La Cina pronta a reagire ai dazi: risponderemo a Trump con le «misure necessarie» - Corriere.it: "Ha iniziato Donald Trump. Imponendo dazi su lavatrici e pannelli fotovoltaici. E promettendone altri su acciaio e alluminio europei. La Ue ha a sua volta ventilato dazi su whisky, moto e jeans americani. Dopo meno di 24 ore la Casa Bianca ha rilanciato: «tassa» sulle auto europee vendute negli Usa. «Se l’Ue vuole aumentare le sue già massicce tariffe e barriere commerciali verso le imprese americane — ha twittato sabato 3 marzo il presidente americano — noi applicheremo una tassa sulle automobili che continuano a riversare negli Usa».
Ora è il turno della Cina. Il governo di Pechino ha avvertito che prenderà le «misure necessarie» se i dazi commerciali decisi da Washington danneggeranno gli interessi economici cinesi. «La Cina non vuole una guerra commerciale, ma se gli Stati Uniti varano azioni che ledono gli interessi cinesi, la Cina non starà a guardare e prendere le misure necessarie», ha detto Zhang Yesui, portavoce del Congresso nazionale del popolo. Zhang ha anche avvertito Washington che «politiche basate su giudizi o percezioni sbagliate danneggeranno le relazioni e porteranno a conseguenze che nessuna parte vorrebbe vedere». A certificare la dimensione globale della guerra dei dazi, arrivano anche le reazioni dell’Australia. “Quello che ci preoccupa, mentre assistiamo al crescendo retorico delle dichiarazioni, è che le tasse sulle merci attraversano le frontiere provocano un rallentamento della crescita», dice il ministro australiano del Commercio, Steve Ciobo. Anche gli australiani (come l’Europa) temono l’invasione dell’acciaio e alluminio asiatico a basso costo che a breve potrebbe non avere più sbocco di mercato negli Usa. Da notare: più Trump si accredita come campione del protezionismo, più Cina mostra segni di apertura. Alla vigilia della sessione plenaria annuale del Congresso del popolo, il suo portavoce Zhang Yesui ha annunciato che la Cina varerà una nuova legge per «promuovere e proteggere gli investimenti stranieri nel Paese», con l’obiettivo di potenziare l’apertura della sua economia.
Si gioca con le parole, per ora. Ma la posta in palio è alta. Secondo l’Fmi, i dazi di Trump si ritorcerebbero anche contro l’economia Usa. Di certo auto Fca come Giulia, Stelvio, 500 X e Renegade sono prodotte in Europa e quindi potrebbero essere soggette a eventuali dazi. Le misure, ma bisognerà vedere quali saranno le decisioni dell’Amministrazione americana, potrebbero colpire altri big come Daimler Mercedes, Bmw, Volkswagen. In generale gli intrecci tra economie sono tali che è difficile capire chi e fino a che punto sarà danneggiato. Prendiamo il bourbon. Dietro l’americano Wild Turkey c’è l’italianissima Campari che ha acquisito marchio e stabilimenti in Kentucky. Da notare: dal 2015 gli investimenti italiani negli Usa hanno superato i corrispettivi investimenti Usa in Italia. Inoltre le esportazioni italiane negli Usa valgono molto più di quelle Usa in Italia.
Se Trump rispondesse ai promessi dazi sui jeans Levi’s con dazi sulla moda made in Italy, a pagare il prezzo più alto potrebbe essere il Belpaese. Secondo Coldiretti, la guerra commerciale con gli Stati Uniti mette a rischio 40,5 miliardi di export tricolore. A essere colpite sarebbero le tre F del nostro export: food, forniture e fashion, alimentare, arredamento e moda. Con oltre 10 miliardi di euro di esportazioni negli Usa nel 2017 — spiega il Centro studi Confindustria — gli Usa rappresentano il primo mercato per i prodotti di alta gamma (3,8 miliardi per il food, 5,2 per il fashion e 1,1 per il design). «Occorrono moderazione e cautela per non alzare la tensione», ha auspicato ieri via Twitter il ministro Carlo Calenda, pronto a portare il messaggio all’Unione europea. Dalla nostra c’è il fatto che l’export italiano e’ destinato al consumatore finale. Con i suoi dazi Trump penalizzerebbe anche gli americani che non vogliono privarsi del Made in Italy. «Una guerra commerciale avrebbe solo perdenti. Per quanto riguarda acciaio e alluminio, poi, stiamo parlando del 3% dell’export», incita a tenere i nervi saldi Alessandro Terzulli, chief economist di Sace. D’altra parte la partita a scacchi e’ solo all’inizio."
Ora è il turno della Cina. Il governo di Pechino ha avvertito che prenderà le «misure necessarie» se i dazi commerciali decisi da Washington danneggeranno gli interessi economici cinesi. «La Cina non vuole una guerra commerciale, ma se gli Stati Uniti varano azioni che ledono gli interessi cinesi, la Cina non starà a guardare e prendere le misure necessarie», ha detto Zhang Yesui, portavoce del Congresso nazionale del popolo. Zhang ha anche avvertito Washington che «politiche basate su giudizi o percezioni sbagliate danneggeranno le relazioni e porteranno a conseguenze che nessuna parte vorrebbe vedere». A certificare la dimensione globale della guerra dei dazi, arrivano anche le reazioni dell’Australia. “Quello che ci preoccupa, mentre assistiamo al crescendo retorico delle dichiarazioni, è che le tasse sulle merci attraversano le frontiere provocano un rallentamento della crescita», dice il ministro australiano del Commercio, Steve Ciobo. Anche gli australiani (come l’Europa) temono l’invasione dell’acciaio e alluminio asiatico a basso costo che a breve potrebbe non avere più sbocco di mercato negli Usa. Da notare: più Trump si accredita come campione del protezionismo, più Cina mostra segni di apertura. Alla vigilia della sessione plenaria annuale del Congresso del popolo, il suo portavoce Zhang Yesui ha annunciato che la Cina varerà una nuova legge per «promuovere e proteggere gli investimenti stranieri nel Paese», con l’obiettivo di potenziare l’apertura della sua economia.
Si gioca con le parole, per ora. Ma la posta in palio è alta. Secondo l’Fmi, i dazi di Trump si ritorcerebbero anche contro l’economia Usa. Di certo auto Fca come Giulia, Stelvio, 500 X e Renegade sono prodotte in Europa e quindi potrebbero essere soggette a eventuali dazi. Le misure, ma bisognerà vedere quali saranno le decisioni dell’Amministrazione americana, potrebbero colpire altri big come Daimler Mercedes, Bmw, Volkswagen. In generale gli intrecci tra economie sono tali che è difficile capire chi e fino a che punto sarà danneggiato. Prendiamo il bourbon. Dietro l’americano Wild Turkey c’è l’italianissima Campari che ha acquisito marchio e stabilimenti in Kentucky. Da notare: dal 2015 gli investimenti italiani negli Usa hanno superato i corrispettivi investimenti Usa in Italia. Inoltre le esportazioni italiane negli Usa valgono molto più di quelle Usa in Italia.
Se Trump rispondesse ai promessi dazi sui jeans Levi’s con dazi sulla moda made in Italy, a pagare il prezzo più alto potrebbe essere il Belpaese. Secondo Coldiretti, la guerra commerciale con gli Stati Uniti mette a rischio 40,5 miliardi di export tricolore. A essere colpite sarebbero le tre F del nostro export: food, forniture e fashion, alimentare, arredamento e moda. Con oltre 10 miliardi di euro di esportazioni negli Usa nel 2017 — spiega il Centro studi Confindustria — gli Usa rappresentano il primo mercato per i prodotti di alta gamma (3,8 miliardi per il food, 5,2 per il fashion e 1,1 per il design). «Occorrono moderazione e cautela per non alzare la tensione», ha auspicato ieri via Twitter il ministro Carlo Calenda, pronto a portare il messaggio all’Unione europea. Dalla nostra c’è il fatto che l’export italiano e’ destinato al consumatore finale. Con i suoi dazi Trump penalizzerebbe anche gli americani che non vogliono privarsi del Made in Italy. «Una guerra commerciale avrebbe solo perdenti. Per quanto riguarda acciaio e alluminio, poi, stiamo parlando del 3% dell’export», incita a tenere i nervi saldi Alessandro Terzulli, chief economist di Sace. D’altra parte la partita a scacchi e’ solo all’inizio."
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