«Ecco perché l'Is non è davvero musulmano» - Vatican Insider: "Un saggio dell'esperta di islam Angela Lano sul prossimo numero di «Missioni Consolata» spiega l'anomalia rappresentata dal nuovo Califfato. Da quando i fanatici dell’Is (Islamic State) hanno preso a turbare i sonni occidentali, anche l’opinione pubblica si è trovata di fronte all’inquietante interrogativo circa la vera identità e gli obiettivi di questa nuova realtà, che a prima vista appare a dir poco contraddittoria, visto che in essa «i cellulari satellitari convivono con i coltelli per sgozzare i nemici e i social network con le donne costrette a nascondersi in casa. L’età della pietra e il futuro mescolati insieme nel jihad globale».
L’Is, insomma, non è un gruppo di esagitati più o meno impazziti, bensì rappresenta «un caso complesso di fondamentalismo». Per comprendere il quale occorre rileggere in profondità non solo la storia recente del Medio Oriente, ma anche l’evoluzione della galassia islamica dal punto di vista del pensiero e della teologia. Lo spiega Angela Lano, giornalista e saggista esperta di islam, in un lungo e documentato articolo, sul numero di gennaio di “Missioni Consolata”.
Nel fenomeno-Is - sottolinea Lano - «si mescolano religione (nella sua visione più oscurantista, arretrata e reazionaria), un uso sfrontato dei mezzi di comunicazione di massa (video, internet, social network, riviste), un ampio arsenale bellico, ingenti capitali provenienti anche dall’accaparramento delle fonti petrolifere, rabbia e aggressività verso l’Occidente invasore e “infedele” (kafir), odio settario contro le minoranza religiose e etniche, e contro gli apostati (kuffar e murtadin) musulmani (tutti coloro, cioè, che non condividono la linea politico-religiosa dell’Is), lotte interne, vendette e orgoglio sunnita dopo anni di dominazione sciita e alawita in Iraq e Siria, e altro ancora». Un cocktail tanto contraddittorio quanto micidiale che, purtroppo, sembra esercitare un fascino sinistro su varie categorie di persone.
Emerge qui un secondo tratto dell’Is sul quale il pezzo di “Missioni Consolata” si sofferma; siamo in presenza - scrive Lano - di «un fenomeno aggressivo, spettacolare fino alla teatralità più macabra che riscuote successo sia nel mondo arabo-islamico sia in Occidente, in particolare tra le giovani generazioni di immigrati musulmani. Così, tra i jihadisti, troviamo: benestanti e laureati (molti arrivano dall’Europa e dagli Usa); giovani emarginati delle periferie urbane occidentali e arabe alla ricerca della propria identità; poveri e disperati delle città e villaggi del mondo arabo-islamico invaso dalle truppe americane; oppressi da regimi dispotici locali o stranieri; notabili e membri di tribù sunnite che vogliono vendicarsi dei loro vicini o di leader di altre fazioni islamiche; ovviamente mercenari e larghe schiere di criminali e psicopatici. È un “melting pot” trasversale a luoghi, censo e età, e catalizzatore di sentimenti e aspirazioni contrastanti e differenti».
Al di là delle differenze che marcano le diverse tipologie di aderenti, cosa li accomuna? «Un senso di appartenenza e un sentimento tanto potenti quanto irrazionali, che creano razzismo e xenofobia verso tutti gli altri, ma che forniscono al movimento un’identità e una coesione forti, dai caratteri specifici», osserva l’autrice dell’articolo. In sintesi: la religione è l’Islam (nella versione radicale e intollerante), la lingua comune è l’arabo (lingua sacra, in quanto emanata dal Corano), il territorio è lo Stato islamico di Iraq e Siria, ma con una velleità di Dar al-Islam (Casa dell’Islam, in contrapposizione al Dar al-Kuffar, Casa della Miscredenza, cioè i territori non ancora islamizzati) in continua espansione, e dunque in versione “colonizzatrice”.
«Il prodotto finale assomiglia, quindi - è l’interessante tesi della Lano - più alla concezione moderna di nazione, con tutto l’apparato coloniale al seguito che a un neocaliffato nello stile del vecchio Impero arabo-islamico, dove alla conquista di immensi territori non corrispondeva l’assimilazione forzata dei popoli vinti, bensì quella dei conquistatori alle culture dei Paesi conquistati. Al confronto dei grandi Imperi omayyade (661 - 750), abbaside (750 - 1258) e ottomano (1281 - 1923), l’intollerante ed escludente Is risulta velleitario nei suoi progetti. E, soprattutto, poco musulmano, in senso tradizionale».
In sostanza, afferma Lano, l’Is appare come una “deviazione” di quella che l’islam ortodosso considera già in sé qualcosa di eterodosso, ossia il wahhabismo. Il suo, anzi, «è un progetto di fitna, di separazione e zizzania nella grande ummah islamica. Per l’Is il mondo non si riduce più a “musulmani” e “non credenti” (cristiani, ebrei, buddisti, atei, ecc.), ma a “credenti veri” (loro) e “miscredenti” (tutti gli altri, musulmani compresi)». Il che dà l’idea della profondità della faglia apertasi con l’affermazione militare ed economica dello Stato islamico.
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L’Is, insomma, non è un gruppo di esagitati più o meno impazziti, bensì rappresenta «un caso complesso di fondamentalismo». Per comprendere il quale occorre rileggere in profondità non solo la storia recente del Medio Oriente, ma anche l’evoluzione della galassia islamica dal punto di vista del pensiero e della teologia. Lo spiega Angela Lano, giornalista e saggista esperta di islam, in un lungo e documentato articolo, sul numero di gennaio di “Missioni Consolata”.
Nel fenomeno-Is - sottolinea Lano - «si mescolano religione (nella sua visione più oscurantista, arretrata e reazionaria), un uso sfrontato dei mezzi di comunicazione di massa (video, internet, social network, riviste), un ampio arsenale bellico, ingenti capitali provenienti anche dall’accaparramento delle fonti petrolifere, rabbia e aggressività verso l’Occidente invasore e “infedele” (kafir), odio settario contro le minoranza religiose e etniche, e contro gli apostati (kuffar e murtadin) musulmani (tutti coloro, cioè, che non condividono la linea politico-religiosa dell’Is), lotte interne, vendette e orgoglio sunnita dopo anni di dominazione sciita e alawita in Iraq e Siria, e altro ancora». Un cocktail tanto contraddittorio quanto micidiale che, purtroppo, sembra esercitare un fascino sinistro su varie categorie di persone.
Emerge qui un secondo tratto dell’Is sul quale il pezzo di “Missioni Consolata” si sofferma; siamo in presenza - scrive Lano - di «un fenomeno aggressivo, spettacolare fino alla teatralità più macabra che riscuote successo sia nel mondo arabo-islamico sia in Occidente, in particolare tra le giovani generazioni di immigrati musulmani. Così, tra i jihadisti, troviamo: benestanti e laureati (molti arrivano dall’Europa e dagli Usa); giovani emarginati delle periferie urbane occidentali e arabe alla ricerca della propria identità; poveri e disperati delle città e villaggi del mondo arabo-islamico invaso dalle truppe americane; oppressi da regimi dispotici locali o stranieri; notabili e membri di tribù sunnite che vogliono vendicarsi dei loro vicini o di leader di altre fazioni islamiche; ovviamente mercenari e larghe schiere di criminali e psicopatici. È un “melting pot” trasversale a luoghi, censo e età, e catalizzatore di sentimenti e aspirazioni contrastanti e differenti».
Al di là delle differenze che marcano le diverse tipologie di aderenti, cosa li accomuna? «Un senso di appartenenza e un sentimento tanto potenti quanto irrazionali, che creano razzismo e xenofobia verso tutti gli altri, ma che forniscono al movimento un’identità e una coesione forti, dai caratteri specifici», osserva l’autrice dell’articolo. In sintesi: la religione è l’Islam (nella versione radicale e intollerante), la lingua comune è l’arabo (lingua sacra, in quanto emanata dal Corano), il territorio è lo Stato islamico di Iraq e Siria, ma con una velleità di Dar al-Islam (Casa dell’Islam, in contrapposizione al Dar al-Kuffar, Casa della Miscredenza, cioè i territori non ancora islamizzati) in continua espansione, e dunque in versione “colonizzatrice”.
«Il prodotto finale assomiglia, quindi - è l’interessante tesi della Lano - più alla concezione moderna di nazione, con tutto l’apparato coloniale al seguito che a un neocaliffato nello stile del vecchio Impero arabo-islamico, dove alla conquista di immensi territori non corrispondeva l’assimilazione forzata dei popoli vinti, bensì quella dei conquistatori alle culture dei Paesi conquistati. Al confronto dei grandi Imperi omayyade (661 - 750), abbaside (750 - 1258) e ottomano (1281 - 1923), l’intollerante ed escludente Is risulta velleitario nei suoi progetti. E, soprattutto, poco musulmano, in senso tradizionale».
In sostanza, afferma Lano, l’Is appare come una “deviazione” di quella che l’islam ortodosso considera già in sé qualcosa di eterodosso, ossia il wahhabismo. Il suo, anzi, «è un progetto di fitna, di separazione e zizzania nella grande ummah islamica. Per l’Is il mondo non si riduce più a “musulmani” e “non credenti” (cristiani, ebrei, buddisti, atei, ecc.), ma a “credenti veri” (loro) e “miscredenti” (tutti gli altri, musulmani compresi)». Il che dà l’idea della profondità della faglia apertasi con l’affermazione militare ed economica dello Stato islamico.
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