@ - Un altro “santo graal” del movimento islamista in Turchia, dopo quello di Santa Sofia, è stato inaugurato al culto islamico con la benedizione di Erdogan in una solenne cerimonia a cui ha preso parte, seppure virtualmente, e trasmessa dalla televisione nazionale.
chiesa di Cristo Salvatore a Chora© Fornito da Il Riformista
Un altro “santo graal” del movimento islamista in Turchia, dopo quello di Santa Sofia, è stato inaugurato al culto islamico con la benedizione di Erdogan in una solenne cerimonia a cui ha preso parte, seppure virtualmente, e trasmessa dalla televisione nazionale. Da lunedì 6 maggio la chiesa del Cristo Salvatore in Chora a Istanbul, un altro gioiello dell’arte sacra bizantina, è stato aperto ufficialmente al culto islamico.
Le immagini proibite
Le immagini proibite di Gesù e della Vergine Maria e gli splendidi mosaici sono ora coperti da pannelli appositamente costruiti così come è coperto interamente il pavimento in marmo colorato da un tappeto sul quale file di fedeli inginocchiati gridando “Allahu Akbar”, durante le preghiere inaugurali a Chora, suggellando così la conversione in moschea della splendida chiesa del Cristo Salvatore sorta nel V secolo nel quartiere Fatih di Istanbul. Conversione già precedentemente decretata il 21 agosto 2020 dal presidente della Repubblica che aveva confermato la sentenza del Consiglio di Stato del 19 novembre 2019 con la quale si annullava la decisione del 1934 che stabiliva la trasformazione in museo della Basilica bizantina di Santa Sofia e di diverse altre, convertite in moschea dopo la Conquista di Costantinopoli, e quella del 1958 che trasformò anche la chiesa del Santo Salvatore in museo.
Il governo greco e il maggior partito d’opposizione Syriza hanno definito una “provocazione” la conversione in moschea di quest’altra cattedrale bizantina, patrimonio dell’Unesco, considerata uno dei più importanti esempi di architettura bizantina sacra ancora esistenti. Conversione che avviene oltretutto in vista della storica visita in Turchia del primo ministro Kyriakos Mitsotakis di lunedì 13 maggio. Una delle “mele rosse” di islamisti politici, nazionalisti anche laici e filo-ottomani è la trasformazione di tutte le chiese bizantine di Istanbul in moschee, come se di moschee non ve ne fossero abbastanza: circa 85mila in tutta la Turchia, tra queste oltre 17mila costruite durante i 22 anni del governo Ak Parti ed Erdogan è il paladino di queste conversioni.
Le origini
Nel 1511 il gran visir Atik Ali Pascià iniziò i lavori di conversione al culto islamico aggiungendo un minareto. Le decorazioni interne furono ricoperte da uno strato di intonaco, ma per fortuna il sultano Bayezid II non ordinò la distruzione dei mosaici. Fu l’American Byzantine Institute che nel 1948 scoprì i mosaici del Cristo Salvatore in Chora, dopo aver scoperto negli anni ’30 quelli della Basilica di Santa Sofia. La politica di trasformare le chiese bizantine/museo in moschee è in atto da diversi anni in Turchia. Nei primi del 2010 anche le antiche chiese bizantine di Trabzon e Iznik furono convertite in moschee dalle autorità turche.
La mentalità “fatih”, cioè della “conquista”, glorificata dai sultani ottomani, in particolare da Mehmed II che strappò Istanbul ai cristiani nel 1453, è diventata centrale per i musulmani turchi che cercano di ricostruire un’identità in un mondo urbanizzato e high-tech. Il mito della conquista si è via via radicato tra i conservatori nazionalisti e islamisti a partire dalla dissoluzione dell’Impero ottomano, ha raggiunto il picco sotto i 22 anni di governo dell’AK Parti ed è alimentato e sfruttato politicamente da Erdogan e dal suo Partito della giustizia e dello sviluppo per accrescere il consenso, attraverso una propaganda asfissiante e anche con un flusso costante di serie televisive che ritraggono turchi musulmani che picchiano i loro “nemici cristiani” in scene intrise di sangue.
Il messaggio di fondo
Il messaggio di fondo è lo stesso dalla nascita dell’Islam: “l’Islam è superiore a tutte le altre religioni” e questa convinzione rafforza le politiche pan-islamiste, revansciste e suprematiste che non solo mettono a rischio il sacro patrimonio delle minoranze religiose turche, ma minacciano anche le loro vite rendendole potenziali bersagli di crimini d’odio, come è avvenuto con l’omicidio del giornalista armeno-turco Hrant Dink nel 2007. La conversione del tesoro architettonico di Istanbul simbolo della cristianità è un potente atto simbolico, così come lo fu quella storica di Ataturk, nel 1934, che decise di secolarizzare gli edifici religiosi bizantini trasformandoli in museo in segno di apertura verso la comunità occidentale e della volontà di tranquillizzarla circa il fatto che non sarebbero state cancellate le storiche impronte della presenza della cultura cristiana e bizantina nel paese, in segno di grande distensione per facilitare l’accettazione della nascente repubblica di Turchia da parte dei paesi occidentali.
Erdogan scalda i cuori dei suoi sostenitori con il mito della “Mela Rossa” (Kizil Elma), appellativo dato dagli Ottomani alla città di Costantinopoli nel tentativo di riscattare il risentimento conservatore/islamista che cova tra i partiti di estrema destra fin dalla morte di Ataturk, che considerano il suo processo di secolarizzazione come un tradimento storico dell’identità musulmana della nazione. E, nel tentativo di placare la crescente rabbia interna della componente più radicale dell’Islam politico che ha accusato il governo di essersi allontanato dai sentimenti islamici del suo elettorato, di aver abbracciato una politica troppo “liberale” e di non aver reciso ogni legame con lo Stato ebraico a causa del conflitto a Gaza.
Nessun commento:
Posta un commento