@ - Gli attacchi di Hamas al territorio israeliano non sono la classica escalation del conflitto israelo-palestinese. Analizzando più a fondo le dinamiche mediorientali, emerge che il vero bersaglio di Hamas non è tanto lo Stato ebraico, quanto il mondo arabo-islamico.
Veicoli della Croce Rossa trasportano gli ostaggi rilasciati da Hamas
La domanda da porsi infatti è: perché Hamas continua a lanciare attacchi contro Israele, sapendo perfettamente che la risposta militare sarà devastante? L’esercito israeliano, infatti, dispone di una superiorità schiacciante. Hamas lo sa benissimo, visto che è stata decimata in questi due anni dall’Idf. La risposta non risiede in una follia suicida, ma in una strategia comunicativa ben precisa.
Questi attacchi sono messaggi destinati non tanto a Gerusalemme, ma a Riad, al Cairo, ad Amman e alle altre capitali del mondo arabo-islamico che stanno organizzando una forza internazionale per gestire Gaza. Il messaggio è chiaro e brutale: “Se oserete venire qui con le vostre forze di pace, se proverete a sostituirci nel controllo di Gaza, troverete un Vietnam”. È insomma una minaccia esplicita a chiunque nel mondo islamico osasse prendere il controllo della Striscia senza passare attraverso gli islamo-mafiosi di Hamas.
Non è un caso che l’Arabia Saudita, la settimana scorsa, avesse pubblicamente dichiarato che non avrebbe inviato propri soldati a Gaza se la situazione non si fosse calmata. Il riferimento era alle esecuzioni pubbliche che Hamas stava conducendo ai danni di centinaia di palestinesi etichettati come “collaborazionisti”. Il regime saudita, tradizionalmente cauto nelle sue mosse internazionali, aveva colto perfettamente il senso di quella violenza interna: Hamas stava consolidando il proprio potere attraverso il terrore, eliminando qualsiasi opposizione interna e mostrando al mondo arabo chi comanda davvero a Gaza.
Per le forze islamiche di peacekeeping, si prospetta insomma una guerriglia prolungata contro un’organizzazione terrorista che conosce ogni vicolo, ogni tunnel, ogni nascondiglio della Striscia. Quale Paese avrà voglia di mandare i propri soldati a Gaza ad affrontare tali rischi? Questo ci riporta alla questione fondamentale che divide Israele dall’Europa: la natura stessa di Hamas come ostacolo insormontabile alla pace. Mentre l’opinione pubblica europea tende a vedere il conflitto attraverso la lente della tragedia umanitaria palestinese – che è innegabile e drammatica – spesso non comprende che finché Hamas manterrà il controllo di Gaza, qualsiasi prospettiva di pace è un’illusione. L’Unione europea, con la sua tradizione diplomatica basata sul dialogo e sul compromesso, fatica a confrontarsi con la realtà di un’organizzazione che ha fatto della guerra perpetua e del controllo autoritario della Striscia la propria ragion d’essere.
La vera pace a Gaza – quella che permetterebbe ai palestinesi di vivere dignitosamente la propria vita, di sviluppare un’economia funzionante, di costruire istituzioni democratiche – è incompatibile con Hamas. Questa è la scomoda verità che l’Europa si rifiuta di riconoscere, preferendo spesso concentrarsi sulla condanna delle risposte militari israeliane piuttosto che sulle cause profonde del conflitto. Finché questa dinamica non verrà compresa nella sua complessità, la prospettiva di una vera soluzione al dramma palestinese rimarrà lontana. E i primi a pagarne il prezzo continueranno ad essere i civili palestinesi di Gaza, ostaggi involontari di una strategia che li usa in una partita geopolitica che va ben oltre i confini della Striscia.
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