@ - "al 1982 risiede in Bolivia, dove ha insegnato all’Università cattolica boliva. È autore di numerose opere di carattere teologico tradotte anche in italiano. Il seguente articolo è stato pubblicato su Iglesia viva (1° agosto 2019) redeamazonica."
Introduzione storica
Non è la prima volta né è strano che nella Chiesa ci siano gruppi dissenzienti e oppositori, a partire da Paolo che affrontò Cefa ad Antiochia (Gal 2,14) fino ai giorni nostri.
Ci furono dai primi concili e fino agli ultimi due. Nel concilio Vaticano I (1870) un gruppo di vescovi e teologi furono contrari alla definizione dell’infallibilità pontificia. Alcuni non accettarono il concilio e si separarono da Roma dando origine ai cosiddetti Vetero-cattolici. Altri, senza abbandonare la Chiesa, non vollero partecipare né assistere all’ultima votazione conciliare sull’infallibilità e qualcuno di essi fu così indispettito da gettare tutti i documenti conciliari nel Tevere.
Un secolo dopo (1970) emerse nuovamente la problematica sull’infallibilità, con dispute teologiche tra la voce critica di Hans Küng, da un lato, e Karl Rahner, Walter Kasper e altri teologi tedeschi più concilianti, dall’altro. La controversia proseguì tra storici critici del Vaticano I, come A.B. Hasler discepolo di Küng, e altri storici più ponderati come Yves Congar, Hoffman e Walter Kasper. Küng fu rimosso dall’insegnamento teologico.
Al tempo di Pio XII, quando, nel 1950, pubblicò l’enciclica Humani generis contro la cosiddetta Nouvelle théologie, furono destituiti dalle loro cattedre alcuni teologi gesuiti di Fourvière-Lyon come Henri de Lubac e Jean Daniélou e alcuni teologi domenicani di Le Saulchoir-Paris, come Yves Congar e Dominique Chénu. Più tardi alcuni di costoro divennero gli “esperti” al concilio Vaticano II convocato da papa Giovanni XXIII.
Durante il Vaticano II si sviluppò una forte opposizione guidata dal vescovo francese Marcel Lefèbvre che respinse il concilio Vaticano II perché lo riteneva neo-modernista e neo-protestante e finì per essere scomunicato da Giovanni Paolo II nel 1988, quando iniziò a ordinare vescovi al di fuori di Roma per la sua Fraternità San Pio X.
Paolo VI, in seguito alla sua enciclica Humanae vitae del 1968 sul controllo delle nascite, fu rispettosamente contestato da numerose conferenze episcopali che, senza negare i valori del suo contenuto, chiedevano una maggiore integrazione e puntualizzazione.
Durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, più di 100 teologi furono indagati, ammoniti, messi a tacere, alcuni rimossi dalle loro cattedre e uno addirittura scomunicato.
Questo preambolo storico serve a non meravigliarsi se anche oggi, davanti alla nuova immagine di Chiesa che Francesco propone, sono sorte delle voci discordi e critiche fortemente contrarie al suo pontificato.
Attraverso l’andirivieni della storia si desume che il tipo e l’orientamento dell’opposizione dipendono sempre dal momento storico che si vive: si tratta di voci progressiste e profetiche nei momenti della classica cristianità o neo-cristianità e di voci reazionarie, fondamentaliste e conservatrici nei momenti di una riforma ecclesiale che vuole tornare alle fonti evangeliche e allo stile di Gesù.
Critiche a Francesco
Attualmente esiste un forte gruppo di opposizione contro la Chiesa di Francesco: laici, teologi, vescovi e cardinali che vorrebbero le sue dimissioni o la sua rapida scomparsa e aspettano un nuovo conclave per cambiare il corso della Chiesa attuale.
Non vogliamo qui fare un’indagine socio-storica, e nemmeno uno show mediatico, tipo western, tra buoni e cattivi, perciò preferiamo non citare i nomi e i cognomi degli oppositori che oggi stanno “spellando vivo” Francesco, quanto piuttosto rilevare quali sono le linee di fondo teologiche che soggiacciono a questa sistematica opposizione a Francesco, e sapere qual è il motivo della polemica.
Le critiche a Francesco hanno due dimensioni, una teologica e un’altra piuttosto sociopolitica, anche se, come vedremo più avanti, molte volte entrambe le linee convergono tra loro.
Critica teologica
La critica teologica parte dalla convinzione che Francesco non è un teologo, ma uno che viene dal Sud, dalla fine del mondo, e che questa mancanza di professionalità teologica spiega le sue inesattezze e persino i suoi errori dottrinali.
Questa mancanza di professionalità teologica di Francesco viene messa a confronto con la competenza accademica di Giovanni Paolo II e naturalmente di Josef Ratzinger-Benedetto XVI.
La mancanza di teologia di Francesco spiegherebbe le sue pericolose affermazioni sulla misericordia di Dio in Misericordiae vultus(MV), la sua tendenza filocomunista verso i poveri e i movimenti popolari e la pietà popolare come luogo teologico in Evangelii gaudium (EG 197-201); la sua mancanza di teologia morale nell’aprire la porta ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia e, in alcuni casi, previo discernimento personale ed ecclesiale, alle coppie cattoliche separate e risposate, come appare in una nota del capitolo ottavo di Amoris laetitia (AL 305, nota 351); la sua scarsa competenza scientifica ed ecologica si manifesterebbe nella sua enciclica sulla cura della casa comune (Laudato si’); e scandalizza la sua eccessiva enfasi sulla misericordia divina (Misericordiae vultus), che riduce a buon prezzo la grazia e la croce di Gesù.
Davanti a queste accuse, vorrei ricordare un’affermazione classica di Tommaso d’Aquino che distingue tra la cattedra magisteriale, propria dei teologi professori delle università, e la cattedra pastorale che corrisponde ai vescovi e ai pastori della Chiesa. Newman riprende questa tradizione affermando che, sebbene a volte tra le due cattedre ci possa essere tensione, alla fine c’è convergenza tra di esse.
Questa distinzione viene applicata a Francesco il quale, sebbene come gesuita padre Jorge Mario Bergoglio abbia studiato e insegnato teologia pastorale a San Miguel de Buenos Aires, ora i suoi pronunciamenti appartengono alla cattedra pastorale del vescovo di Roma. Non presume di sedersi su questa cattedra come teologo, ma come pastore. Come è stato detto con un certo umorismo, dobbiamo passare dal Bergoglio della storia al Francesco della fede.
Ciò che, in fondo, indispone i suoi detrattori è il fatto che la sua teologia parta dalla realtà, dalla realtà dell’ingiustizia, della povertà e della distruzione della natura e dalla realtà del clericalismo ecclesiale.
Non disturba il fatto che abbracci i bambini e i malati, ma indispone che vada a visitare Lampedusa e i campi profughi e migranti come a Lesbo, indispettisce che dica che non si devono costruire muri contro i rifugiati ma ponti di dialogo e di ospitalità; dà fastidio che, al seguito di Giovanni XXIII, affermi che la Chiesa dev’essere povera e dei poveri, che i pastori devono sentire l’odore della pecora, che la Chiesa dev’essere una Chiesa in uscita che va alle periferie e che i poveri sono un luogo teologico.
Disturba che dica che il clericalismo è la lebbra della Chiesa ed enumeri le 14 tentazioni della curia vaticana che vanno dal sentirsi essenziali e necessari alla smania di ricchezza, alla doppia vita e all’Alzheimer spirituale.
Infastidisce che aggiunga che queste sono anche tentazioni delle diocesi, delle parrocchie e delle comunità religiose.
Importuna che dica che la Chiesa deve essere una piramide rovesciata, con i laici in alto e il papa e i vescovi in basso e che dica anche che la Chiesa è poliedrica e soprattutto sinodale, e che facciamo tutti insieme lo stesso cammino, che dobbiamo ascoltarci e dialogare; dà fastidio che in Episcopalis communio si parli di Chiesa sinodale e della necessità di ascoltarsi reciprocamente.
Irrita i gruppi conservatori che Francesco abbia ringraziato Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Jon Sobrino, José María Castillo per i loro contributi teologici e abbia annullato le sospensioni a divinis a Miguel d’Escoto e a Ernesto Cardenal; sorprende che a Küng, che scrisse a Francesco sulla necessità di ripensare l’infallibilità, abbia risposto chiamandolo “caro confratello” (Lieber Mitbruder) e che avrebbe preso in considerazione le sue osservazioni, disposto a dialogare sull’infallibilità.
E infastidisce molti che Francesco abbia canonizzato Romero, il vescovo martire salvadoregno, tacciato da molti come comunista e utile idiota della sinistra, la cui causa era rimasta bloccata per anni.
Infastidisce che dica che non spetta a lui giudicare gli omosessuali, che affermi che la Chiesa è femminile e che, se le donne non vengono ascoltate, la Chiesa resterà impoverita e parziale.
La sua invocazione alla misericordia, una misericordia che è al centro della rivelazione biblica, non gli impedisce di parlare di tolleranza zero contro gli abusi di membri significativi della Chiesa verso i minori e le donne, un crimine mostruoso, del quale si deve chiedere perdono a Dio e alle vittime, riconoscere il silenzio complice e colpevole della gerarchia, cercare di riparare, proteggere i giovani e i bambini impedendo che accada di nuovo. E non gli trema la mano quando degrada e destituisce dai suoi incarichi il colpevole, sia esso cardinale, nunzio, vescovo o presbitero.
È chiaro che egli non è un teologo, ma che la sua teologia è pastorale: Francesco passa dal dogma al kerigma, dai principi teorici al discernimento pastorale e alla mistagogia. E la sua teologia non è coloniale, ma del Sud e questo disturba il Nord.
Critica socio-politica
Di fronte a coloro che accusano Francesco di essere terzomondista e comunista, occorre affermare che i suoi messaggi sono in perfetta continuità con la tradizione profetica, biblica e con la dottrina sociale della Chiesa.
Ciò che infastidisce è la sua chiaroveggenza profetica: no a un’economia di esclusione e di disuguaglianza, no a un’economia che uccide, no a un’economia senza volto umano, no a un sistema sociale ed economico ingiusto che si cristallizza in strutture sociali ingiuste, no a una globalizzazione dell’indifferenza, no all’idolatria del denaro, no a un denaro che governa anziché servire, no a una disuguaglianza che genera violenza, e al fatto che nessuno deve strumentalizzare Dio per giustificare la violenza, no all’insensibilità sociale che ci anestetizza di fronte alla sofferenza altrui, no agli armamenti e all’industria della guerra, no al traffico di esseri umani e a qualsiasi forma di morte provocata (EG 52-75).
Francesco non fa altro che aggiornare il comandamento di non uccidere e difende il valore della vita umana, dall’inizio sino alla fine e ripete a noi oggi la domanda di YHWH a Caino: «Dov’è tuo fratello?».
Inoltre, disturba la critica al paradigma antropocentrico e tecnocratico che distrugge la natura, inquina l’ambiente, attacca la biodiversità ed esclude i poveri e gli indigeni da una vita umana dignitosa (LS 20-52).
Disturba le multinazionali che egli critichi le imprese forestali, petrolifere, le compagnie idroelettriche e minerarie che distruggono l’ambiente, danneggiano gli indigeni di quel territorio e minacciano il futuro della nostra casa comune.
Infastidisce la sua critica ai leader politici incapaci di prendere risoluzioni coraggiose (LS 53-59).
E comincia a infastidire l’annuncio del prossimo sinodo di ottobre 2019 sull’Amazzonia, che è un esempio concreto della necessità di proteggere l’ambiente e salvare i gruppi amazzonici indigeni dal genocidio. Alcuni alti dignitari della Chiesa hanno affermato che l’Instrumentum laboris o Documento preparatorio del sinodo è eretico, panteista e nega la necessità della salvezza in Cristo.
Altri commentatori si sono concentrati esclusivamente sulla proposta di ordinare uomini sposati indigeni per poter celebrare l’eucaristia in luoghi remoti dell’Amazzonia, ma hanno completamente ignorato la denuncia profetica che questo Documento preparatorio fa contro la distruzione estrattiva perpetrata in Amazzonia, che è causa di povertà e di esclusione delle popolazioni indigene, probabilmente mai tanto minacciate come oggi.
A modo di conclusione
Senza dubbio c’è una convergenza tra la critica teologica e la critica sociale nei riguardi di Francesco, i gruppi reazionari ecclesiali si allineano con i potenti gruppi economici e politici, specialmente del Nord. Possiamo anche chiederci se questa recente esplosione di abusi sessuali che colpisce direttamente la figura di Francesco, che è allo stesso tempo pastore riformista ecclesiale e leader mondiale, sia stata una pura casualità e una semplice coincidenza.
In definitiva, l’opposizione a Francesco è un’opposizione al concilio Vaticano II e alla riforma evangelica della Chiesa che Giovanni XXIII intendeva promuovere. Francesco si pone sulla linea di tutti i profeti che volevano riformare la Chiesa, insieme a Francesco di Assisi, Ignazio di Loyola, Caterina da Siena e Teresa di Gesù, Angelo Roncalli, Helder Cámara, Dorothy Stang, Pedro Arrupe, Ignazio.
Francesco ha ancora molti argomenti in sospeso per una riforma evangelica della Chiesa. Non sappiamo quale e come sarà la sua traiettoria futura, né cosa accadrà nel prossimo conclave.
I papi passano, ma il Signore Gesù continua ad essere presente e a sostenere la Chiesa fino alla fine dei secoli, quel Gesù che era considerato un mangione e un beone, un amico dei peccatori e delle prostitute, un indemoniato, fuori di sé, sedizioso e blasfemo. E crediamo che lo Spirito del Signore che discese sulla Chiesa primitiva nella Pentecoste non l’abbandonerà mai e non permetterà che il peccato, alla fine, trionfi sulla santità.
E intanto, come chiede sempre Francesco fin dalla sua prima apparizione sul balcone di San Pietro in Vaticano come vescovo di Roma e ancor oggi, preghiamo il Signore per lui, affinché la sua speranza non venga meno e confermi la fede dei suoi fratelli. E se non possiamo pregare o non siamo credenti, auguriamogli almeno che sia in buon forma.
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