. Alla Polonia toccava accogliere 6.182 persone, nessuna di queste è mai stata reinsediata. Dal punto di vista della nazionalità dei suoi residenti, la Polonia è oggi il Paese più omogeneo dell’Unione europea. Solo lo 0,4% della popolazione proviene da altre nazioni (in Italia è l’8,3%, dati Eurostat). La presenza dei rifugiati è ancora più esigua: 26mila persone alla fine del 2016, compresi i richiedenti asilo. In Germania, nello stesso periodo, erano 1 milione e 270mila, in Francia 368mila e in Italia 247mila (dati Acnur)." SEGUE >>>
A Danzica, dove i visitatori arrivano per vedere i luoghi in cui l’orrore della Seconda Guerra Mondiale ha avuto inizio (ma che è anche la città dei cantieri navali e del fermento operaio di Solidarnosc), è in corso un esperimento sociale in controtendenza rispetto a quanto accade in molte altre aree del Paese. Un Consiglio degli immigrati, di cui anche il signor Majed fa parte, è stato istituito nel 2015 dal sindaco Pawel Adamowicz, all’interno di un più ampio Modello di integrazione che prevede gruppi tematici di lavoro su occupazione, casa, salute, istruzione, cultura. Si tratta del primo team interdisciplinare dedicato all’integrazione di rifugiati e cittadini stranieri a nascere in Polonia. Il Consiglio assiste il primo cittadino, fa proposte su diversi aspetti dell’accoglienza. Per saperne di più, incontriamo in municipio Piotr Olech, responsabile per il coordinamento delle politiche sulle migrazioni e l’integrazione. Ci racconta quello che l’amministrazione comunale ha realizzato per i nuovi arrivati, una rete di coordinamento con le Ong locali davvero ben congegnata se non fosse per un particolare non secondario: qui mancano i rifugiati. In questa città di mezzo milione di abitanti sono appena 200, provenienti da Cecenia, Armenia, Georgia, Uzbekistan. Solo una decina i siriani. Sono, invece, circa 15mila i cittadini stranieri che vivono e lavorano a Danzica, venuti da Ucraina, Bielorussia, Russia, Italia, Spagna, Germania, Scandinavia.
«Ospitiamo un numero limitato di rifugiati perché il piano Ue di trasferimento e reinsediamento è fermo in tutta la Polonia», spiega Piotr Olech. «Quando si è cominciato a parlare di programmi di relocation con il governo precedente, la capitale Varsavia e altre grandi città come Cracovia e Danzica si sono dette disponibili all’accoglienza. Eravamo pronti a prendere parte ai programmi. Abbiamo avviato la discussione con l’esecutivo di allora con cui però c’è stato un duro confronto sui finanziamenti: sapevamo che esistevano fondi europei utili, ad esempio, ad assumere nuovi operatori sociali. Ma il governo precedente non era così aperto nel condividere i finanziamenti con le municipalità. Poi, due anni fa, con il cambio dell’esecutivo e l’arrivo al potere del PiS (il partito conservatore 'Diritto e Giustizia', fondato dai gemelli Kaczynski, ndr) è stata chiusa ogni discussione. Il nuovo governo non ha più voluto sentire parlare di relocation».
Da allora nulla è cambiato e, infatti, lo scontro di metà dicembre all’interno del Consiglio europeo si è consumato proprio sulla possibile obbligatorietà delle assegnazioni di rifugiati ai diversi Stati membri, a cui si è opposto il blocco delle nazioni dell’Est Europa di cui la Polonia fa parte. Varsavia non gradisce le nuove quote previste dalla riforma del Regolamento di Dublino né d’altra parte ha mai accettato quelle 'vecchie', decise nel 2015 per ridistribuire i richiedenti asilo arrivati in Italia e soprattutto in Grecia. Alla Polonia toccava accogliere 6.182 persone, nessuna di queste è mai stata reinsediata. Dal punto di vista della nazionalità dei suoi residenti, la Polonia è oggi il Paese più omogeneo dell’Unione europea. Solo lo 0,4% della popolazione proviene da altre nazioni (in Italia è l’8,3%, dati Eurostat). La presenza dei rifugiati è ancora più esigua: 26mila persone alla fine del 2016, compresi i richiedenti asilo. In Germania, nello stesso periodo, erano 1 milione e 270mila, in Francia 368mila e in Italia 247mila (dati Acnur)." SEGUE >>>
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