@ - Se mi guardo alle spalle, ho la sensazione di non avere cercato altro che corrispondere a parole misteriose, lampi di sapienza oracolare, verso la trasformazione che aveva sperimentato Dante e tanti secoli dopo, Yeats.
I Presocratici, la scienza come un dono sacro© Fornito da Avvenire
Erano di Empedocle, esule celeste che aveva incendiato Hölderlin; di Pitagora Apollo Iperboreo; di Eraclito l’oscuro; di Parmenide in viaggio con le figlie del Sole verso la Verità. I cosiddetti Presocratici, di cui Platone si fa erede con Atene per amore della sapienza, sono considerati fondatori della filosofia e della scienza occidentale: Aristotele li guarda dall’alto pensando di esserne il culmine evolutivo. Offrivano intuizioni dell’universo per simboli, traendoli da esperienze rivelative. Deragliavano da qualunque sistemazione filosofica e scientifica. L’enigmaticità sfidava ogni principio di non contraddizione, mythos si univa a logos, solo più tardi separati, e anzi opposti. Erano una costellazione immensa, fiorita tra VI e V secolo, dall’Asia minore, dalla Ionia alla Magna Grecia ad Atene, sopravvissuta a schegge e frammenti, spesso riportati in un’intricata disparità di autori successivi: su essi calò la scure di una sistemazione preconcetta. Si attendeva dalla Fondazione Valla la rimessa a fuoco di queste nostre origini, di cui erano usciti il Poema fisico e lustrale di Empedocle, a cura di Carlo Gallavotti (1975) e i Frammenti e le testimonianze di Eraclito curati da Carlo Diano poco prima della morte (1974) e completati da Giuseppe Serra (1980). È un avvenimento, dunque, l’uscita dei Presocratici, Sentieri di sapienza attraverso la Ionia e oltre da Talete a Eraclito, primo volume della loro edizione (pagine 614, euro 50,00). Laura Gemelli Marciano, della scuola di Walter Burkert a Zurigo, ha totalmente rivisto quella che pubblicò in tedesco – balzava già oltre Diels-Krantz - presso l’editore De Gruyter nel 2007, ripensando «autori e testi, formulando ulteriori argomentazioni e sviluppando tesi che, in alcuni casi, o mancano o si discostano da quelle contenute nell’edizione tedesca». In particolare Pitagora e i pitagorici ed Eraclito, perché le erano stati posti severi limiti di spazio. Si tratta di una vera editio maior. Nei due prossimi anni usciranno il secondo e il terzo dei Sentieri di sapienza: attraverso la Magna Grecia: da Parmenide a Empedocle; dalla Ionia ad Atene: da Anassagora agli atomisti. Qui troviamo Talete, Anassimandro, Anassimene, i « Milesii» e le loro ricerche su natura e cosmo, Pitagora (e i pitagorici antichi) con la scoperta dei numeri, Senofane con la polemica sulle divinità omeriche, Eraclito, il «sapiente senza maestri», che si ritira sui monti come Mosè sul Sinai, od Elia sul monte Horeb. In quest’opera ammirevole per acribia filologica, per ponderosità di lavoro onnicomprensivo, per passione investigativa, Laura Gemelli ha dovuto fare dapprima tabula rasa nel chiedersi se esiste «un punto preciso nella storia della Grecia arcaica in cui si possa fissare un’origine della filosofia»: rivedere ogni autore nel contesto storico-geografico- politico-culturale-religioso, reintessendo collegamenti e trame nelle interpretazioni critiche. Così produce continue scoperte (cito solo i processi vitali delle anime in Eraclito), e ne esce una configurazione tanto variegata, quanto illuminante dei percorsi sapienziali dove poeti orali, sophoi e guaritori arcaici non erano astratti pensatori, né meri polimatheis: fondevano saperi e pratiche diverse che non potevano prescindere dalla divinazione, dalla discesa in se stessi che era catabasi e passaggio di vita/morte: terapia e carisma da iniziazione, conoscenza da rivelazione, «secondo natura». Si squadernano i contatti orientali, con fenomeni sciamanici dal VII secolo, soprattutto attraverso i Persiani: dall’entroterra anatolico, Lidia, Frigia, Cilicia, Siria, fino a India e Scizia: fra antiche tracce di civiltà mesopotamiche e l’Avesta, in un caleidoscopio a rifrazioni infinite. Solo dalla ricchezza dei precordi (phrenes), non dall’ingegno, il sapiente vede «ognuna di tutte le cose che sono,/ in dieci e in venti vite umane», dice Empedocle. La sapienza viene dalla natura ma da un altrove che i precordi accolgono, in un contatto stellare e abissale. Non solo «nella Grecia arcaica, ma anche in molte società tradizionali moderne [...] il sapere acquisito non è effettivo, né efficace se una divinità o gli antenati o gli spiriti o altre entità equivalenti non lo rivelano in un sogno o in un viaggio presso di loro». Come Esiodo testimonia delle Muse, e come Giovanni fa dire a Gesù: «io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno giunge al padre se non attraverso di me». Le parole più misteriose di Eraclito non devono intendersi in senso metaforico, ma letterale, perché indicano un’esperienza personale intraducibile. Del poeta ancora mantis – ecco perché sono partita dal viaggio d’anima di Dante con a guida Virgilio, ma avrei dovuto aggiungere almeno Ildegarda per la coscienza profetica – è l’intraducibile traduzione-tradizione per rivelazione. È lo stile tra tenebra e diamante, «rispetto al quale quello del più incantevole Nietzsche sembra lo stile di un facitore di banalità domenicali». «L’uomo, nella notte, si accende una luce, dopo che i suoi occhi si sono spenti. E da vivo, dormendo, tocca un morto, da sveglio tocca un dormiente»; «se non si attende l’inatteso, non lo troverà, perché non lo si può ricercare e non ha vie di accesso»; «i confini dell’anima non potresti trovarli... anche se percorressi ogni via: così profondo è il suo discorso» (pensiamo a san Tommaso da Aristotele: «Anima est quodammodo omnia»); «Essere saggi è la più grande verità; e sapienza è dire e fare cose vere percependo secondo natura»; «avendo ascoltato non me, ma il logos, è cosa sapiente riconoscere che tutto è uno». La natura si nasconde. Fare emergere il discorso che è in lei, è riconoscere che tutto è uno: armonia di dissonanze tra arco e lira, giorno notte, guerra pace: i contrari si mutano come il fuoco, che combinandosi con i profumi ne prende ciascun nome, mentre il tempo di vita gioca: un fanciullo con le pedine sul tavoliere. I Presocratici non sono una “prova generale” del presente, come Gemelli scrive. Sono un dono proposto oggi. «La perdita di questa consapevolezza della scienza come dono “sacro”, nel senso più profondo e non confessionale del termine, a favore della visione della scienza come “conquista” prettamente umana ha contribuito non poco alla crescita esponenziale dell’arroganza e dell’aggressività del cosiddetto progresso e dei suoi rappresentanti con le catastrofiche conseguenze di cui oggi tutti siamo spettatori impotenti». I Presocratici, riportati a se stessi, ci reintroducono al cosmo. Come spiegare, a questo punto, che san Francesco era uno dei loro eredi?
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