Cinque anni con Papa Francesco. I cinque sensi spirituali di Bergoglio | AgenSIR: "“I sensi ci aiutano a cogliere il reale e ugualmente a collocarci nel reale. Non a caso Sant’Ignazio di Loyola ha fatto ricorso ai sensi nella contemplazione dei Misteri di Cristo e della verità”. Colgo quest’espressione, pronunciata da Francesco nel suo discorso alla Curia romana il 21 dicembre 2017, per ripercorrere velocemente il tempo del suo ministero sulla Cattedra di Pietro nei cinque anni trascorsi sino ad oggi dalla sera di quel 13 marzo, quando fu annunciata urbi et orbi la sua elezione. Il Papa non faceva, ovviamente, una lezione di filosofia; intendeva, però, mettere in evidenza quanto stava esponendo circa il dovere nella Curia di curare la sua estroversione, ossia il suo rapporto “col mondo esterno”. Questo, con due riferimenti. Il primo al sapere comune, ricordato dal plurisecolare assioma che la nostra conoscenza trae inizio dai sensi: san Tommaso lo citava nel suo De veritate e anche san Bonaventura affermava che i sensi ci permettono di sperimentare direttamente la realtà, nell’immediatezza del suo qui e ora (In III Sent.). L’altro rimando era alla sua personale formazione spirituale e lo comunicava così: “non a caso Sant’Ignazio di Loyola ha fatto ricorso ai sensi nella contemplazione dei Misteri di Cristo e della verità”.
I sensi, dunque, a cominciare da quelli esterni, che rendono l’uomo capace di sentire la realtà; aggiungendo subito, però, il richiamo alla dottrina cattolica sui sensi spirituali, per la quale Ignazio di Loyola è fra i grandi maestri. Chi legge, infatti, gli Esercizi s’imbatte subito in quest’affermazione: “Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente” (2, 4). Questa teologia ha un illustre esponente in J.-J. Surin. Essa, però, è molto antica. Già Origene illustrava le potenzialità spirituali dei sensi scrivendo che la vista può fissare le realtà superiori; l’udito percepisce suoni che non si trovano realmente nell’aria; il gusto ci fa assaporare il pane vivo disceso dal cielo e l’odorato avvertire i profumi che sono, secondo san Paolo, il buon odore di Cristo; c’è infine il tatto, grazie al quale Giovanni afferma di aver toccato con le mani il Verbo della vita (cfr. Contro Celso 1, 48). Nell’area culturale latina sant’Agostino dirà: “Nessuna meraviglia che alla scienza ineffabile di Dio che tutto conosce, vengano applicati i nomi di tutti questi sensi corporali, secondo le diverse espressioni del linguaggio umano; lo stesso nostro spirito, cioè l’uomo interiore, – al quale, senza che l’uniformità del suo conoscere venga compromessa, giungono i diversi messaggi attraverso i cinque sensi del corpo, – quando intende, sceglie e ama la verità immutabile, vede quella luce a proposito della quale l’evangelista dice: Era la luce vera; e ascolta la Parola di cui l’evangelista dice: In principio era il Verbo (Gv 1, 9 1); e aspira il profumo di cui vien detto: Correremo dietro l’odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3); e gusta la fonte di cui si dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35, 10); e gode al tatto di cui vien detto: Per me il mio bene è lo starmene vicino a Dio (Sal 72, 28). E così non si tratta di un senso o di un altro, ma è una medesima intelligenza che prende nome dai vari sensi” (Comm. al vangelo di Giovanni 99, 4).
Vista
Cominciamo, allora, col senso della vista, ch’è generalmente menzionato per primo. Nel linguaggio di Francesco molto ricorrente è la parola “sguardo” e questo ha, fra l’altro, un’eco molto personale. Si rilegga, ad esempio, l’omelia in Santa Marta del 21 settembre 2013 (festa liturgica di san Matteo, che per il Papa ha una risonanza speciale perché rimanda alla scelta di vita) in cui parla dello sguardo di Gesù, che cambia la vita, porta a crescere e dà dignità. Qui vorrei, però, applicare il senso della vista ad una categoria preferita da Francesco, molto ripetuta ma forse in forma riduttiva. Si tratta delle periferie. Quando, una volta, gli domandai cosa precisamente intendesse con quel termine, Francesco mi rispose senza indugio: “È un principio ermeneutico; un modo di guardare la realtà”; e me lo spiegò raccontandomi che quando, giunto alla fine del continente americano, Magellano guardò all’Europa, si rese conto ch’era ben altra cosa rispetto a quella vista dal centro di Madrid! Bergoglio parlò di “periferie” già il 26 maggio 2013, nel corso della sua prima visita pastorale ad una parrocchia romana. Rispondendo al saluto del parroco disse: “Mi piace quello che hai detto, che periferia ha un senso negativo, ma anche un senso positivo. Tu sai perché? Perché la realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie. Si capisce meglio”. Periferie, dunque, è un modo di guardare al mondo e, per la Chiesa, è un modo di essere nel mondo contemporaneo (cfr. Gaudium et spes 1)." SEGUE >>>
I sensi, dunque, a cominciare da quelli esterni, che rendono l’uomo capace di sentire la realtà; aggiungendo subito, però, il richiamo alla dottrina cattolica sui sensi spirituali, per la quale Ignazio di Loyola è fra i grandi maestri. Chi legge, infatti, gli Esercizi s’imbatte subito in quest’affermazione: “Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e gustare le cose internamente” (2, 4). Questa teologia ha un illustre esponente in J.-J. Surin. Essa, però, è molto antica. Già Origene illustrava le potenzialità spirituali dei sensi scrivendo che la vista può fissare le realtà superiori; l’udito percepisce suoni che non si trovano realmente nell’aria; il gusto ci fa assaporare il pane vivo disceso dal cielo e l’odorato avvertire i profumi che sono, secondo san Paolo, il buon odore di Cristo; c’è infine il tatto, grazie al quale Giovanni afferma di aver toccato con le mani il Verbo della vita (cfr. Contro Celso 1, 48). Nell’area culturale latina sant’Agostino dirà: “Nessuna meraviglia che alla scienza ineffabile di Dio che tutto conosce, vengano applicati i nomi di tutti questi sensi corporali, secondo le diverse espressioni del linguaggio umano; lo stesso nostro spirito, cioè l’uomo interiore, – al quale, senza che l’uniformità del suo conoscere venga compromessa, giungono i diversi messaggi attraverso i cinque sensi del corpo, – quando intende, sceglie e ama la verità immutabile, vede quella luce a proposito della quale l’evangelista dice: Era la luce vera; e ascolta la Parola di cui l’evangelista dice: In principio era il Verbo (Gv 1, 9 1); e aspira il profumo di cui vien detto: Correremo dietro l’odore dei tuoi profumi (Ct 1, 3); e gusta la fonte di cui si dice: Presso di te è la fonte della vita (Sal 35, 10); e gode al tatto di cui vien detto: Per me il mio bene è lo starmene vicino a Dio (Sal 72, 28). E così non si tratta di un senso o di un altro, ma è una medesima intelligenza che prende nome dai vari sensi” (Comm. al vangelo di Giovanni 99, 4).
Vista
Cominciamo, allora, col senso della vista, ch’è generalmente menzionato per primo. Nel linguaggio di Francesco molto ricorrente è la parola “sguardo” e questo ha, fra l’altro, un’eco molto personale. Si rilegga, ad esempio, l’omelia in Santa Marta del 21 settembre 2013 (festa liturgica di san Matteo, che per il Papa ha una risonanza speciale perché rimanda alla scelta di vita) in cui parla dello sguardo di Gesù, che cambia la vita, porta a crescere e dà dignità. Qui vorrei, però, applicare il senso della vista ad una categoria preferita da Francesco, molto ripetuta ma forse in forma riduttiva. Si tratta delle periferie. Quando, una volta, gli domandai cosa precisamente intendesse con quel termine, Francesco mi rispose senza indugio: “È un principio ermeneutico; un modo di guardare la realtà”; e me lo spiegò raccontandomi che quando, giunto alla fine del continente americano, Magellano guardò all’Europa, si rese conto ch’era ben altra cosa rispetto a quella vista dal centro di Madrid! Bergoglio parlò di “periferie” già il 26 maggio 2013, nel corso della sua prima visita pastorale ad una parrocchia romana. Rispondendo al saluto del parroco disse: “Mi piace quello che hai detto, che periferia ha un senso negativo, ma anche un senso positivo. Tu sai perché? Perché la realtà insieme si capisce meglio non dal centro, ma dalle periferie. Si capisce meglio”. Periferie, dunque, è un modo di guardare al mondo e, per la Chiesa, è un modo di essere nel mondo contemporaneo (cfr. Gaudium et spes 1)." SEGUE >>>
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