sabato 10 luglio 2021

«La riforma della giustizia? Non è solo un compromesso, ma rispetto della Costituzione» La ministra: «Si dovevano correggere gli squilibri della legge Bonafede»

@ - Ministra Marta Cartabia, quanto è stato complicato trovare l’accordo sulla riforma della giustizia penale?


«Sono state settimane di continui colloqui. Il fatto però che il Consiglio dei ministri abbia approvato il progetto all’unanimità è stato un traguardo importante. Raggiunto nell’ultimo miglio, anche grazie alla determinata guida del premier che lo ha sostenuto con convinzione. Molti si erano detti increduli o scettici sulla possibilità che questo governo potesse farcela laddove altri erano caduti, compreso l’ultimo. La giustizia da anni è il tema più divisivo in Italia, e le forze politiche dell’attuale maggioranza hanno sensibilità opposte e molto infiammate. Che si sia riusciti ad approdare ad un testo condiviso e comunque incisivo rende il traguardo ancora più significativo».

Qual è stato il passaggio più complicato della trattativa?
«Indubbiamente la prescrizione, come era facile prevedere. Gradualmente, in questi mesi le diffidenze e le distanze tra cosiddetti giustizialisti e garantisti si sono accorciate. E questo testo riflette l’apporto di tutti.Le resistenze residue emerse nel Consiglio dei ministri sono nate da esigenze politiche, e non da considerazioni sul merito».
(Leggi qui il retroscena di Monica Guerzoni: la telefonata tra Draghi e Grillo. Così è passata l’ultima mediazione)

Ma proprio per questo, lei confida davvero che in Parlamento i partiti rispetteranno l’impegno di non darsi battaglia?
«Ripartiamo dai fatti. Il primo giorno di questo governo tutte, dico tutte le forze politiche di maggioranza, compreso il M5S, hanno sottoscritto un ordine del giorno impegnandosi a modificare la riforma del 2019 ch peraltro era animata dal giusto obiettivo di limitare la prescrizione dei reati e dei processi, troppo frequente in Italia. Ma lo ha fatto con un intervento a detta di molti, e anche mio, sbilanciato: trascurando il diritto degli imputati alla ragionevole durata del processo, che è un principio costituzionale e di civiltà giuridica. È vero che il Greco, organo anticorruzione del Consiglio d’Europa, ha richiamato l’Italia per l’alto numero di prescrizioni, ma l’Italia è anche, e di gran lunga, il Paese col più alto numero di condanne della Corte europea dei diritti dell’uomo per violazione della ragionevole durata del processo: 1.202 dal 1959 ad oggi; al secondo posto c’è la Turchia, doppiata, con 608. Su temi così importanti e complessi, bisogna avere l’onestà intellettuale di leggere i dati nell’insieme. Quanto alla lealtà futura, le forze politiche conoscono bene gli impegni presi con l’Europa e le scadenze. Mi auguro che il senso di responsabilità dimostrato da tutti i ministri prevalga su ogni altra considerazione, nell’interesse del Paese».

L’ex premier Giuseppe Conte e l’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede hanno criticato aspramente la sua soluzione, e diversi parlamentari grillini annunciano battaglia.
«La riforma conserva l’impianto della prescrizione in primo grado della legge Bonafede: chi l’aveva allora proposta potrebbe ritenersi soddisfatto. È stato confermato il valore di quell’intervento per arginare il fenomeno delle troppe prescrizioni; un processo che finisce nel nulla è davvero un fallimento dello Stato, su questo io sono la prima ad essere d’accordo, come ben sa Alfonso Bonafede che in queste settimane ha avuto un’interlocuzione costante con il ministero. Tuttavia non si poteva evitare di correggere gli effetti problematici di quella riforma. Per questo abbiamo stabilito tempi certi e predeterminati per la conclusione dei giudizi di appello e Cassazione. Giudizi lunghi recano un duplice danno: frustrano la domanda di giustizia delle vittime e ledono le garanzie degli imputati. La riforma proposta vuole rimediare ad entrambi questi problemi. Non è un banale compromesso politico, è ispirata al bilanciamento tra quelle due esigenze: fare giustizia, nel rispetto delle garanzie. Questo è ciò che ci chiede la Costituzione: bilanciamento fra principi, proporzionalità tra valori, equilibro tra esigenze in conflitto. E quando si parla di giustizia ritengo che l’equilibrio sia una virtù, non un demerito».

Qualcuno ha già paventato rischio per il processo per la strage del ponte Morandi...
«Non c’è ragione di preoccuparsi. Intanto questa disciplina si applicherà per reati commessi dopo il 1° gennaio 2020, gli stessi a cui si applica l’attuale legge sulla prescrizione. Ma soprattutto, la riforma prevede che i processi per reati gravi e complessi abbiano garanzie e tempi più lunghi per celebrare ogni grado, con la possibilità di proroghe. E sa a Genova in quanto tempo si celebrano, mediamente, in appello i processi? Meno di due anni. A Roma, l’appello di un caso complesso come “Mafia capitale” è stato celebrato in poco più di un anno. La Cassazione ha impiegato ,eno di un anno per la pronuncia sulla strage di Viareggio».

Con la dichiarazione di improcedibilità, però, il problema dell’impunità resta.
«Uno dei principi in cui più credo è che dopo un reato occorre sempre una “parola di giustizia”. Ed è per questo che anche dopo 40 anni ho lavorato per ottenere dalla Francia il via libera alle procedure per le estradizioni degli ex terroristi rossi, macchiatisi di reati gravissimi. Qui non si tratta di concedere l’impunità a nessuno, bensì di fare in modo che in tutta Italia i processi arrivino a quella parola di giustizia in tempi certi. Perché se a Milano a Palermo questo è già realtà, non dovrebbe esserlo anche altrove? Ogni imputato ha il diritto di sapere se è colpevole o innocente in tempi ragionevoli. Come la vittima e i suoi familiari devono avere quelle risposte in tempi altrettanto brevi».

Ma come si può pensare che superare due o anche tre anni per un processo d’appello non diventi un obiettivo per imputati e avvocati, come accadeva con la prescrizione?
«No, non è possibile. Abbiamo pensato anche a questo, introducendo sospensioni che bloccano la clessidra; ad esempio nei casi di legittimo impedimento. L’improcedibilità non può essere un escamotage per difendersi dal processo»

Non teme una “falcidia” di processi in realtà come Napoli, Reggio Calabria, Roma o Catania, dove la durata media dei processi di appello va da tre a cinque anni?
«I tempi che abbiamo fissato si basano sui termini della “legge Pinto” che risarcisce le vittime dell’irragionevole durata dei processi, oltre sei anni per i tre gradi. Dunque, è giusto chiedere che i tribunali li rispettino. In 19 distretti d’Italia questo già avviene. In grandi città come Milano, Palermo e Genova, con processi anche complessi, l’appello già dura meno di due anni. Poi ci sono Bari, Bologna e Firenze con tempi medi di poco superiori ai 2 anni. Ma è sulle realtà che lei citava prima come Napoli e altri sei distretti, che noi dobbiamo intervenire. Con più risorse, più magistrati, cancellieri, personale tecnico; con più tecnologia e anche con queste modifiche del rito. Perché mai a Napoli non dovrebbero riuscire a fare quello che fanno già a Palermo, se noi assicuriamo le condizioni giuste? Il tempo per supportare gli uffici giudiziari più in affanno c’è. E rispetto al passato, la vera svolta è che ora abbiamo risorse come mai prima. Ci saranno due concorsi in magistratura, ora entreranno altri 2700 cancellieri, ci saranno interventi anche sull’edilizia e sulla digitalizzazione. E arriveranno a partire dai prossimi mesi, 16.500 assistenti per l’ufficio del processo. Sto girando l’Italia e sto raccogliendo grande attesa per questa novità, perché laddove la sperimentazione dell’Ufficio del processo c’è già stata, i tempi di durata dei procedimenti sono stati abbattuti drasticamente. La giustizia è un pilastro troppo importante del Paese, per permettere diseguaglianze».

Che cosa risponde a chi ha definito la sua riforma un placebo, anziché un vaccino?
«Dico di leggere con attenzione tutto il testo. Non solo la prescrizione. Questa riforma è un vaccino proprio perché sveglia gli anticorpi del sistema immunitario della giustizia, che ha al suo interno forze straordinarie, che devono essere messe nelle condizioni di operare al meglio. Nella riforma si interviene su tutte le fasi del processo: dalla regolazione dei tempi per le indagini all’uso di videoregistrazioni per gli interrogatori, a una più severa regola per disporre il rinvio a giudizio, fino a una incisiva riforma delle sanzioni alternative alle pene detentive brevi. Quest’ultimo punto per me è molto qualificante, unitamente alla previsione della giustizia riparativa».

La prossima tappa è la riforma del Csm e dell’ordinamento giudiziario, che dopo il caso Palamara è diventata materia politicamente incandescente. Teme che le tensioni politiche si ripresenteranno come o peggio che sul penale? E come pensa di poter trovare una mediazione tra le diverse posizioni?
«Abbiamo tempi strettissimi anche in questo caso. E stavolta non solo per gli impegni del Pnrr, ma anche per il rinnovo del Csm tra un anno. Un punto è assodato: l’organo di autogoverno non potrà essere rinnovato con queste regole. Chiusa la riforma del processo penale, ora mi concentrerò su quest’altro capitolo, valutando anche cambiamenti che potrebbero richiedere modifiche costituzionali».

Nessun commento: