giovedì 20 dicembre 2018

L’ISIS è stato sconfitto, come dice Trump?

L'argomento usato per spiegare il ritiro dei soldati americani dalla Siria non regge: lo Stato Islamico ha perso molti territori ma c'è ancora, e si è trasformato in qualcosa di diverso.
Mercoledì il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti hanno iniziato a ritirare tutti i loro soldati dalla Siria, perché «lo Stato Islamico è stato sconfitto». La notizia ha sorpreso praticamente tutti, anche perché fino a pochi giorni fa esponenti della sua amministrazione avevano ripetuto più volte che i soldati statunitensi sarebbero rimasti in Siria ancora per molto tempo. Trump è stato criticato da più parti – da esperti, alleati e colleghi di partito, come il senatore Repubblicano Lindsey Graham – che hanno sostenuto soprattutto una cosa: non è vero che lo Stato Islamico è stato sconfitto e andarsene ora dalla Siria significa rischiare che quella che è stata l’organizzazione terroristica più potente del mondo possa tornare a essere quella che era prima.


Negli ultimi due anni e mezzo lo Stato Islamico (o ISIS) ha subìto una sconfitta militare dietro l’altra sia in Siria che in Iraq, i due paesi nei quali aveva stabilito il Califfato Islamico. Ha perso il controllo di quasi tutti i suoi territori, riconquistati dall’esercito iracheno alleato con le milizie sciite e da un’alleanza di curdi e arabi appoggiata dagli Stati Uniti. Se prima era uno stato vero e proprio, con regole e istituzioni proprie, col tempo si è trasformato in qualcosa di diverso, molto più simile a una rete clandestina di gruppi estremisti e jihadisti che combattono usando tecniche terroristiche e di insurgency. Il fatto che sia cambiato, però, non significa che sia stato completamente sconfitto, come invece ha sostenuto Donald Trump per spiegare il ritiro dei soldati statunitensi dalla Siria.

Negli ultimi mesi, esperti e analisti avevano parlato di un «ritorno dell’ISIS», raccontato anche da due documenti molto dibattuti: uno dell’ONU e l’altro del dipartimento della Difesa statunitense. Entrambi i rapporti avevano già contraddetto alcune affermazioni del governo Trump sull’ISIS, e avevano sostenuto che lo Stato Islamico poteva ancora contare in Siria e in Iraq su 20-30mila miliziani, tra cui molti “foreign fighters”, i combattenti stranieri.


Una mappa aggiornata della situazione in Siria: le forze alleate al presidente siriano Bashar al Assad sono indicate in rosso, i ribelli in verde chiaro, i ribelli dell’Esercito libero siriano alleati con la Turchia e i soldati turchi in un verde diverso (a nord, al confine con la Turchia), i curdi in giallo, l’ISIS in grigio (Liveuamap)

La stessa posizione è stata espressa mercoledì dal governo britannico, alleato degli Stati Uniti nelle operazioni militari anti-ISIS in Siria e in Iraq. Il portavoce del governo guidato dalla prima ministra Theresa May e il ministro della Difesa, Tobias Ellwood, hanno detto che la minaccia posta dall’ISIS continua a esistere ancora oggi e che «si è trasformata in altre forme di estremismo» altrettanto pericolose. Secondo quanto scritto dai giornali americani, la pensano allo stesso modo anche molti funzionari del dipartimento della Difesa e del dipartimento di Stato statunitensi, che starebbero cercando di convincere Trump a cambiare idea.

Uno dei più grandi rischi sottolineati dagli esperti è che una minore pressione militare potrebbe permettere all’ISIS di riorganizzarsi, ristrutturarsi e ritornare in breve tempo a essere quello che era prima, o qualcosa di simile. Non sarebbe la prima volta. L’ISIS, o meglio, il gruppo antenato dell’ISIS, era stato dichiarato praticamente sconfitto anche nella seconda metà degli anni Duemila, quando una precisa strategia di counter-insurgency adottata dagli Stati Uniti in Iraq aveva spinto molte comunità sunnite locali a togliere l’appoggio al gruppo, indebolendolo moltissimo. Il ritiro delle truppe statunitensi dall’Iraq aveva però cambiato di nuovo le cose e l’ISIS aveva trovato modi, spazi e opportunità per riorganizzarsi e diventare l’organizzazione terroristica più potente e ricca del mondo.

Il problema non è tanto la quantità di truppe statunitensi che verranno ritirate dalla Siria: si parla di circa 2mila soldati, un numero molto contenuto che difficilmente di per sé è in grado di spostare gli equilibri di una guerra. Il fatto è che la presenza statunitense dava protezione e tutele ai curdi, i principali responsabili della campagna militare contro l’ISIS in Siria. Senza le truppe americane, i curdi potrebbero diventare molto più vulnerabili agli attacchi della Turchia, che li considera un gruppo terroristico da distruggere e che solo pochi giorni fa ha promesso l’inizio di una nuova operazione anti-curda nel nord della Siria. Se tutto questo dovesse succedere, l’ISIS otterrebbe nel giro di poco tempo il ritiro dei suoi due principali nemici e avrebbe nuove opportunità per riorganizzarsi e tornare a crescere.

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