Oggi a Istanbul arriva, dopo mesi di stallo e negoziati andati in fumo, il primo accordo tra Russia e Ucraina sull’export del grano ucraino bloccato nei porti del Mar Nero. Nella città turca sarà presente, oltre al mediatore Erdogan, anche il segretario dell’Onu Guterres. Questo accordo tra i due paesi in guerra segna anche la prima intesa tra Russia e Ucraina dall’inizio del conflitto.
L’accordo verrà firmato sullo stretto del Bosforo e risolve una crisi di fondamentale importanza non solo per i due paesi belligeranti ma per l’intero pianeta. Sbloccando le esportazioni di grano e cereali dal Mar Nero significa scongiurare una violenta crisi alimentare che avrebbe prodotto carestie nei paesi più poveri di Africa e Medio Oriente che dipendono dal grano ucraino. Un evento di levatura internazionale e per questo motivo ci sarà anche il segretario generale delle Nazioni Unite.
Risolta la crisi del grano e primo accordo tra i due paesi
La Turchia ha giocato un ruolo principale in questa crisi mediando tra i due paesi e portando così al primo accordo dall’inizio della guerra. Giù a Teheran si erano mostrati buoni presupposti per sancire presto un accordo sulla questione. Il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu aveva affermato che “quando risolveremo questo problema, non solo verrà aperto il percorso di esportazione per il grano e l’olio di girasole dall’Ucraina, ma anche per i prodotti dalla Russia”.
Le spedizioni potrebbero riprendere da tre porti sotto il pieno controllo ucraino, ovvero Odessa, Pivdennyi e Chornomorsk. Secondo le stime, sono bloccate circa 25 milioni di tonnellate di grano nei porti ucraini. Anche gli Stati Uniti hanno accolto questa notizia positivamente. La Coldiretti italiana ha dichiarato che l’export del grano può salvare dalla carestia quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. “Tra i più dipendenti dalle esportazioni cerealicole russe e ucraine ci sono l’Egitto, che importa il 70% dei cereali dai porti del Mar Nero, il Libano con circa il 75% e lo Yemen con poco meno del 50% e la situazione non è molto diversa in Libia, Tunisia, Giordania e Marocco”.
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