Spine dorsali di comunità devastate: "«Il corpo femminile è il campo di battaglia del ventunesimo secolo». È la dura denuncia di Clotilde Bikafuluka, suora congolese che lavora con il medico Denis Mukwege contro la barbarie dello stupro collettivo come arma di guerra e coordina la fondazione Padre Simone Vavassori (Fps) a sostegno delle vittime. La sua testimonianza ha avviato venerdì 29 la prima giornata del seminario internazionale sul tema «La Chiesa di fronte alla condizione delle donne oggi» organizzato da «donne chiesa mondo», mensile dell’Osservatore Romano, nella Casina Pio IV in Vaticano. I lavori, che si concludono domenica 31 con la messa celebrata dal segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, sono stati incentrati nella sessione d’apertura, presieduta da Catherine Aubin, sul tema della violenza (famiglia e identità femminile gli altri argomenti trattati): i lavori hanno tracciato un quadro davvero allarmante, pur non rinunciando a letture di fede e speranza.
Nella Repubblica Democratica del Congo, oltre centomila donne sono state violate negli ultimi cinque anni a causa della guerra. Donne, ha raccontato suor Clotilde mentre le loro immagini colpivano l’uditorio come uno schiaffo, che spesso muoiono per la brutalità dell’abuso, che vengono ripudiate dai mariti, che partoriscono i figli dei loro carnefici. Donne perse, di ogni età, che trovano aiuto solo nella Chiesa e nelle associazioni caritative. Altrettanto sconvolgente l’intervento di Yudith Pereira Rico, suora spagnola di Gesù-Maria, missionaria per 17 anni in Africa Occidentale e oggi responsabile dell’ufficio internazionale di Solidarity with South Sudan, progetto nato come risposta di diverse congregazioni religiose al grido d’aiuto dei vescovi locali.
Anche in Sud Sudan, teatro dal 2013 di una guerra tribale «prossima al genocidio», si colpiscono sempre più brutalmente le donne per punire gli uomini che, a loro volta, le considerano proprietà di valore inferiore al bestiame. Ciò che più sgomenta, tuttavia, è un dato che prescinde dagli orrori del conflitto: il rischio più grande la donna lo corre nella sua stessa casa. Il 40 per cento di madri e figlie sudanesi sono infatti vittime di violenza domestica e a ciò si aggiungano i matrimoni precocissimi, le gravidanze forzate, l’elevatissimo tasso di Hiv/Aids, l’analfabetismo femminile all’80 per cento. Eppure, spiega suor Yudith, una speranza latente di cambiamento resiste. C’è la Chiesa locale che lavora instancabilmente e ci sono loro, le donne, spine dorsali di comunità devastate, capaci di supportarsi a vicenda e di rivendicare con forza la pace. Anyeth D’Awol, attivista sudanese, le definisce «eroine di una canzone che non è mai stata cantata», centrando così il punto di quello che Lucetta Scaraffia, coordinatrice di «donne chiesa mondo» e del comitato internazionale promotore del convegno, definisce «un progetto ambizioso»: le donne sono al cuore dei più gravi problemi della società contemporanea e sono loro che possono risolverli, purché si cominci finalmente ad ascoltarle. È questa la direzione seguita dal mensile femminile vaticano che come ha ricordato il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, nei saluti iniziali portati insieme al vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, ha già alle spalle tre anni di vita intensa. Il suo primo numero, uscito nel maggio 2012, fu dedicato all’espressione più alta dell’aiuto reciproco fra donne: l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta. La splendida raffigurazione di questo incontro creata allora per il giornale dall’artista Isabella Ducrot, viene oggi riproposta come immagine simbolo del convegno la cui chiusura cade proprio nel giorno della Visitazione.
Gesù fu il primo femminista della storia, ha ricordato Scaraffia, e Marie Leonel, citata da Giulia Galeotti a chiusura del suo intervento sulla storia dell’aborto, affermò già nel 1931 che non solo si può essere femministe benché cattoliche, ma femministe perché cattoliche. La questione dell’aborto, ha spiegato Galeotti, coordinatrice del servizio culturale dell’Osservatore Romano e curatrice di «donne chiesa mondo», è una questione di esclusiva pertinenza femminile sino alla Rivoluzione francese, dal momento che il sentire comune, a digiuno di nozioni scientifiche, percepisce il feto non come un’entità autonoma, ma come un’appendice della madre.
Le cose cambiano quando il microscopio prima e strumenti sempre più sofisticati poi, mostrano il feto, ma soprattutto quando la forza degli Stati inizia a dipendere dal numero di cittadini che lavorano, combattono e pagano le tasse, fino a trasformare la maternità in una forma di patriottismo." SEGUE >>>
Nella Repubblica Democratica del Congo, oltre centomila donne sono state violate negli ultimi cinque anni a causa della guerra. Donne, ha raccontato suor Clotilde mentre le loro immagini colpivano l’uditorio come uno schiaffo, che spesso muoiono per la brutalità dell’abuso, che vengono ripudiate dai mariti, che partoriscono i figli dei loro carnefici. Donne perse, di ogni età, che trovano aiuto solo nella Chiesa e nelle associazioni caritative. Altrettanto sconvolgente l’intervento di Yudith Pereira Rico, suora spagnola di Gesù-Maria, missionaria per 17 anni in Africa Occidentale e oggi responsabile dell’ufficio internazionale di Solidarity with South Sudan, progetto nato come risposta di diverse congregazioni religiose al grido d’aiuto dei vescovi locali.
Anche in Sud Sudan, teatro dal 2013 di una guerra tribale «prossima al genocidio», si colpiscono sempre più brutalmente le donne per punire gli uomini che, a loro volta, le considerano proprietà di valore inferiore al bestiame. Ciò che più sgomenta, tuttavia, è un dato che prescinde dagli orrori del conflitto: il rischio più grande la donna lo corre nella sua stessa casa. Il 40 per cento di madri e figlie sudanesi sono infatti vittime di violenza domestica e a ciò si aggiungano i matrimoni precocissimi, le gravidanze forzate, l’elevatissimo tasso di Hiv/Aids, l’analfabetismo femminile all’80 per cento. Eppure, spiega suor Yudith, una speranza latente di cambiamento resiste. C’è la Chiesa locale che lavora instancabilmente e ci sono loro, le donne, spine dorsali di comunità devastate, capaci di supportarsi a vicenda e di rivendicare con forza la pace. Anyeth D’Awol, attivista sudanese, le definisce «eroine di una canzone che non è mai stata cantata», centrando così il punto di quello che Lucetta Scaraffia, coordinatrice di «donne chiesa mondo» e del comitato internazionale promotore del convegno, definisce «un progetto ambizioso»: le donne sono al cuore dei più gravi problemi della società contemporanea e sono loro che possono risolverli, purché si cominci finalmente ad ascoltarle. È questa la direzione seguita dal mensile femminile vaticano che come ha ricordato il direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian, nei saluti iniziali portati insieme al vescovo Marcelo Sánchez Sorondo, ha già alle spalle tre anni di vita intensa. Il suo primo numero, uscito nel maggio 2012, fu dedicato all’espressione più alta dell’aiuto reciproco fra donne: l’abbraccio tra Maria ed Elisabetta. La splendida raffigurazione di questo incontro creata allora per il giornale dall’artista Isabella Ducrot, viene oggi riproposta come immagine simbolo del convegno la cui chiusura cade proprio nel giorno della Visitazione.
Gesù fu il primo femminista della storia, ha ricordato Scaraffia, e Marie Leonel, citata da Giulia Galeotti a chiusura del suo intervento sulla storia dell’aborto, affermò già nel 1931 che non solo si può essere femministe benché cattoliche, ma femministe perché cattoliche. La questione dell’aborto, ha spiegato Galeotti, coordinatrice del servizio culturale dell’Osservatore Romano e curatrice di «donne chiesa mondo», è una questione di esclusiva pertinenza femminile sino alla Rivoluzione francese, dal momento che il sentire comune, a digiuno di nozioni scientifiche, percepisce il feto non come un’entità autonoma, ma come un’appendice della madre.
Le cose cambiano quando il microscopio prima e strumenti sempre più sofisticati poi, mostrano il feto, ma soprattutto quando la forza degli Stati inizia a dipendere dal numero di cittadini che lavorano, combattono e pagano le tasse, fino a trasformare la maternità in una forma di patriottismo." SEGUE >>>
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