Matrimoni tra islamici e cattolici, ecco cosa dice la Chiesa: "Nel momento in cui tornano all'attenzione i matrimoni tra persone di fedi diversi, anche per i matrimoni tra cattolici e musulmani il criterio guida è quello ribadito in Amoris laetitia: valutazione caso, per caso, discernimento, sguardo benevolo e accogliente. Che non significa negare i problemi esistenti – che sono molto spesso tanto gravi e complessi da risultare insuperabili – ma non significa neppure esprimere pregiudizi ed emanare sentenze prima di conoscere la situazione reale che varia, appunto, tra coppia e coppia.
I documenti che per la Chiesa cattolica regolano queste situazioni sono soprattutto due
Le “Indicazioni della Presidenza della Conferenza episcopale italiana – I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia” (2005) (LEGGI QUI) e gli “Orientamenti per la preparazione al matrimonio e alla famiglia” (2012) che dedicano al problema un lungo paragrafo. Fermarci però all’elenco delle regole da seguire negherebbe quello che papa Francesco – e due Sinodi mondiali – ci hanno detto a proposito della “gioia dell’amore”.
Il bene di due persone che si amano è superiore alla norma, anche se la norma non può essere cancellata, visto che si iscrive comunque nella prospettiva del bene delle persone, e che l’equilibrio tra queste due esigenze in contrasto solo apparente, va ricercato alla luce della coscienza, cioè attraverso quel discernimento che è una delle parole chiave a cui Francesco va riferimento nell’Esortazione postsinodale.
Ora, se l’atteggiamento iniziale della Chiesa di fronte a due persone che dicono di amarsi e che hanno intenzione di celebrare il loro matrimonio, non può essere altro che di accoglienza, di rispetto e di fiducia al di là delle diversità culturali, religiose, sociali, va subito detto che appunto la “bussola” del discernimento deve indurre a non sottovalutare queste differenze e a verificare con attenzione se esistono concretamente le condizioni per cui il matrimonio ma anche la semplice convivenza, possa risultare fruttuosa per il bene delle persone, per i figli che verranno, per la comunità, per le famiglie di origine.
Sguardo prudente
Le esperienze maturate in questi ultimi decenni e le differenze obiettive di tipo sociale e culturale legate ai diritti e ai doveri dei coniugi, alla differente visione del ruolo della donna, alle interferenze dell’ambiente familiare d’origine, alla patria potestà e agli aspetti patrimoniali, confermano la necessità di uno sguardo prudente e di un discernimento che non può essere né emotivo né superficiale.
Quando poi dal piano socio-culturale passiamo a quello religioso, il divario si fa ancora più consistente. Se è indubitabile l’esistenza di punti di convergenza tra la visione del matrimonio cattolico e quello islamico, è altrettanto vero che le differenze sono però tanto profonde, sostanziali e spesso insuperabili da far dire ai vescovi italiani – nel documento del 2005 – che in linea generale questi matrimoni sarebbero da “sconsigliare o comunque da non incoraggiare”.
Il dovere del discernimento ci obbliga però a valutare attentamente queste considerazione e ad iscriverle nelle diverse situazioni esistenziali. Occorre ricordare subito che, secondo il Corano, un uomo musulmano può sposare una “donna del Libro” (cioè cristiana o ebrea) mentre una musulmana non può sposare un “politeista” (Corano 5, 5) o un “miscredente” (Corano 2, 221), categorie all’interno delle quali sono annoverati anche cristiani ed ebrei. A meno che cristiani ed ebrei siano disposti a sottoscrivere la “shahada”, cioè la dichiarazione di fede islamica. Non si tratta di una semplice formalità ma di un autentico atto di apostasia della fede cattolica e di adesione formale alla fede islamica con tutte le conseguenze anche civili collegate. Non deve stupire quindi il fatto che sia davvero esiguo il numero di uomini cristiani che sposano donne musulmane.
Anche per il caso opposto però – donna cristiana che sposa un uomo musulmano – i problemi esistono, eccome. Innanzi tutto sul piano della fede. Il matrimonio sacramento – segno della grazia divina, sorgente di ispirazione valoriale, percorso di santificazione a due – è qualcosa di non sempre comprensibile per l’islam, anche se i concetti di rispetto, affetto e misericordia tra gli sposi si ritrovano anche nel Corano.
Un rapporto asimmetrico
Sempre considerando però che si tratta di un rapporto asimmetrico, che riconosce all’uomo tutta una serie di diritti (compresa la decisione unilaterale del ripudio e le scelte sull’educazione dei figli) negati invece alla donna. Manca nell’islam anche una riflessione antropologica sul significato della sessualità, sul senso e sugli obiettivi dell’intimità coniugale. Un vuoto determinato anche dalla persistenza – almeno sul piano formale – di una pratica tribale e offensiva per la donna come la poligamia." SEGUE >>>
I documenti che per la Chiesa cattolica regolano queste situazioni sono soprattutto due
Le “Indicazioni della Presidenza della Conferenza episcopale italiana – I matrimoni tra cattolici e musulmani in Italia” (2005) (LEGGI QUI) e gli “Orientamenti per la preparazione al matrimonio e alla famiglia” (2012) che dedicano al problema un lungo paragrafo. Fermarci però all’elenco delle regole da seguire negherebbe quello che papa Francesco – e due Sinodi mondiali – ci hanno detto a proposito della “gioia dell’amore”.
Il bene di due persone che si amano è superiore alla norma, anche se la norma non può essere cancellata, visto che si iscrive comunque nella prospettiva del bene delle persone, e che l’equilibrio tra queste due esigenze in contrasto solo apparente, va ricercato alla luce della coscienza, cioè attraverso quel discernimento che è una delle parole chiave a cui Francesco va riferimento nell’Esortazione postsinodale.
Ora, se l’atteggiamento iniziale della Chiesa di fronte a due persone che dicono di amarsi e che hanno intenzione di celebrare il loro matrimonio, non può essere altro che di accoglienza, di rispetto e di fiducia al di là delle diversità culturali, religiose, sociali, va subito detto che appunto la “bussola” del discernimento deve indurre a non sottovalutare queste differenze e a verificare con attenzione se esistono concretamente le condizioni per cui il matrimonio ma anche la semplice convivenza, possa risultare fruttuosa per il bene delle persone, per i figli che verranno, per la comunità, per le famiglie di origine.
Sguardo prudente
Le esperienze maturate in questi ultimi decenni e le differenze obiettive di tipo sociale e culturale legate ai diritti e ai doveri dei coniugi, alla differente visione del ruolo della donna, alle interferenze dell’ambiente familiare d’origine, alla patria potestà e agli aspetti patrimoniali, confermano la necessità di uno sguardo prudente e di un discernimento che non può essere né emotivo né superficiale.
Quando poi dal piano socio-culturale passiamo a quello religioso, il divario si fa ancora più consistente. Se è indubitabile l’esistenza di punti di convergenza tra la visione del matrimonio cattolico e quello islamico, è altrettanto vero che le differenze sono però tanto profonde, sostanziali e spesso insuperabili da far dire ai vescovi italiani – nel documento del 2005 – che in linea generale questi matrimoni sarebbero da “sconsigliare o comunque da non incoraggiare”.
Il dovere del discernimento ci obbliga però a valutare attentamente queste considerazione e ad iscriverle nelle diverse situazioni esistenziali. Occorre ricordare subito che, secondo il Corano, un uomo musulmano può sposare una “donna del Libro” (cioè cristiana o ebrea) mentre una musulmana non può sposare un “politeista” (Corano 5, 5) o un “miscredente” (Corano 2, 221), categorie all’interno delle quali sono annoverati anche cristiani ed ebrei. A meno che cristiani ed ebrei siano disposti a sottoscrivere la “shahada”, cioè la dichiarazione di fede islamica. Non si tratta di una semplice formalità ma di un autentico atto di apostasia della fede cattolica e di adesione formale alla fede islamica con tutte le conseguenze anche civili collegate. Non deve stupire quindi il fatto che sia davvero esiguo il numero di uomini cristiani che sposano donne musulmane.
Anche per il caso opposto però – donna cristiana che sposa un uomo musulmano – i problemi esistono, eccome. Innanzi tutto sul piano della fede. Il matrimonio sacramento – segno della grazia divina, sorgente di ispirazione valoriale, percorso di santificazione a due – è qualcosa di non sempre comprensibile per l’islam, anche se i concetti di rispetto, affetto e misericordia tra gli sposi si ritrovano anche nel Corano.
Un rapporto asimmetrico
Sempre considerando però che si tratta di un rapporto asimmetrico, che riconosce all’uomo tutta una serie di diritti (compresa la decisione unilaterale del ripudio e le scelte sull’educazione dei figli) negati invece alla donna. Manca nell’islam anche una riflessione antropologica sul significato della sessualità, sul senso e sugli obiettivi dell’intimità coniugale. Un vuoto determinato anche dalla persistenza – almeno sul piano formale – di una pratica tribale e offensiva per la donna come la poligamia." SEGUE >>>
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