martedì 3 settembre 2019

Hong Kong, Lam confessa la sua impotenza: "Mi dimetterei se potessi"

@ - In un audio "rubato" e pubblicato da Reuters la Chief executive dice che il suo spazio di manovra per risolvere la crisi "è molto limitato". Poi prova a correggere: "Mai presentate le dimissioni"

Quello che non può dire ai cittadini, a milioni di persone scese in strada a protestare, Carrie Lam lo ha confessato a porte chiuse, di fronte un ristretto gruppo di uomini di affari della città. "Aver causato questo enorme caos a Hong Kong è imperdonabile, se avessi scelta la prima cosa sarebbe lasciare", si sente in un audio di 24 minuti registrato la scorsa settimana durante questo incontro e ottenuto da Reuters.

Una sorta di drammatica, a tratti anche nel tono di voce, confessione di impotenza politica da parte della contestata Chief executive scelta da Pechino, che spiega di avere "uno spazio politico per manovrare molto molto molto limitato", ma assicura anche che il governo centrale non ha alcun piano per mandare le truppe a Hong Kong e si lascia perfino andare a uno sfogo personale, mostrando un'attitudine diversa rispetto a quella d'acciaio esibita finora in pubblico: "Ora per me è estremamente difficile uscire di casa, non vado al centro commerciale o dal parrucchiere perché la mia posizione verrebbe condivisa e troverei una folla di t-shirt e maschere nere ad aspettarmi".

Qualche ora dopo la pubblicazione dell'audio da parte di Reuters, Lam prova a correggerne il contenuto, spiegando in una conferenza stampa di "non aver mai presentato le dimissioni a Pechino" e di "poter guidare la sua squadra nella risoluzione del dilemma". Ma è difficile che la ritrattazione convinca molti, visto che le sue parole a porte chiuse (e con un rischio preventivato che qualcosa filtri) confermano ciò che ogni manifestante di Hong Kong intuiva: il "loro" Chief executive è di fatto una marionetta nelle mani del governo cinese.

Qualche giorno fa la stessa Reuters aveva rivelato, citando fonti anonime, che Carrie Lam aveva proposto a Pechino di ritirare la legge sull'estradizione (al momento solo sospesa), una delle richieste del movimento, ma che il governo cinese aveva rifiutato. I media di regime avevano definito la notizia una "bufala". Ma questa confessione, registrata, non si può smentire.

"Molta gente pensa che io abbia una soluzione politica - dice Lam nell'audio - . Ma quando una questione è elevata a livello nazionale, a un problema di sovranità e sicurezza, a maggior ragione durante queste tensioni commerciali, lo spazio politico per il Chief executive che, sfortunatamente, per Costituzione deve servire due padroni, cioè il governo centrale e il popolo di Hong Kong, questo spazio politico per manovrare è molto, molto, molto limitato".

È implicito, ma chiaro, quale dei due padroni sia più importante. E sono parole pesantissime, perché sottolineano la disfunzionalità del sistema politico di Hong Kong, una delle cause profonde di queste proteste. Dalla spiegazione di Lam si capisce anche che lo stallo, sempre più violento, non dovrebbe avere una soluzione di breve periodo. Qualcuno ipotizza che Pechino voglia risolverlo entro il primo ottobre, in modo che i disordini non rovinino le celebrazioni del 70esimo anniversario della fondazione della Repubblica popolare cinese.

"Pechino non ha una deadline, sanno che gli eventi avranno ancora un effetto domino, che ci saranno altre perturbazioni. Quindi ci siamo accordati per una celebrazione solenne ma modesta del primo ottobre, significa che né noi né loro ci aspettiamo che questa cosa possa essere messa in ordine prima". Di certo, assicura Lam, non con le truppe paramilitari che da settimane si stanno addestrando a Shenzhen, dall'altra parte della baia: "Il governo cinese non ha nessun piano di mandarle, sanno che il prezzo sarebbe enorme, troppo".

Qual è allora la strategia di Pechino? Lam dice qualcosa anche su questo: è una strategia di logoramento, soprattutto di carattere economico: "A loro importa il profilo internazionale della Cina, c'è voluto tempo per costruire questa immagine di economia responsabile e non vogliono rovinare questi sviluppi. Giocano una partita di lungo periodo: Hong Kong soffre, perde turismo, crescita, alcune quotazioni in Borsa, ma dopo che le cose sono risolte il Paese (la Cina, ndr) è lì per aiutare con misure positive". Specialmente con il progetto della Greater Bay Area, la Silicon Valley cinese di cui Hong Kong sarebbe uno dei poli.

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