mercoledì 5 luglio 2023

“Guerra in Ucraina, la sconfitta non fermerà Putin: ha costruito la sua presidenza sulla negazione”, parla il professor Zubok

@ - La marcia della Wagner di Evgenij Prigozhin resta un punto interrogativo. In tanti si chiedono cosa sarà della compagnia di contractors dopo quel misterioso sabato di caos.

Putin© Fornito da Il Riformista

Ma per molti, la vera domanda riguarda la leadership di Vladimir Putin. Per tanti, un presidente ormai definitivamente leso. Per altri, un leader che potrebbe addirittura risultare rafforzato. L’affaire Wagner può essere una cartina di tornasole per capire il futuro di Putin e della Federazione Russa? Ne abbiamo parlato con Vladislav Zubok, professore di Storia internazionale presso la London School of Economics e uno dei più noti esperti di storia russa, in particolare dell’Unione Sovietica. Nato a Mosca, nella sua carriera ha pubblicato numerosi libri e articoli che descrivono in modo dettagliato la complessa storia di un Paese prepotentemente al centro delle cronache mondiali.

Dopo la “rivolta” di Prigozhin, Putin ha evocato di nuovo il 1917 come data-simbolo di qualcosa di nefasto per la Russia. Perché è così importante per il leader russo?

«Putin ha costruito la sua presidenza sulla negazione (quasi hegeliana) della tradizione rivoluzionaria. Ha sostenuto che il 1917 significava la distruzione della Russia, di un grande Stato. Allo stesso tempo, a causa delle sue origini nel Kgb, non ha mai voluto lodare i “bianchi” e denunciare i “rossi” (le fazioni della guerra civile n.d.r.). Piuttosto voleva confonderli, metterli insieme. Quindi nel suo discorso ha continuato logicamente su questo tema, rimanendo deliberatamente vago su chi incolpare, in modo che le persone traessero conclusioni diverse o anche opposte. Il 1917 è l’antitesi per Putin. Lui offre una tesi: sé stesso come garante dell’ordine in Russia».

In un suo recente articolo, ha fatto riferimento al “periodo dei torbidi” degli inizi del 1600: perché questo accostamento tra quell’epoca e oggi?

«È un tema molto ampio, di cui ho scritto su Foreign Affairs. Per me la realtà della Russia di Putin è più vicina all’epoca della fine del governo di Ivan il Terribile: con guerre rovinose e lunghe. Ovviamente ci sono anche enormi differenze, ad esempio la società non è decimata dal terrore, Mosca è molto ricca. Eppure, vi è lo stesso problema strutturale: i boiardi temono il popolo, il popolo odia i boiardi, e lo zar (Putin) è visto come l’unico a garantire che il Paese rimanga integro».

L’era Putin può davvero considerarsi finita o in procinto di finire?
«Nessuno può dirlo, in particolare uno storico, Keith Gessen, in un articolo sul New Yorker ha detto giustamente che il potere è stabile finché… puf! Non c’è più».

Secondo lei è possibile scorgere i segni di un grande cambiamento o di un crollo della Federazione Russa per come la conosciamo? Solo nel Ventesimo secolo abbiamo assistito a due collassi: la caduta dell’impero degli zar e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Se è possibile, come possiamo immaginare una nuova Russia?

«Sono molto scettico riguardo la tesi per cui i gruppi nazionali o etnici farebbero crollare e a loro volta separare la Federazione Russa. Allo stesso tempo, è possibile un effettivo periodo dei torbidi (“Smuta” in russo), quando lo zar se ne va e i boiardi litigano tra loro, incapaci di effettuare una rapida transizione a un nuovo sovrano. La mia opinione è che, come quando l’Unione Sovietica è crollata nel 1991, in futuro potrebbe essere piuttosto una crisi dell’autorità centrale a creare uno slancio centrifugo, non la lotta dei gruppi etnici come causa di tale slancio».

A suo modo di vedere cos’è che l’Occidente non capisce della Russia?

«Molti anni fa ho citato un poeta russo a un esperto statunitense: “La Russia può essere solo oggetto di fede, non di analisi”. Mi ha preso in giro. Lui aveva ragione, sì, ma anche torto. Perché la società russa ha troppa irrazionalità e una tradizionale antipatia per i metodi europei, razionali e logici. Gli analisti occidentali analizzano sempre troppo la Russia, e sottovalutano sempre l’elemento del caos e della contingenza. Proprio come nella recente crisi con Prigozhin».

A questo punto, cosa può far cambiare idea a Putin sulla guerra?

«La prossimità della catastrofe economica, o la vicinanza della morte. Non so cos’altro. Una sconfitta sul campo di battaglia non è ciò che gli farebbe cambiare idea. È indifferente a quanti caduti hanno Russia o Ucraina. È piegato al suo progetto storico, che per lui ha connotazioni messianiche: la Russia contro l’Occidente decadente. Quasi come l’immaginaria “Santa Russia” di Ivan e dei Romanov del XVI-XVII secolo».

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