sabato 19 febbraio 2022

Biden: Putin ha deciso di invadere l’Ucraina. Evacuazione di massa nel Donbass e gasdotto in fiamme

@ - I leader separatisti accusano il presidente ucraino di essere pronto a lanciare un attacco e mandano in Russia donne e bambini. Un’autobomba esplode a Donetsk. Putin richiama i riservisti. Kiev: non risponderemo alle provocazioni

I punti chiave
La crisi ucraina sta arrivando al punto di non ritorno. «Vladimir Putin ha preso la sua decisione», ha detto la sera di venerdì 18 febbraio Joe Biden in un breve intervento seguito a un confronto con i leader alleati della Nato. Quando una giornalista ha chiesto al presidente americano se è convinto che il presidente russo abbia deciso di invadere l’Ucraina, Biden ha subito risposto: «».

Se fino a due giorni fa era ancora possibile credere che l’intenzione dei russi mobilitati ai confini ucraini fosse alzare continuamente la pressione sull’Occidente per indurlo ad accettare le richieste di Mosca - a partire dall’esclusione dell’Ucraina dalla Nato - l’evacuazione di massa ordinata dai dirigenti di Donetsk e Luhansk, l’accusa a Kiev di essere pronta a lanciare un’offensiva e - forse le prime di una serie di “provocazioni” fabbricate - l’esplosione di un’autobomba a Donetsk, più tardi due esplosioni segnalate presso il braccio del gasdotto “Druzhba” che passa per Luhansk - tradiscono l’intenzione di passare ai fatti. A riprova di questo, venerdì sera la notizia che Vladimir Putin ha firmato l’ordine di richiamo per il 2022 per i cittadini russi della riserva: forze armate, guardia nazionale, servizi di sicurezza. Mentre il 40-50% degli uomini schierati al confine ucraino, secondo il Pentagono, sono in posizione di attacco.

«È difficile leggere le sue intenzioni - ha spiegato Biden ai giornalisti -. Putin è convinto, a torto, di poter cambiare le dinamiche in Europa». Insieme ai leader europei Biden manterrà aperte le porte della diplomazia, con i prossimi contatti telefonici con Putin e la conferma dell’incontro tra il segretario di Stato Antony Blinken e Sergej Lavrov, il ministro degli Esteri russo, per il 23 febbraio. Se, a quel punto, non sarà troppo tardi. Parlando delle intenzioni di Putin sull’Ucraina, Biden ha incluso un attacco anche su Kiev.

Sabato mattina, il numero delle persone arrivate a Rostov dalle due regioni separatiste era più di 30.000: non gli uomini tra i 18 e i 55 anni, coinvolti nella mobilitazione generale. Le autorità della regione russa, adiacente al confine ucraino, hanno proclamato l’emergenza per assistere i profughi.

 





Nel pomeriggio di venerdì, a Donetsk, i primi a partire erano stati i bambini, e i primi tra i bambini gli orfani che le televisioni russe riprendono radunati in cortile davanti all’asilo. «Andiamo a fare un’escursione!», li incoraggia una maestra.

Una collega scuote la testa quando le chiedono dove li portano. «Non lo so ancora, ci hanno solo detto di salire sugli autobus, andremo dove ci dicono i nostri governanti». Un bimbo prova a sorridere e dice «Certo!» quando gli chiedono se è “klassno”, se è forte andare in Russia. A ogni rifugiato in arrivo, Vladimir Putin ordina di pagare 10.000 rubli (neanche 115 euro).

L’operazione russa in Donbass - più ambigua e strisciante di un’invasione - è iniziata così: un improvviso, surreale annuncio sui social media di Denis Pushilin e Leonid Pasechnik, i leader delle due autoproclamate “repubbliche popolari” di Donetsk e Luhansk. Due video che i metadati hanno rivelato essere stati registrati due giorni prima: confermando il sospetto che l’operazione sia stata preparata in anticipo, in parallelo con le dichiarazioni di Putin secondo cui gli ucraini starebbero attuando «un genocidio» nella regione.
«Abbiamo organizzato l’evacuazione di massa della popolazione verso la Federazione Russa», ha dichiarato venerdì Pushilin accusando il presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyj, di essere sul punto di ordinare l’assalto alle regioni separatiste. «Per evitare vittime tra i civili, invito a partire il prima possibile», ha detto poco dopo da Luhansk Pasechnik. Poi hanno cominciato a suonare le sirene.

«Cosa combinano a Donetsk?»

Sulle prime, la novità è sembrata cogliere di sorpresa i russi: «Non so cosa stia combinando Pushilin», ha detto Dmitrij Peskov, portavoce di Putin. Mentre il governatore della regione di Rostov, oltrefrontiera, è parso impreparato prima che lo stesso presidente russo desse al ministro per le Emergenze l’ordine di precipitarsi a Rostov-sul-Don a organizzare l’accoglienza dei rifugiati.

La prima reazione da parte ucraina è stato un tweet di Dmytro Kuleba, ministro degli Esteri: «Respingiamo categoricamente la disinformazione russa su presunte operazioni offensive o atti di sabotaggio ucraini: l’Ucraina non conduce né ha in programma interventi simili nel Donbass».

Sul punto di non ritorno
Ma il grande rischio è un avversario determinato a trascinare Kiev nello scontro a tutti i costi. Il grande rischio è un’operazione imprevedibile che punta a far perdere il controllo della situazione all’Ucraina. Poche ore dopo l’annuncio dell’evacuazione, nella grande piazza centrale di Donetsk, vicino alla sede dell’amministrazione separatista, è stata fatta esplodere un’autobomba. Le autorità locali hanno diffuso le immagini delle fiamme e dei resti, ma non hanno parlato di vittime. Secondo i servizi di intelligence ucraini, i russi avrebbero minato diverse infrastrutture a Donetsk. Eppure, il capo dei servizi Oleksiy Danilov ripete: Kiev continuerà a cercare metodi pacifici per risolvere la crisi.

Dal Cremlino, dove ha ricevuto il presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, Putin ha ripetuto che «tutto quello che deve fare Kiev è sedersi al tavolo del negoziato con i rappresentanti del Donbass e definire misure politiche, economiche, militari e umanitarie per chiudere il conflitto». Ma con gli Stati Uniti che ricordano che - contrariamente agli annunci di ritiro - le forze mobilitate da Mosca alle frontiere con l’Ucraina sarebbe ormai arrivato a 190.000 uomini, il presidente russo si mostra già sicuro che il rapporto con l’Occidente si sta irrimediabilmente deteriorando: «Tanto troveranno il modo di imporre le sanzioni in ogni caso», ha detto.

«Oggi - commenta la politologa russa Tatjana Stanovaja - è diventato evidente che stiamo entrando nella fase “calda” della risposta russa all’escalation nel Donbass. Con Mosca convinta di poter muovere le cose in modo da far apparire legittima la risposta. Dovremo aspettarci altre esplosioni, che faranno passare per provocazioni ucraine. Un’escalation fabbricata a cui non potrà che seguire un attacco “in risposta”, al termine delle Olimpiadi. Mi auguro di sbagliarmi».

Giochi di guerra nucleare
Questo è il clima in cui sabato 19 febbraio Putin assisterà personalmente a esercitazioni militari che, rispetto a quelle dei giorni scorsi, salgono a un livello ancora più inquietante, entrando nella sfera delle armi nucleari con le prove di lancio di missili balistici e da crociera intercontinentali. Un altro segnale lanciato agli Stati Uniti e alla Nato, per ricordare la posta in gioco in caso di scontro.

È l’ennesimo azzardo con cui il Cremlino, insoddisfatto dalle risposte ricevute in questi mesi di confronto diplomatico, si vuole mostrare pronto a tutto pur di difendere i propri interessi. Ma se fino a pochi giorni fa l’intenzione era sembrata voler alzare la pressione sull’Occidente per indurlo ad accettare le richieste russe - a partire dall’esclusione dell’Ucraina dalla Nato - ormai la situazione sembra arrivata a un punto di non ritorno.

Il 22 febbraio sono state convocate a Mosca le Camere riunite, Duma e Consiglio della Federazione. Un precedente, 30 settembre 2015. Quando Putin chiamò i senatori a Mosca per avere il via libera all’invio di un contingente in Siria.

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