@ - Eleonora Tafuro Ambrosetti, esperta di Russia per l'Ispi, analizza le difficoltà della Russia di Vladimir Putin dopo l'inizio del conflitto in Ucraina.
“La politica sanzionatoria dell’Ue nei confronti della Russia può essere efficace se viene applicata anche da altri attori economici importanti come la Cina”. Eleonora Tafuro Ambrosetti, esperta di Russia, Caucaso e Asia Centrale dell'Ispi, è convinta che la dichiarazione del premier Mario Draghi sia volta a impedire che la Cina non tenga in vita la Russia.
La Cina come potrebbe salvare l’economia russa?
“La Cina, che non aderisce alle sanzioni occidentali, potrebbe decidere di dare una mano a Mosca offrendo, per esempio, la vendita di tecnologie che la Russia importava dall’Occidente. Ma non solo. La Cina potrebbe gettare un ancora di salvezza alla Russia se si offre di sostituirsi all’Europa come mercato del gas. L’intervento di Draghi è volto ad evitare che questo accada anche perché la Russia, fin dalle prime sanzioni del 2014, sta cercando di orientare la propria economia sempre più a Est. Questo, però, non è fattibile nel medio-breve periodo prescindere dal mercato europeo e, nel corso del periodo di assestamento, la Russia avrà dei danni economici molto pesanti. Insomma, un conto è sostituire McDonald’s con “Uncle Vanya, diverso è, ad esempio, sostituire le tecnologie sofisticate dell’industria medica”.
Esistono dei presupposti di politica interna oppure esterna che potrebbero portare alla caduta di Putin?
"Bisognerà vedere se le sanzioni porteranno a un'erosione delle elites economiche. Da un lato non c'è un'alternativa immediata, dall'altro molti oligarchi hanno il grosso della loro ricchezza che dipende dal rapporto diretto col Cremlino. In Occidente c'è il desiderio che vi sia un colpo di stato per mano delle elites russe, ma io sarei molto cauta su quelle che sono informazioni di intelligence non verificate. Secondo Andrey Kortunov, la pressione dall'esterno della Cina può far cambiare rotta alla Russia. Personalmente, però, vedo che Pechino, al momento, sta tenendo un piede in due staffe. Alla Cina, per ora, conviene tenersi un alleato pieno di risorse e che, al momento, è debole. Se, però, dovesse vedere che le sanzioni portano delle conseguenze economiche negative, potremmo aspettarci una mediazione più forte da parte sua".
La Cina, qualora assumesse un ruolo di mediatore più deciso, prenderebbe definitivamente il posto degli Usa come "guardiano del mondo"?
“Se gli Usa e l’Ue decidessero di rendere le sanzioni extraterritoriali e, quindi, di colpire anche le aziende cinesi che fanno affari con quelle russe sotto sanzioni, ci sarebbero conseguenze negative anche per la Cina. In questo caso, la leadership è degli Stati Uniti che, invece, sono proprio quelli che, obtorto collo, vogliono che la Cina abbia questo ruolo di mediazione. Ora l’obiettivo principale degli americani, infatti, è far terminare la guerra e sconfiggere Mosca dal punto di vista economico-militare”.
Le sanzioni attuali, quindi, quanto possono essere efficaci per fermare Putin?
"È difficile fare una stima, ma abbiamo già visto quali sono stati gli effetti a breve termine. C'è stata la svalutazione del rublo del 30% e uno stop ad alcuni importazioni di prodotti di alta tecnologia e di tipo medico molto importanti. Ma la Cina, ovviamente, non è nella posizione di aderire alle sanzioni occidentali perché, almeno retoricamente, sostiene la Russia e accusa l’Occidente di aver provocato questa guerra condannando l’allargamento a Est della Nato. Inoltre Pechino teme che, un giorno, queste sanzioni occidentali possano essere applicate anche contro la Cina”.
Ma Putin è un leader in declino che non tiene ancora ben saldo il suo potere?
"Putin ha avuto un ruolo importante nel risollevare il Paese dopo la crisi politico-economica degli anni '90, però, adesso sta affossando di nuovo la Russia. Secondo me, è un leader in declino leader che ha fatto il suo tempo e che sta rovinando il suo Paese, ma ha fatto talmente tanto piazza pulita delle possibili alternative attorno a lui che, ormai, è molto difficile pensare a un futuro senza di lui. È un leader in declino anche per una questione anagrafica e, al netto dello show dell'altro giorno, ha fatto una scelta che non è condivisa da tutti. Stiamo parlando di un Paese in cui non si può nemmeno chiamare la guerra col proprio nome perché si rischia il carcere e, quindi, è difficile esprimere il dissenso. Ma, secondo me, a livello di elite economiche, una lenta erosione del consenso ce la possiamo aspettare".
Qual è il suo obiettivo? Ricostituire i confini dell’Urss?
"Non credo che l'obiettivo di Putin sia quello di ricostituire l'Urss quanto quello di mantenere l'influenza russa su tutta la Regione ed evitare che un Paese importante come l'Ucraina finisca nell'orbita dell'Occidente".
Secondo lei, quante probabilità ci sono che la Russia colpisca, accidentalmente o volutamente, un Paese della Nato?
"Dal punto di vista razionale sarebbe veramente assurdo se Putin pianificasse un attacco a un Paese Nato, però, purtroppo, abbiamo visto che questi incidenti succedono. Basti pensare all'incidente dell'aereo MH17, abbattuto da gruppi separatisti armati dai russi. Gli incidenti, quindi, succedono. Dubito, invece, che vi sarà un attacco programmato".
Perché Putin ha attaccato l’Ucraina, se comunque non aveva ancora aderito formalmente né all’Ue né alla Nato?
"L'Ucraina, però, riceveva armi dalla Nato e, nell'ultimo anno, aveva anche intensificato gli sforzi per cambiare gli equilibri di potere sul campo di battaglia nel Donbass, ricevendo aiuti militari dagli Usa. Putin, poi, pensava di avere a che fare con un fantoccio arrendevole e, invece, Zelensky, nell'ultimo anno, si è adoperato per cambiare le sorti della guerra in Donbass. Questa cosa ha frustato la Russia. La decisione di invadere ha tante cause, persino quella di voler ridurre l'Ucraina a una condizione di debolezza estrema perché non si è piegata. Poi, in effetti, Kiev non ha rispettato gli accordi di Minsk anche perché il riconoscimento dello status di autonomia delle due repubbliche separatiste avrebbe minato la stabilità interna dell'Ucraina. Infine, c'è anche un elemento di competizione con gli Stati Uniti".
Perché i russi hanno sempre considerato l’Ucraina 'cosa loro'?
"Secondo una posizione molto in vogalo a Mosca, lo Stato russo è nato proprio in Ucraina, nei territori attorno alla capitale Kiev. I russi, quindi, vedono lì l'inizio della propria civilizzazione. Ma non solo. Poi bisogna considerare che i rapporti economici della Russia con l'Ucraina sono stati molto fitti anche se, dopo il 2014, sono stati sempre più difficili da mantenere. Infine, Putin non voleva che in Ucraina ci fosse un esempio di democratizzazione occidentale che poteva essere pericoloso anche per il suo stesso regime".
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