@ - Trump, Vance e Musk imputano alla Ue una deriva illiberale simile all'ondata del «woke»
Che cosa c’è di veramente nuovo, nell’ingerenza di Donald Trump nella politica europea? Nell’ultimo documento strategico della Casa Bianca il Vecchio continente viene definito a rischio di decadenza (economica, demografica, morale), nonché esposto a una degenerazione illiberale.
Per quanto l’esercizio sia faticoso, è utile metter da parte l’amor proprio offeso, la ripicca emotiva, e provare un’analisi di taglio storico. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, gli 80 anni dei rapporti transatlantici pullulano di interferenze, trame, macchinazioni, segrete o alla luce del sole. Durante la Guerra fredda le interferenze americane furono giustificate dal fatto che l’Unione sovietica faceva altrettanto da parte sua: finanziava partiti e sindacati di sinistra, manovrava movimenti pacifisti a senso unico (sempre contrari a un solo riarmo, quello occidentale), nutriva forze fiancheggiatrici nel mondo intellettuale. L’America, fin dall’epoca di presidenti democratici come Truman e Kennedy, repubblicani come Eisenhower, praticò le intromissioni nella politica interna degli alleati. Per l’Italia la storia ebbe inizio con gli aiuti alla Democrazia cristiana di De Gasperi: dall’uso «politico» del Piano Marshall per la ricostruzione fino ai finanziamenti occulti. Nei momenti più bui della Guerra fredda, quando si temeva un’invasione sovietica dell’Europa occidentale che la Nato forse non avrebbe saputo contrastare, ci fu la stagione delle organizzazioni clandestine di «resistenza», in cui vennero ingaggiati servizi segreti deviati, forze neofasciste, organizzazioni criminali. Il cosiddetto «fattore K» — il veto implicito di Washington contro l’ingresso dei comunisti al governo — durò fino agli anni Settanta: il timore che l’America potesse orchestrare qualcosa di analogo al golpe cileno contro Allende (1973) ispirò il «compromesso storico» di Berlinguer, l’alleanza con la Dc doveva anche rassicurare gli Usa.
Forme di ingerenza più benevole e trasparenti, ci furono vent’anni dopo quando il democratico Bill Clinton guidò la Terza Via, movimento liberal-progressista che coinvolse Tony Blair, Gerhard Schröder, Romano Prodi, Massimo D’Alema. Il rapporto fra Barack Obama e Matteo Renzi ne era l’ultima versione.
In che misura Trump può essere descritto come la versione di destra, o di estrema destra, di questi 80 anni di intromissioni? L’analisi del documento strategico copia quella che il vicepresidente JD Vance fece all’inizio dell’anno alla conferenza di Monaco. Tra i pericoli che individua in Europa ci sono l’immigrazione e la censura «woke». Per il mondo Maga (Make America Great Again) l’ostilità verso Israele e l’ondata di antisemitismo nel Vecchio continente sono la conseguenza dell’immigrazione da Paesi islamici, che condiziona la politica estera oltre a minacciare i valori della civiltà europea. La libertà di espressione è limitata da regole che dietro l’imparzialità burocratica tradiscono la stessa intolleranza «woke» delle élite progressiste in America. Ha fatto scalpore negli ambienti Maga l’arresto di un noto autore di satira in Inghilterra, per aver offeso la comunità transgender. Questa deriva illiberale nell’ottica di Trump, Vance e Musk si intreccia con la stagnazione demografica ed economica dell’Europa, la poca innovazione tecnologica, l’ipertrofia burocratica, e sfocia nella cupa previsione di un declino terminale.
Questa visione è condivisa da forze di destra o di estrema destra in Europa. Segna una rottura rispetto agli ultimi 80 anni e ha dei punti deboli evidenti. Una contraddizione interna è il confronto con l’approccio pragmatico verso Cina, Russia, Medio Oriente: in queste parti del mondo l’America trumpiana si libera da ogni residuo di «missione civilizzatrice», non pretende di esportare valori, non entra nel merito dei modelli politici. A Putin, Xi Jinping e Mohammed Bin Salman si applica la realpolitik secondo l’eredità di Henry Kissinger, agli europei invece si impongono dettagliate pagelle sulle loro scelte interne.
La seconda debolezza è tattica. Durante la Guerra fredda la sponda per gli americani erano partiti come la Dc, con largo consenso e radici profonde nella cultura nazionale. Oggi Trump e Vance giocano a favore di forze ai margini dello spettro politico come l’AfD tedesca o Farage a Londra. Washington imbarazza partiti conservatori come la Cdu di Merz, che pure è vicino all’America Maga su tanti temi: vuole ridurre l’immigrazione e annacquare l’agenda Green; avvia il riarmo tedesco; è protezionista contro la Cina; non è anti-Israele. Kissinger fu segretario di Stato di un presidente repubblicano molto anti-europeo, Nixon; però avrebbe condannato il documento di Trump come un autogol: indebolisce gli amici dell’America e rafforza i suoi nemici.
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