@ - Aveva fatto colazione con tutti gli altri cinquantacinque, poi una passeggiata nel cortile del centro olimpico della Cecchignola, ma a pranzo nessuno lo aveva più visto. Sparito. A dire al resto degli italiani rimpatriati lunedì dalla Cina epicentro del coronavirus e ora in isolamento nella città militare, che uno di loro, un ricercatore emiliano di 29 anni, era stato portato allo Spallanzani perché forse contagiato dal virus, sono stati i parenti che, dopo avere visto i tg, hanno cominciato a bombardarli di telefonate: «Ma tu come stai, dove sei?». Una doccia gelata per tutti. Eppure quel giovane che viaggiava da solo, piuttosto timido e taciturno, non aveva mostrato alcun sintomo che facesse presagire il trasferimento all'istituto di Malattie Infettive. Ma in serata è arrivata la conferma: positivo al coronavirus. E sulla Cecchignola è piombato lo sconforto. «E ora ricomincia la quarantena? Fuori da qui ci tratteranno come appestati?».
IN STANZA DA SOLO
Il ventinovenne era stato in Cina per andare a trovare la fidanzata. Alla Cecchignola era in una stanza singola. Neanche un raffreddore o un colpo di tosse, e al controllo della febbre del mattino che si fa - come gli altri due nel corso della giornata - praticamente davanti a tutti, ciascuno schierato dinnanzi alla porta della propria stanza, non era scattato alcun allarme. Solo un fastidio agli occhi che, però, non tutti avevano captato. Ma qualcosa era andato storto con i tamponi effettuati dall'equipe militare il giorno prima: uno dei test ha dato esito positivo e ha innescato il protocollo sanitario di grado superiore. Il ragazzo, di un paesino emiliano, è stato fatto salire su un pulmino della Croce Rossa convenzionata 118, di quelli a prova di biocontaminazione, e portato via. Non in un'ambulanza, il che vuole dire che non era sulla barella, era seduto e le sue condizioni, nel complesso, apparivano discrete. Gli altri non lo hanno visto andare via. E fino all'ultimo erano fiduciosi, perché lui stesso parlando con alcuni di loro aveva confidato di essere stato a Wuhan, la città focolaio del nuovo virus, solo per poco tempo, una giornata o poco più. «Ero andato a trovare la mia ragazza, approfittando del loro periodo di Capodanno - ha raccontato agli altri - la mia vacanza era all'inizio, ero arrivato da un giorno e poi dalla Farnesina mi hanno chiamato per rimpatriare».
«DATECI UN CERTIFICATO»
Già dal pomeriggio la tensione era salita dentro la Cecchignola. Nel primo briefing avuto dopo pranzo con le autorità sanitarie militari, agli ospiti è stato assicurato «al 100%» di essere al riparo da un eventuale contagio, visto che il virus non si trasmette per via aerea ma tramite la saliva. Alle domande sul perdurare della quarantena sarebbe stato risposto che «valgono i tamponi effettuati». Dunque, se tutti rispettano l'obbligo di indossare la maschera con filtro e i guanti quando escono dalla propria camera, senza avvicinarsi agli altri a meno di un metro, non c'è pericolo. In un secondo incontro, alla presenza del generale Antonio Battistini, massima carica sanitaria, gli ospiti hanno chiesto due cose: di essere avvisati di qualsiasi novità per non fare impaurire i propri familiari, quindi una certificazione finale del proprio stato di buona salute una volta usciti dalla Cecchignola, perché hanno paura di essere discriminati. Un papà ha già detto di avere ricevuto una richiesta in questo senso dal provveditorato scolastico per il suo bambino, anche lui «in osservazione» nella città militare. Sono diverse famiglie in isolamento, almeno una quindicina i romani. Ci sono anche emiliani, veneti, friulani, napoletani e siciliani, alcuni nuclei sono composti anche da cinesi con doppio passaporto.
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