@ - Il premier, Giuseppe Conte: «Il progetto di inserimento nel mondo del lavoro collegato al reddito di cittadinanza ci vede ancora indietro»
A lanciare il sasso nello stagno è stato il premier, Giuseppe Conte, che, per la prima volta, ha aperto alla possibilità di modificare il reddito di cittadinanza, la misura anti povertà e di politica attiva, bandiera del M5S, entrata in vigore già da un anno e mezzo. «Il progetto di inserimento nel mondo del lavoro collegato al reddito di cittadinanza ci vede ancora indietro – aveva detto nei giorni scorsi il presidente del Consiglio parlando al Festival dell'Economia di Trento -. Ho già avuto due incontri con i ministri competenti: dobbiamo completare quest'altro polo e dobbiamo riorganizzare anche una sorta di network per offrire un processo di formazione e riqualificazione ai lavoratori». L'auspicio di Conte è di realizzare questo link con il lavoro «già nei primi mesi del 2021».
Incrocio domanda e offerta di lavoro
Quello a cui pensa Conte è “un network per offrire un processo di formazione e riqualificazione ai lavoratori”. Rappresenterebbe un passo avanti per colmare la lacuna principale della misura-bandiera dei Cinque Stelle, ossia la carenza di misure per il reinserimento nel mondo del lavoro. Ma al contempo consentirebbe un monitoraggio più efficace: facendo dialogare i sistemi regionali dei centri per l'impiego con un unico “cervello” nazionale, si potrà incrociare meglio i percettori con le offerte di lavoro, verificando chi rifiuta le offerte perdendo il diritto all'assegno. La legge prevede infatti che perda l'assegno chi rifiuta una delle tre offerte di lavoro congrue ricevute. Un meccanismo che “per ora” resta così come, fanno sapere fonti qualificate di Governo: non si esclude che l'emergenza Covid, insomma, possa rimescolare le carte.
Pochi i contratti firmati
Del resto, il punto critico del reddito di cittadinanza è stato sempre il legame (mai decollato) con il mercato del lavoro. Da metà luglio è di nuovo attiva la “condizionalità”, precedentemente sospesa per l'emergenza coronavirus; e anche i navigator (al 28 luglio 2.846 unità) stanno facendo rientro nei centri per l'impiego che hanno riaperto, dopo aver fruito dello smart working.Secondo gli ultimi dati Inps, i percettori del reddito di cittadinanza hanno superato la quota di 3 milioni di persone, pari a oltre 1,3 milioni di nuclei, con un importo medio mensile percepito intorno ai 520 euro (rispetto a gennaio c'è stato un aumento dei beneficiari del 25%). Oltre 700/800mila percettori del reddito di cittadinanza, hanno fatto sapere nei giorni scorsi da Anpal, sono stati attivati e hanno sottoscritto un patto per il lavoro.
Le proposte di modifica del Pd
Il punto però è che proprio l'attivazione e, quindi, il percorso di inserimento al lavoro stanno viaggiando a velocità decisamente più bassa: sulla base degli ultimi dati rilevati dal sistema di monitoraggio del ministero del lavoro (aggiornamento al 7 luglio 2020), gli individui beneficiari del reddito di cittadinanza, indirizzati ai centri per l'impiego, che hanno un rapporto di lavoro attivato successivamente all'accoglimento della domanda di beneficio sono 196mila pari al 22% degli individui soggetti alla sottoscrizione del patto per il lavoro ed al 18,7% del totale degli individui inviati a centri per l'impiego. Dei 196mila beneficiari che hanno un rapporto di lavoro, sempre allo scorso 7 luglio, 100mila sono risultati ancora attivi. Sul reddito di cittadinanza anche la politica, e una fetta della stessa maggioranza, si era mossa. A chiedere di “migliorare” lo strumento è da mesi, il Pd, che preme, infatti, sull'alleato di governo e, in particolare, sul ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, a collegare di più e meglio la misura all'occupazione, ad esempio eliminando gli attuali “disincentivi” al lavoro e affiancando ai centri per l'impiego pubblici le agenzie del lavoro, decisamente più performanti.
Gli effetti sugli altri sussidi
L'apertura del reddito di cittadinanza al lavoro effettivo potrebbe rappresentare il “grimaldello” per rivedere un po' tutti gli strumenti di sostegno al reddito e renderli un po' meno “assistenziali”, e più “attivi”. È il caso degli ammortizzatori sociali, l'altra grande riforma allo studio del governo, che dovrebbe proprio virare verso l'occupazione e la riqualificazione delle persone (ma a oggi la commissione di esperti nominati lo scorso luglio da Nunzia Catalfo non ha ancora ufficializzato le proprie proposte).
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