giovedì 20 dicembre 2018

Manovra, le modifiche: clausole di salvaguardia Iva da 23 miliardi nel 2020. Web tax al 3% sui ricavi da servizi digitali

Il maxi-emendamento del governo depositato al Senato mercoledì sera dettaglia le misure messe in campo per correggere i conti 2019 di 10,25 miliardi e arrivare così a un accordo con la Ue. Salgono di 9,4 miliardi per il 2020 e 13,1 per il 2021 gli aumenti dell'imposta indiretta che scatterebbero se non vengono trovate altre coperture. Web tax al 3% sui ricavi per i gruppi che fatturano più di 750 milioni da servizi digitali.

Possibili aumenti dell’Iva per un totale di 23 miliardi nel 2020 e quasi 29 nel 2021 e nel 2022 come clausole di garanzia per rassicurare Bruxelles, che però ieri ha notato come queste “salvaguardie” non siano mai davvero scattate. Il taglio progressivo, per tre anni, dell’adeguamento all’inflazione per le pensioni sopra i 1.522 euro. Un’imposta del 3% sui ricavi da servizi digitali, che colpirà i soggetti con ricavi superiori a 750 milioni di euro. La vendita di immobili pubblici, che porterà però ricavi di neanche 1 miliardo di euro per il 2019 e 150 milioni nel 2020 e 2021. L’aumento delle tasse su slot e videolotteries, per un incremento totale del gettito di quasi 600 milioni. Sono alcuni dei punti principali che emergono dal maxi-emendamento alla manovra messo a punto dal governo per recepire l’accordo con la Ue e depositato mercoledì sera in commissione Bilancio al Senato. La correzione di 10,25 miliardi viene raggiunta grazie a 9 miliardi di minori spese e 1,2 miliardi di maggiori entrate. L’approdo in Aula del testo è previsto per le 17 di oggi. E’ possibile che la commissione concluda i lavori senza il mandato al relatore e venga poi chiesta la fiducia su un maxi-emendamento che recepisca le proposte di esecutivo e relatori.

Per garantire il rispetto degli impegni negli anni successivi al prossimo, l’esecutivo ha rinforzato le clausole che prevedono aumenti automatici delle aliquote Iva a meno che non si trovino coperture alternative. La prima versione della legge di Bilancio “sterilizzava” interamente gli incrementi per il 2019 e parzialmente per il 2020 e 2021, riducendoli a 13,6 e 15,5 miliardi di maggiori entrate totali. Ora le cifre salgono di 9,4 miliardi per il 2020 e 13,1 per il 2021. Nella relazione tecnica viene spiegato che, senza interventi, l’aliquota ridotta del 10% passerebbe dal 2020 al 13%, mentre l’aliquota ordinaria oggi al 22% passerebbe nel 2020 al 25,2% e nel 2021 al 26,5% nel 2021.

La tabella che accompagna l’emendamento mostra che la maggior parte dei risparmi deriverà dalla revisione al ribasso delle risorse del “fondo per la revisione del sistema pensionistico” (leggi quota 100) e di quello per il Reddito di cittadinanza: gli stanziamenti, rispetto ai circa 9 miliardi per il reddito e 6,7 per quota 100 previsti inizialmente, scendono di 1,9 miliardi e 2,7 miliardi in seguito alla decisione di farli partire da fine marzo e a stime sulla percentuale di potenziali beneficiari che effettivamente li chiederanno.

Previsto poi il raffreddamento dello schema di indicizzazione dei trattamenti pensionistici di importo più alto. Per tre anni sarà tagliato l’adeguamento delle pensioni oltre i 1.522 euro al mese (3 volte il minimo). La decurtazione maggiore, fino al 60%, scatterà per gli assegni oltre i 4.566 euro.L’indicizzazione piena ci sarà solo per le pensioni fino a 1.522 euro, poi sono previste sei fasce di tagli. Confermati gli interventi sulle cosiddette pensioni d’oro calcolate con metodo retributivo, con riduzione dei trattamenti oltre i 100mila euro attraverso la previsione di un contributo di solidarietà temporaneo (per 5 anni) e progressivo per scaglioni di reddito. Le fasce sono complessivamente cinque: tra 100mila e 130mila euro (fascia in cui ricadono 16.644 persone) il contributo sarà del 15%, mentre il prelievo salirà al 25% per i redditi tra 130.001 e 200mila euro (6.665 persone), del 30% per i redditi tra 200.001 e 350mila euro (873 persone), del 35% per i redditi tra 350.001 e 500mila euro (82 persone) e del 40% oltre i 500mila euro, eventualità che riguarda solo 23 pensionati d’oro. Dal raffreddamento dell’indicizzazione sono attesi risparmi per 415 milioni nel 2019, mentre la riduzione delle pensioni d’oro lascerà nelle casse dello Stato 138 milioni.

Viene prevista l’istituzione di un’imposta sui servizi digitali gravante sui soggetti che nell’esercizio dell’attività di impresa prestino servizi digitali e che superino determinate soglie. La nuova misura imporrà un’aliquota al 3% sui ricavi, da versare entro il mese successivo a ciascun trimestre. Verrà applicata ai soggetti che prestano servizi digitali e che “hanno un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni e che hanno un ammontare di ricavi derivanti dalla prestazione di servizi digitali non inferiore a 5,5 milioni di euro”. Nelle casse dello Stato dovrebbero entrare 150 milioni nel 2019, 600 nel 2020 e 600 nel 2021.

Diminuiscono le ambizioni di ricavi dalla vendita di patrimonio pubblico: dal programma di dismissioni immobiliari sono attesi introiti “per un importo non inferiore a 950 milioni per il 2019 e a 150 milioni per ciascuno degli anni 2020, e 2021, al netto delle quote non destinate al Fondo ammortamento titoli di Stato o alla riduzione del debito degli enti”. Il piano dovrà essere pronto entro il 30 aprile prossimo.

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