@ - Nel giorno dei funerali del generale iraniano Qassem Soleimani, ucciso in Iraq da un attacco aereo americano, ecco una prima rappresaglia di Teheran. Fonti governative hanno diramato che l'Iran non rispetterà più l'ormai moribondo accordo del 2015 sulla limitazione del proprio programma nucleare. Patto da cui gli Usa già si erano ritirati perché non contemplava i missili. E che già nei mesi scorsi il premier Hassan Rohani aveva in parte disatteso aumentando la percentuale di uranio arricchito. La tv di Stato iraniana vagheggia inoltre una taglia da 80 milioni di dollari sulla testa del presidente americano Donald Trump: "L'Iran ha 80 milioni di abitanti. Data la popolazione iraniana, vogliamo raccogliere 80 milioni di dollari, una ricompensa per chi possa avvicinarsi a Trump".
Intanto il governo iracheno, a maggioranza sciita, ha approvato ieri la richiesta di ritiro dal Paese delle truppe americane e della coalizione internazionale per la lotta all'Isis, sebbene i deputati sunniti e curdi fossero assenti. Ora i 5.200 militari americani presenti, oltre a contingenti alleati fra cui 900 italiani, dovrebbero andarsene oppure farsi assediare. Le milizie sciite alleate dell'Iran hanno già dichiarato che «35 basi e sedi americane sono alla portata dei nostri razzi». Trump ha quindi alzato la posta: «Abbiamo una lista di 52 siti iraniani che potremmo colpire se verranno attaccati cittadini americani. Sono 52 come i diplomatici americani che tanti anni fa furono ostaggio degli iraniani. E sono di livello elevato, importanti per l' Iran e per la cultura iraniana».
Il presidente Usa si riferiva ai tempi di Khomeini, quando per 15 mesi, dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981, l'ambasciata Usa a Teheran fu occupata dai pasdaran e i suoi funzionari tenuti prigionieri. Preoccupa che fra i bersagli vengano inclusi, magari, non solo i centri nucleari di Busher, Arak o Natanz, ma anche siti culturali. L'Iran pullula di vestigia, come l'ntica reggia di Persepoli o la tomba di Ciro il Grande, sacri per tutta la cultura mondiale e ci si domanda quanto sarebbe devastante per la reputazione statunitense un tipo di azione finora compiuta solo da talebani o Isis.
Nel Mare Arabico incrocia la squadra composta dalla portaerei americana Truman, coi suoi aerei da bombardamento, e dagli incrociatori Lassen, Farragut e Forrest Sherman, tutte navi armate di missili Tomahawk. Ci sono anche navi britanniche, l'incrociatore Defender e la fregata Montrose, per scortare petroliere e mercantili nel caso gli iraniani bloccassero lo stretto di Hormuz con mine o sottomarini. L'ayatollah Alì Khamenei ha commentato: «Trump è un gangster e un giocatore d'azzardo, non conosce le leggi internazionali. Ma se ciò accadesse nessun militare americano, o base o nave Usa sarà al sicuro».
A mitigare le parole di Trump, il segretario di Stato Mike Pompeo precisa: «Ogni azione militare degli Usa contro l'Iran sarà in linea con il diritto internazionale». Pompeo ribadisce che «dopo la morte di Soleimani, il mondo è più sicuro». Lo spalleggia il generale David Petraeus, che sostiene che «è stato più importante che uccidere Bin Laden e Al Baghdadi», anche se ammette: «Non conosco le informazioni di intelligence alla base della decisione».
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