domenica 10 gennaio 2021

Assalto al Congresso Usa, i gesuiti: "Anche la Chiesa ha le sue colpe"

@ - Padre James Martin, vicinissimo a papa Francesco, denuncia una campagna elettorale incendiaria da parte di molti vescovi americani contro il dem Biden: "Così si è finito per dare legittimità morale all'attacco".

Adesso le condanne stanno a zero. A tre giorni dall’assalto al Congresso degli Stati Uniti, che ha lasciato sul terreno cinque vittime - tra queste un agente di sicurezza a Capitol Hill e un'insurrezionalista -, per la Chiesa cattolica americana è tempo di guardarsi allo specchio. Arriva dai gesuiti d'Oltreoceano l'appello alle istituzioni ecclesiali, affinché facciano un esame di coscienza e mettano a nudo le loro responsabilità morali nell’attacco senza precedenti nella storia americana, condotto da centinaia di suprematisti bianchi e ultranazionalisti, tutti fedelissimi del presidente uscente, Donald Trump.

A vestire i panni del Grillo parlante è il 60enne padre James Martin, religioso della Compagnia di Gesù, molto apprezzato da papa Francesco per il suo impegno sul versante della pastorale Lgbt. "La Chiesa cattolica statunitense ha una sua parte di responsabilità su quanto accaduto a Washington – spiega una volta raggiunto al telefono –. Durante la campagna elettorale per le presidenziali molti vescovi e preti hanno dichiarato che votare Biden era un peccato mortale o un’azione degna dell’Inferno. Un linguaggio simile ha indotto tanti a pensare che un attacco come quello che c’è stato sia legittimo dal punto di vista morale. Ecco perché ritengo che la comunità cattolica debba farsi un esame di coscienza sulle proprie responsabilità in merito all’accaduto“. 

All'indomani dell'assalto al santuario della democrazia americana, la Santa Sede aveva manifestato il proprio sdegno attraverso un articolo pungente in prima pagina sull’Osservatore romano. Nel mirino l’atteggiamento di Trump durante e dopo la campagna elettorale di novembre che l'ha visto sconfitto dallo sfidante democratico Biden, al quale solo ieri per la prima volta ha riconosciuto la vittoria. “La politica non può prescindere dalle responsabilità individuali - si legge in un passaggio dello scritto -, soprattutto da parte di chi detiene il potere ed è in grado, attraverso una narrazione polarizzante, di mobilitare migliaia di persone. Chi semina vento raccoglie tempesta“. 

Molto più sfumata, invece, la presa di posizione dell’episcopato a stelle e strisce, affidata al presidente, l’arcivescovo di Los Angeles, Horazio Gomez. Dal prelato dell’Opus Dei, che nel pieno dello scontro politico per le presidenziali ha accusato i politici cattolici pro choice (come Biden) di alimentare la confusione tra i fedeli, è arrivata una ferma condanna delle violenze a Capitol HIll, accompagnata da una preghiera per le forze di polizia impegnate a ripristinare la sicurezza e a favore di una transizione pacifica del potere. Al contempo nessun accenno, anche indiretto e generico, a quanto fatto da Trump che solo diverse ore dopo l'inizio della sedizione e sotto pressione degli avversari politici e di esponenti dello stesso Partito repubblicano, ha invitato i supporter a tornare a casa. Un omissis, quello dell'arcivescovo californiano, che non è sfuggito a Martin, l'anno scorso tra gli ospiti più apprezzati dell'ultima convention democratica: "Sono contento che si sia pregato per la pace, ma ritengo si sarebbe dovuti essere più duri nello stigmatizzare le azioni del presidente Trump".

Anche questa diversità di accenti sui fatti di Capitol Hill non fa che confermare una forte dialettica intestina alla Chiesa americana sull'azione di governo liberista del tycoon (sulla carta difensore dei valori non negoziabili) e, di riflesso, sul pontificato di Francesco, a forte trazione sociale (o socialista per gli States rurali e più profondi). Prova ulteriore sono state anche le reazioni dei singoli cardinali, dal grido di vergogna dei progressisti Blase Cupich e Joseph Tobin al silenzio assordante del conservatore Timothy Dolan, tra l'altro condiviso daila stragrande maggioranza dei vescovi residenziali. 

Tra condanne, silenzi ed auspicati esami di coscienza, in molti si domandano che cosa sarebbe successo se a marciare dritti contro Capitol Hill fossero stati non i suprematisti quanto piuttosto i manifestanti del movimento Black lives matter. "Probabilmente la polizia sarebbe stata meglio armata e molto più dura nel respingere l'attacco", ne è convinto il gesuita, a conferma della sensazione condivisa dai più di una certa leggerezza esibita dalle forze dell'ordine. Al limite della collusione con gli insorti. Resta il tema degli agenti americani dal grilletto facile, se è vero che una donna, mentre cercava di penetrare nei corridoi del Congresso da una vetrata ridotta in frantumi, è stata uccisa a sangue freddo da un uomo della sicurezza interna. Ashli Babbitt, questo il nome della vittima, una veterana dell'Aeronautica militare, era disarmata. "Ogni morte è una tragedia", è il commento di Martin, senza se e senza ma. 

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