@ - Almeno un anno per trovarlo, poi inizia la produzione: l’Europa rischia di restare indietro rispetto agli Usa. Attesi per metà maggio i risultati dei primi test italianiAlmeno un anno per trovarlo, poi inizia la produzione:
l’Europa rischia di restare indietro rispetto agli Usa
Attesi per metà maggio i risultati dei primi test italiani
1. Perché il vaccino è così importante?
È l’unica, vera soluzione a lungo termine contro la pandemia della Covid-19. Una volta superata la fase acuta che stiamo vivendo attualmente serviranno «armi di prevenzione necessarie per impostare il futuro. Bisogna investire in questa direzione anche se la prospettiva di avere risultati non è immediata», afferma Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’istituto oncologico Regina Elena, biologo molecolare e immunologo. Il virus, anche quando la diffusione ora in corso si sarà fermata, potrà essere sempre pronto a creare nuovi focolai e solo un vaccino potrà garantire alla popolazione l’immunità di base, vale a dire la capacità collettiva di rispondere a una nuova infezione.
2. Quanto tempo ci vorrà per averlo?
I tempi della ricerca non sono brevi. L’agenzia europea del farmaco, l’Ema, così come la «sorella» americana Fda, Food and Drug Administration, hanno autorizzato l’applicazione dello schema rapido di approvazione Prime (Priority medicines). Ma più di tanto non si potrà correre, avverte il direttore Ema con sede ad Amsterdam, l’italiano Guido Rasi: «Abbiamo già discusso con gli sviluppatori di una dozzina di potenziali vaccini contro Covid-19, ragionevolmente però non è possibile attendersi un risultato pronto al via libera prima di un anno. Sappiamo che due candidati sono entrati nella fase di sperimentazione clinica su volontari sani, potremmo avere tra qualche mese una profilassi da testare in platee più a rischio, come gli operatori sanitari».
3. E i tempi per la produzione?
È un ulteriore elemento che allunga i tempi. Una volta ricevuta l’autorizzazione, le dosi devono essere in quantità sufficiente per soddisfare il bisogno europeo e globale. E parliamo di milioni di dosi da distribuire nel mondo. «Questo richiede una capacità produttiva considerevole. La ridotta capacità in Europa è la nostra grande preoccupazione, questa fase richiede azioni concertate», avverte Rasi. Il timore è che nella corsa al vaccino vincente, il vecchio continente resti indietro. Le preoccupazioni sono fondate. Mentre le aziende e il governo Usa hanno annunciato miliardi di investimenti, dall’Europa e dall’Italia, mai prodiga nei finanziamenti alla ricerca, solo timidi segnali.
4. Quanti sono i vaccini in corsa?
Sono circa 30 i progetti, portati avanti da aziende e organizzazioni accademiche. Spiega Ciliberto: «Il vaccino deve essere capace di indurre nell’organismo la produzione di anticorpi per difendersi. In questo caso il bersaglio è la proteina Spike, quella che permette al virus di riconoscere le cellule di rivestimento di bronchi e polmoni cui legarsi. La sfida è estrapolare questa proteina che di per sé è innocua e inocularla per insegnare al sistema immunitario a produrre anticorpi. Questa si chiama immunizzazione attiva, la profilassi». Per arrivare allo stesso obiettivo le aziende si avvalgono di tecnologie diverse. È presto per capire quale sarà più efficiente.
5. Quali sembrano al momento i progetti più avanzati?
Sulla base delle notizie uscite e degli annunci, sembra aver bruciato i tempi la Moderna di Boston che è partita a metà marzo con un ridotto numero di inoculazioni su volontari sani. Siamo nella primissima fase, quella che serve a testare la tollerabilità del vaccino, vale a dire ad accertarsi che non sia tossico e che abbia la capacità di indurre la produzione di anticorpi. Grazie allo schema Prime è permesso saltare la sperimentazioni su animali fermo restando che, se ci fosse bisogno di provare su larga scala, e parliamo di centinaia di persone, bisognerebbe presentare anche i lavori preclinici che nel frattempo stanno procedendo. È partita con inoculazioni su volontari sani anche Inovio, compagnia del Massachusetts, sostenuta dall’Hic, l’equivalente americano del nostro Istituto superiore di sanità.
6. E gli altri tentativi?
Gli annunci si moltiplicano. Si proclama in fase avanzata la tedesca CureVac che spera di partire con i test sull’uomo tra giugno e luglio. Si dice prossima a partire (tra due mesi via al test su animali) con un vaccino messo a punto dallo Jenner Institute di Oxford, l’Irbm Science Park con sede a Pomezia, fino al 2009 di proprietà di Merck Sharp & Dohme, la stessa che nel 2014 uscì con un vaccino anti Ebola. Johnson&Johnson promette studi clinici col suo anti-Covid entro settembre, primi lotti entro il 2021. British American Tobacco ha avviato una linea di ricerca tramite una sua controllata Usa, con una tecnologia basata sull’impiego di foglie di tabacco. È scesa in campo anche Glaxo, consociata con la cinese Innovax.
7. E l’Italia?
È recente la firma del protocollo di intesa, con una durata di 3 anni, tra Regione Lazio, ministero della Salute e della Ricerca, Cnr e Irccs Spallanzani per «l’individuazione di un vaccino», stanziati 8 milioni. Sono partiti i test sui topi relativi a 5 candidati vaccini condotti dall’azienda biotech Takis con finanziamenti «interni» da proseguire con campagna di crowfunding. Risultati attesi a metà maggio, li valuterà lo Spallanzani. Se positivi, via alla fase di sperimentazione sull’uomo il prossimo autunno.
PER APPROFONDIRE
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