domenica 28 ottobre 2018

Possiedi una casa di proprietà, sei tra i nuovi poveri. Ecco i motivi

Essere proprietari di un casa non è affatto una via d’uscita dalla lista dei poveri. Proprio così e anzi, un po’ provocatoriamente c’è chi li considera i nuovi poveri. Sia chiaro, non c’è alcuna contraddizione nei termini perché non basta essere intestatari di una proprietà, magari la casa in cui si vive, per poter fare conto su una ricchezza reale che produce valore per chi la detiene. Certo, non dover pagare alla fine del mese alcun costo per l’affitto è più che una salvezza per chi non ce la fa a sbarcare il lunario. Ma è anche vero il contrario: il proprietario immobiliare non è automaticamente un non povero. E ci sono una serie di ragioni ben precise che danno manforte a questa evidenza. A iniziare da un recentissimo rapporto Istat, secondo cui negli ultimi 8 anni il valore delle case è calato in media di oltre il 15%. Non solo, ma a guardare il dato relativo alle vecchie abitazioni, il dato è ancor più negativo: -22,1%.

Riepiloghiamo un paio di dati: negli ultimi 8 anni, secondo l’ISTAT, il valore delle case è calato mediamente di oltre il 15%, e se guardiamo il dato relativo alle vecchie abitazioni, questo è ancor più negativo, con valori scesi del 22,1%. Se prendiamo il rapporto annuale dei dati statistici notarili, a prima vista con 862.939 compravendite di beni immobili registrate nel 2017, con un aumento del 6,79% rispetto al 2016 si potrebbe parlare di ripresa del mercato, ma in questo studio il dato più interessante è il valore medio delle compravendite, che è passato da 148mila a 126mila euro. Altro dato: negli ultimi cinque anni il mercato delle aste immobiliari ha visto salire l’offerta (+23%) e le ricerche di immobili sono raddoppiate, ma le compravendite effettive sono rimaste al palo.

Ultimo aspetto, che fornisce un sentiment sul rischio paese: gli investitori esteri pur investendo 2 miliardi di euro nel primo semestre del 2018 (principalmente in uffici e in centri commerciali) hanno investito il 48,2% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Cosa significa tutto ciò in parole povere? Vediamo:
1. la crisi del mattone dopo 10 anni non è finita. O meglio: è questo il nuovo livello del mercato immobiliare italiano. Inutile fantasticare nella risalita (a breve), e in nuovi “affari”;
2. chi ha un immobile cerca di disfarsene – per volontà, o per necessità – per ottenere liquidità immediata;
3. se ho un immobile che non riesco a piazzare (ovvero è da mesi o anni, sul mercato), alla fine mi accontento – o sono costretto – ad accettare una cifra più bassa per monetizzare;
4. sì, ma se qualcuno vende, qualcuno acquista. Vero, ma su che valori? E se il 39,66 % dei compratori ha chiesto l’agevolazione prima casa, cosa ci dice questo dato combinato?

Traduzione: abbiamo sempre più case sul mercato, sempre più vecchie (quindi con tecnologie antisismiche non adeguate, e quindi insicure; e con tecniche di risparmio energetico non attuali, e questo significa che il mantenimento è assai costoso), che in definitiva valgono sempre meno. E questo gli investitori istituzionali esteri (quelli italiani come fondi pensioni e assicurazioni sono già robustamente esposti sul settore immobiliare) lo sanno. Non mancano immobili, mancano immobili appetibili.

E cosa fanno allora i nostri proprietari per difendersi?
O “svendono”, come in parte dicono già i dati appena riportati, oppure si orientano verso il mercato degli affitti, che a guardare i dati sta riscontrando un interesse sempre maggiore. Vuoi perché c’è comunque una forte domanda da parte di giovani, studenti e lavoratori immigrati che non hanno la possibilità di ottenere un finanziamento bancario, vuoi perché negli ultimi tre anni c’è stato un vero e proprio boom delle locazioni brevi (locazioni da un giorno ad un anno). Ma anche in questo caso, fin troppo spesso, sono più i furbetti che si inventano una fonte di reddito da un giorno all’altro arrecando un doppio danno – sia al fisco, e sia a chi opera legalmente nel settore – che coloro che operano professionalmente. Purtroppo è risaputo che in Italia ci sono 60 milioni di allenatori della Nazionale, che all’occorrenza diventano 60 milioni di medici, economisti, ingegneri strutturali, ecc… e quindi, ovviamente, esperti d’immobiliare, quando per lavorare nel pieno rispetto delle normative, e creare valore, occorre un bagaglio di competenze che non si improvvisa. Ma su questo fronte, dal Governo nessun segnale.

Il vero problema, in tutto ciò, nasce perché guardando i dati di Banca d’Italia, con la sua consueta indagine sui redditi delle famiglie italiane (aggiornato al 2016) rilasciata all’inizio di quest’anno, ci si accorge che a comporre il reddito delle famiglie italiane contribuiscono le abitazioni che sono per il 70% di proprietà: le attività reali (immobili, aziende, oggetti di valore) rappresentano l’87% del patrimonio lordo delle famiglie italiane rilevato nell’indagine. Secondo la valutazione delle famiglie, l’abitazione di residenza, valeva in media poco meno di 1.800 euro al metro quadrato, il 7 per cento in meno rispetto al valore del 2014 e il 23 per cento in meno rispetto a quello del 2006, un andamento complessivamente in linea con quello evidenziato dall’Indice dei prezzi delle abitazioni dell’Istat.

C’è solo un piccolo problema: questi 1.800 euro/mq sono una valutazione (ecco la parola chiave), non il prezzo finale di vendita, che come abbiamo visto, e come riportano i dati, è in costante inesorabile calo. C’è una differenza significativa: la percezione di essere “ricchi” perché si possiede casa, che vale ancora molto. Non è così.

E in tutto questo, venendo a queste settimane di tensioni, con l’ultimo declassamento da parte di Moody’s, e la parola patrimoniale non più così tabù, non ci sarebbe nemmeno troppo da stupirsi se al Governo si decidesse non di mettere direttamente le mani nelle tasche degli italiani, ma indirettamente sì. Ovvero aumentando l’imposizione fiscale su qualcosa difficilmente trasferibile all’estero. Indovinate cosa? Esatto, la casa di proprietà.

Quindi, ricapitolando: la ricchezza delle famiglie è allocata (per l’87%) in un’asset class che per propria natura è tra le più illiquide sul mercato, su valori ipotetici, non di mercato, mentre tassazione e imposte sono certe e reali, e possibili patrimoniali non sono oggi da escludere. Quello che è ritenuto un tesoretto, in realtà a guardarlo bene, tanto tesoretto non è.

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