lunedì 19 aprile 2021

"Quello non è comunismo..."Il dubbio sulle parole del Papa

@ - Il Papa si discosta dal comunismo, ma le sue frasi sulla proprietà fanno discutere. Il coerente disegno di Bergoglio che prevede la fine delle ingiustizie sociali.


Dicono che in certi ambienti del Vaticano si utilizzi "Che Guepapa" come scherzoso soprannome per il pontefice, ma è un accostamento politologico poco oculato. Lo stesso Francesco ha rifiutato l'abbinamento con il comunismo. La condivisione dei beni e delle proprietà, per il Santo Padre, "non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro". Il vescovo di Roma lo ha ripetuto pochi giorni fa. Siamo più o meno al medesimo punto in cui ci trovavamo nel dicembre del 2020, quando Jorge Mario Bergoglio aveva puntato forte sulla non intoccabilità della proprietà privata. Pure in quella circostanza, si era levato un coro di voci sconcertate.

In occasione della messa dell'11 aprile scorso, nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, a Roma, che Francesco ha celebrato per la Festa della Misericordia, il vertice universale della Chiesa cattolica ha presentato l'esempio degli apostoli, come riportato pure dall'Agi: "Nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era in comune". Sulla funzione sociale della proprietà secondo la dottrina cristiano-cattolica si è detto molto. Un articolo di Andrea Muratore per InsideOver ha chiarito il perché sia inutile scandalizzarsi: la Chiesa ha sempre contrastato l'economicizzazione della società e le distorsioni derivanti dalla globalizzazione, che produce disuguaglianze sociali. In termini gerarchici, l'economia per la fede cattolica e per le sue istituzioni non dovrebbe guidare i processi del mondo, in specie l'economia che punta al profitto fine a se stesso. Il Papa regnante ha fatto un passo in più.

Quando Bergoglio ha inviato un messaggio ai giudici delle nazioni americane ed africane, infatti, nel novembre scorso, ha definito la proprietà un "diritto naturale secondario": "Il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario e derivato dal principio della destinazione universale dei beni creati, e ciò ha conseguenze molto concrete, che devono riflettersi sul funzionamento della società"" ha scritto Francesco all'epoca. La rivoluzione di Bergoglio, se c'è, è in questo assunto. Perché l'assolutezza del diritto alla proprietà viene derogata alla mancanza di condizioni in grado di creare ingiustizia sociale.

Un concetto che il Papa ha trasalto anche con il paradigma della misericordia, durante la funzione in cui ha ribadito la sua visione delle cose sulla proprietà: "Siamo stati misericordiati, diventiamo misericordiosi. Perché se l'amore finisce con noi stessi, la fede si prosciuga in un intimismo sterile. Senza gli altri diventa disincarnata. Senza le opere di misericordia muore". Il cuore della visione economica di Francesco è l'economia del dono. "Diritto naturale secondario" è una formula che però può far storcere il naso agli intransigenti. Perché la proprietà, per i suoi strenui difensori, è e resterà sempre un diritto tanto primario quanto assoluto. E le critiche dirette al pontefice in queste ore - quelle provenienti dagli ambienti che per semplificazione o prassi vengono chiamati "tradizionalisti" o "conservatori" - non possono che derivare da questo distinguo, che non è di poco conto giuridico.

Il disegno del pontefice argentino è coerente. Il "Bergoglio pensiero" è centrato sulla tutela degli ultimi, in primis. Nella prospettiva che il Papa ha in mente per il mondo che verrà, l'ingiustizia sociale va cancellata. Il comunismo è una categoria ideologica desueta, e il Santo Padre, più che altro, sembra aver imboccato la strada che comporta un'interpretazione letterale del dettame evangelico. La "teologia del popolo" di Bergoglio, che è anzitutto "teologia dell'accoglienza", può avere origini peroniste o no, ma di certo non affascina i pensatori e gli ambienti abituati a percepire l'Occidente come baricentro del cristianesimo e della civiltà.

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