venerdì 4 ottobre 2019

Scontri violenti in Iraq, almeno 19 morti. Oscurato il web

@ - La manifestazioni contro il governo non si fermano. La coalizione militare internazionale guidata dagli Stati Uniti in Iraq segue con “profonda preoccupazione” l’evolversi della situazione.
Il coprifuoco non ferma la protesta. E neanche la polizia che apre il fuoco sui manifestanti. Prima Baghdad, poi anche la città santa sciita di Najaf, Nassiriya, al‘Amara, Bassora, Hillah, Kirkuk e Tikrit. Dal 1 ottobre l’Iraq è sceso in piazza contro il nuovo governo del premier Abdul Mahdi denunciando il carovita, la disoccupazione e la corruzione imperanti nel Paese. Proteste che, a pochi mesi dalla fine della guerra contro lo Stato islamico, in molte città sono sfociate in scontri violenti con le forze dell’ordine che hanno fatto di nuovo scorrere il sangue per le strade dell’Iraq: al momento, sono 19 i morti, tra cui un
bambino e un poliziotto, e quasi mille i feriti, secondo quanto riporta la Cnn. Il bambino ha perso la vita nel quartiere Zaafaraniya della capitale. Per le autorità, il piccolo è morto per l’esplosione di una bottiglia incendiaria lanciata da un manifestante contro un’auto, mentre altre ricostruzioni parlano di un proiettile vagante sparato dalla polizia che avrebbe colpito il bimbo per errore. Cinque persone sono rimaste uccise nella città di Amara, altre 5 a Nassiriya, ieri in tarda serata, nel corso di scontri con le forze dell’ordine. Il governo ha bloccato internet nel Paese. 

“Sono proteste legittime – dice all’agenzia Reuters Sir Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad – i manifestanti scesi in piazza appartengono a tutti gli strati della popolazione, senza distinzione di fede, etnia e censo. Vogliono vedere i loro diritti garantiti. Chiedono lavoro, istruzione, sanità, stabilità, ciò di cui gli uomini hanno bisogno per vivere una vita dignitosa. Invece vediamo tanti giovani che sono costretti ad emigrare per trovare futuro. Il Governo garantisca i diritti ai bambini, alle donne, agli anziani, ai lavoratori, alle famiglie. Faccia ogni sforzo possibile in questa direzione e si adoperi al meglio per garantire condizioni di vita migliori. È possibile che dalla guerra del 2003 non si
riesca ad avere l’erogazione di energia elettrica per 24 ore al
giorno? Oggi abbiamo luce solo ogni due ore”. “Purtroppo – denuncia mons. Warduni –, alla base di tutto c’è una corruzione dilagante. Ma non è una novità. Il popolo è stremato e chiede una vita migliore. È paradossale che in un Paese ricco di risorse – e non parlo solo di petrolio – come il nostro il popolo debba
soffrire così tanto. È lecito chiedersi, come fa la popolazione, dove sono finiti i tantissimi miliardi stanziati dai vari Governi che si sono succeduti in questi anni per ricostruire e ammodernare il Paese. Sono finiti nelle tasche dei corrotti. Molta
gente con cui ho parlato si domanda perché il premier Adel Abdul Mahdi e il presidente della Repubblica Barham Salih non parlano, non si rivolgano al popolo garantendo impegno per venire incontro alle richieste”. 

Le Nazioni Unite, attraverso la loro rappresentante Jeanine Hennis-Plaschaert, hanno espresso “grave preoccupazione”, e hanno chiesto alle autorità “di mostrare moderazione nell’affrontare le proteste. L’Iran ha annunciato la
chiusura di due valichi di frontiera con l’Iraq.. Lo slogan, “il
popolo richiede la caduta del regime”, è stato reso popolare durante le rivolte della primavera araba del 2011. “Vogliamo lavoro e migliori servizi pubblici. Li
stiamo richiedendo da anni e il governo non ha mai risposto”, spiega Abdallah Walid, un manifestante di 27 anni. Stando alla Banca Mondiale, il tasso di disoccupazione tra i giovani in Iraq arriva al 25%. Ali al-Nashmi, professore di relazione internazionali della Mustansiriya University a Baghdad, ha detto
a Reuters che le proteste sono le più serie mai organizzate e sarà difficile trovare una soluzione nel breve termine. “I manifestanti non hanno uno slogan o un leader. Vogliono tutto e non sono seguaci di una religione o di un partito politico. Sarà difficile negoziare con loro”.

Tutte le unità militari sono state poste in allerta, ha annunciato il ministero della Difesa. La coalizione di governo del premier Abdel Abdul Mahdi vacilla. Era già fragile di suo dopo che le ultime elezioni avevano sortito un risultato poco chiaro. Ma ora potrebbe avere le settimane contate. La coalizione militare internazionale guidata dagli Stati Uniti in Iraq segue con “profonda preoccupazione” l’evolversi della situazione. In una nota si legge che si avvarrà del diritto all’autodifesa, segnalando il tentativo dei manifestanti di arrivare alla Green Zone di Baghdad. In merito all’esplosione che vi si è registrata, la coalizione Usa ha detto che “le forze di sicurezza hanno aperto un’indagine. Non è stata colpita alcuna struttura
della coalizione. Ci riserviamo sempre il diritto all’autodifesa. Non tollereremo attacchi contro il nostro personale”, prosegue la nota, dalla quale emerge un appello “a tutte le parti coinvolte a ridurre le tensioni e a respingere la violenza. È molto preoccupante la perdita di vite umane e il ferimento di civili e di uomini delle forze della sicurezza irachena”.

Stesso messaggio lanciato con un tweet anche dall’ambasciata italiana nel Paese in cui si legge: “L’ambasciata italiana in Iraq esprime profonda preoccupazione e tristezza per le vittime delle proteste in corso a Baghdad e in altre città irachene. L’ambasciata d’Italia a Baghdad sostiene pienamente il dialogo pacifico tra le autorità dell’Iraq e i suoi cittadini. L’Iraq merita pace, sicurezza e prosperità”. Ma oggi, l’Iraq fa i conti con insicurezza, rabbia e
malessere sociale. E una corruzione senza freni.

Nessun commento: