La Bibbia messa ai margini e la crisi del cristianesimo - Corriere.it: "Siamo in guerra e prendiamo coscienza che siamo solo agli inizi. È la prima volta dai giorni di Adolf Hitler che le sinagoghe in Francia sono state chiuse di sabato. Tuttavia, è unicamente il tragico e spaventoso attentato al giornale Charlie Hebdo che ha scosso gli europei: i molti e continui attentati ai singoli ebrei e alle comunità ebraiche in tutta Europa in questi anni hanno turbato qualcuno, ma per quasi tutti si è trattato “solo” di ebrei. Parimenti non ci sono stati sgomento e allarme per il fatto che da anni ormai, giustamente, gli ebrei francesi abbandonino la “laica” Francia. Così accade in molti altri Paesi europei e il motivo è il medesimo, ovvero il dilagare del terrorismo di matrice islamista, con il suo carico di odio antisemita.
shadow carouselParigi, chi sono i quattro ostaggi uccisi nel supermercato
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Molti intellettuali e politici sostengono che il problema non è l’Islàm, ma il terrorismo. È come dire che il cristianesimo non è l’antisemitismo o l’antigiudaismo. Certo! Tuttavia è innegabile che l’antisemitismo e l’antigiudaismo sono stati problemi profondi propri del cristianesimo (e non solo). La violenza e il fanatismo, la sottomissione religiosa e il terrore non esauriscono l’Islàm, ma sono un problema religioso che in qualche modo riguarda l’Islàm. L’autocritica dell’Islàm (assieme alla critica laica esterna) su questo punto sembra difettare.
Le religioni (anche se sono convinto -e con me Rosenzweig, Buber, Heschel, Bonhoeffer, Barth, Ratzinger e Martini- che ebraismo e cristianesimo siano anzitutto fedi e non soltanto religioni) possono essere causa di guerre, di violenze e nei loro insegnamenti albergare forze distruttive. Non è vero che è solo l’economia a causare guerre e barbarie: le religioni, al pari dell’ateismo e di un certo illuminismo, sono esperte in materia. Nel caso del cristianesimo si è spesso trattato di problemi interpretativi, con l’Islàm il problema dimora parzialmente nel testo sacro stesso (e inviterei al riguardo a studiare i libri di Bernard Lewis, Norman Stillman, Georges Bensoussan, Bat Ye’or).
Cristiani ed ebrei, secondo il Corano, sono presenti nei Paesi islamici in quanto dhimmi, popolazioni sottomesse, tollerate purché subalterne e paganti apposite tasse.
Cosa dobbiamo, sia a livello politico e giuridico sia a livello interreligioso, chiedere oggi ai più autorevoli teologi islamici nei Paesi europei e arabi, anche a fronte della massiccia presenza demografica di musulmani?
La prima domanda è la seguente: è possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa intima propria dei musulmani osservanti, e non solo perché richiesto dai governi occidentali o da ebrei e cristiani, accettare teologicamente, apprezzandolo, il concetto di cittadinanza politica, anziché quello di cittadinanza religiosa, confliggente quest’ultimo con i valori occidentali e pericoloso per le comunità cristiane ed ebraiche, che, in qualità di minoranze sarebbero esposte a intolleranze e arbitrio? Se sì, come diffondere questa interpretazione e come radicarla oggi in seno alle comunità islamiche? A questa domanda deve seguire necessariamente la “reciprocità” nei Paesi islamici della piena libertà di espressione, di stampa e di culto.
Questa domanda fondamentale, per ignoranza, ignavia e inettitudine, non è mai stata seriamente posta dai politici europei, che hanno responsabilità enormi, anche del sangue sinora versato.
C’è una seconda questione, che si intreccia alla prima e che chi è veramente interessato al dialogo non può eludere. Per l’Islàm, gli ebrei hanno alterato la Rivelazione divina e i cristiani hanno pratiche cultuali, oltre a condividere con i primi una Rivelazione alterata, dal sapore idolatrico. È possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa interiore dei musulmani osservanti, e non solo perché sollecitato da ebrei e cristiani, apprezzare positivamente, in una prospettiva teologica, ebrei e cristiani in relazione alle problematiche sollevate da questo assunto coranico? Questa seconda domanda fondamentale, per un’erronea comprensione del dialogo e del rispetto, nonché per un dilagante buonismo pressapochista, non viene mai posta, nemmeno dalle stesse autorità religiose cristiane ed ebraiche.
Premesso che ci sono centinaia di migliaia di singoli musulmani, persone degne e buone, realmente religiose, che a queste domande hanno già risposto personalmente con il rispetto per il prossimo e per la sua fede, con un certo pluralismo e con l’integrazione ricercata e praticata, tuttavia manca una reale, inequivocabile, onesta, autorevole e vincolante riflessione teologica islamica al riguardo.
È chiaro che se le risposte saranno per lo più negative, non sufficientemente autentiche o caratterizzate da silenzi e imbarazzi ci si troverà tutti di fronte a un immenso problema. E come tale dovrà essere assunto."
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Molti intellettuali e politici sostengono che il problema non è l’Islàm, ma il terrorismo. È come dire che il cristianesimo non è l’antisemitismo o l’antigiudaismo. Certo! Tuttavia è innegabile che l’antisemitismo e l’antigiudaismo sono stati problemi profondi propri del cristianesimo (e non solo). La violenza e il fanatismo, la sottomissione religiosa e il terrore non esauriscono l’Islàm, ma sono un problema religioso che in qualche modo riguarda l’Islàm. L’autocritica dell’Islàm (assieme alla critica laica esterna) su questo punto sembra difettare.
Le religioni (anche se sono convinto -e con me Rosenzweig, Buber, Heschel, Bonhoeffer, Barth, Ratzinger e Martini- che ebraismo e cristianesimo siano anzitutto fedi e non soltanto religioni) possono essere causa di guerre, di violenze e nei loro insegnamenti albergare forze distruttive. Non è vero che è solo l’economia a causare guerre e barbarie: le religioni, al pari dell’ateismo e di un certo illuminismo, sono esperte in materia. Nel caso del cristianesimo si è spesso trattato di problemi interpretativi, con l’Islàm il problema dimora parzialmente nel testo sacro stesso (e inviterei al riguardo a studiare i libri di Bernard Lewis, Norman Stillman, Georges Bensoussan, Bat Ye’or).
Cristiani ed ebrei, secondo il Corano, sono presenti nei Paesi islamici in quanto dhimmi, popolazioni sottomesse, tollerate purché subalterne e paganti apposite tasse.
Cosa dobbiamo, sia a livello politico e giuridico sia a livello interreligioso, chiedere oggi ai più autorevoli teologi islamici nei Paesi europei e arabi, anche a fronte della massiccia presenza demografica di musulmani?
La prima domanda è la seguente: è possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa intima propria dei musulmani osservanti, e non solo perché richiesto dai governi occidentali o da ebrei e cristiani, accettare teologicamente, apprezzandolo, il concetto di cittadinanza politica, anziché quello di cittadinanza religiosa, confliggente quest’ultimo con i valori occidentali e pericoloso per le comunità cristiane ed ebraiche, che, in qualità di minoranze sarebbero esposte a intolleranze e arbitrio? Se sì, come diffondere questa interpretazione e come radicarla oggi in seno alle comunità islamiche? A questa domanda deve seguire necessariamente la “reciprocità” nei Paesi islamici della piena libertà di espressione, di stampa e di culto.
Questa domanda fondamentale, per ignoranza, ignavia e inettitudine, non è mai stata seriamente posta dai politici europei, che hanno responsabilità enormi, anche del sangue sinora versato.
C’è una seconda questione, che si intreccia alla prima e che chi è veramente interessato al dialogo non può eludere. Per l’Islàm, gli ebrei hanno alterato la Rivelazione divina e i cristiani hanno pratiche cultuali, oltre a condividere con i primi una Rivelazione alterata, dal sapore idolatrico. È possibile per l’Islàm, in ossequio al Corano e per necessità religiosa interiore dei musulmani osservanti, e non solo perché sollecitato da ebrei e cristiani, apprezzare positivamente, in una prospettiva teologica, ebrei e cristiani in relazione alle problematiche sollevate da questo assunto coranico? Questa seconda domanda fondamentale, per un’erronea comprensione del dialogo e del rispetto, nonché per un dilagante buonismo pressapochista, non viene mai posta, nemmeno dalle stesse autorità religiose cristiane ed ebraiche.
Premesso che ci sono centinaia di migliaia di singoli musulmani, persone degne e buone, realmente religiose, che a queste domande hanno già risposto personalmente con il rispetto per il prossimo e per la sua fede, con un certo pluralismo e con l’integrazione ricercata e praticata, tuttavia manca una reale, inequivocabile, onesta, autorevole e vincolante riflessione teologica islamica al riguardo.
È chiaro che se le risposte saranno per lo più negative, non sufficientemente autentiche o caratterizzate da silenzi e imbarazzi ci si troverà tutti di fronte a un immenso problema. E come tale dovrà essere assunto."
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