sabato 13 giugno 2020

Bose: non riesco a capire…

@ - Faccio parte di quella che lo storico del cristianesimo Massimo Faggioli ha opportunamente denominato “generazione Bose”.
Ho conosciuto la comunità biellese alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, nel momento in cui, dopo l’adolescenza, devi decidere sul che fare della tua vita e sei anche indotto dalla circostanze sociali e dagli eventi storici a rimotivare la tua fede cristiana.


La comunità fondata da Enzo Bianchi mi è, dunque, familiare da oltre mezzo secolo. Ai miei occhi, è stata e rimane un punto di riferimento fondamentale per il cammino di fede mio e della mia famiglia, un esempio prezioso di concreto servizio reso alla cristianità per la ricerca dell’unità voluta dal Signore Gesù, un’esperienza di Chiesa che avverte l’esigenza di riformarsi continuamente per essere sempre più fedele all’Evangelo, un modo rispettoso di rapportarsi con uomini e donne di orientamenti culturali diversi ma accomunati dall’impegno ad abitare il mondo nella giustizia e nella solidarietà.

Perché – come ci ricorda papa Francesco nell’Evangelii gaudium – una fede autentica non è mai comoda e individualista, ed implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra.

Quello che Bose mi ha insegnato è un cristianesimo umile e profetico, libero e coraggioso, mai fazioso o integralista, mai dogmatico o manicheo, partecipe – come si legge nell’incipit della Gaudium et spes – delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce degli uomini e delle donne di oggi, in particolare dei poveri e delle persone violate nella loro dignità.

«Poveri cristiani che tentano di vivere il Vangelo»: così amano definirsi i monaci e le monache di Bose, e così amiamo definirci anche noi che alla loro comunità ci sentiamo uniti dall’amicizia, dalla stima e dal desiderio di
camminare insieme alla sequela di Gesù.

Della fede cristiana testimoniata al monastero di Bose ho sempre apprezzato la centralità della sacra Scrittura e l’arte dell’ascolto della Parola di Dio in essa attestata, l’essenzialità della vocazione battesimale, la capacità di intercettare le sfide che la società secolarizzata pone ai cristiani, l’essere una comunità fatta di uomini e donne appartenenti a confessioni cristiane diverse, la dimensione non clericale del vivere insieme, la bellezza della liturgia che si manifesta anche nell’utilizzo di un linguaggio rispettoso di un’assemblea fatta di uomini e donne, di fratelli e sorelle.

Prima cappella di Bose

Concordo con quanto detto in questi giorni dal teologo Riccardo Larini che ha fatto parte della comunità di Bose per undici anni: «Bose è un esempio straordinario di come lo studio, la conoscenza, la profondità e l’ardire del pensiero siano compatibili con la fede cristiana, e anzi la rafforzino».

Ciò che è successo a Bose nelle ultime settimane mi inquieta e mi sconcerta.
Leggo e rileggo i due “comunicati” del maggio 2020 inseriti nel sito web della comunità. Rileggo la “lettera agli amici dell’Avvento 2014” (accoglimento gioioso della Charta visitationis redatta e firmata dai visitatori canonici esterni alla comunità), la “lettera agli amici” dell’Avvento 2018 («siamo una piccola comunità… che non è esente dalle fatiche e dalle sofferenze che oggi la Chiesa vive nel mondo e che gli uomini e le donne conoscono nel duro mestiere di vivere»), nonché la lettera in data 11 novembre 2018 inviata da papa Francesco ad Enzo Bianchi in occasione del 50° anniversario della comunità monastica di Bose («la vostra Comunità si è distinta nell’impegno per preparare la via dell’unità delle Chiese cristiane, diventando luogo di preghiera, di incontro e di dialogo tra cristiani, in vista della comunione di fede e di amore per la quale Gesù ha pregato»).

E continuo a non capire perché sia stato necessario giungere alla drastica decisione di allontanare temporaneamente da Bose Enzo Bianchi, Lino Breda, Goffredo Boselli e Antonella Casiraghi, “colonne portanti” di un’esperienza di vita cristiana profeticamente significativa non solo per la Chiesa italiana.

Non riesco a credere che all’origine di un passo così grave ci siano solo questioni concernenti «l’esercizio dell’autorità del Fondatore», «la gestione del governo» ovvero ancora «il clima fraterno».

Ho la sensazione che ci siano altre ragioni al momento non chiarite. Penso allora che sia necessario disperdere la nebbia del non detto che offusca oggi la comunità. Poter guardare in faccia i problemi è sempre meglio che lasciar circolare ipotesi più o meno fantasiose che si leggono in questo periodo sia sui social che sui giornali.

Questo non per curiosità fine a se stessa, ma perché, avendo condiviso assieme a tante altre persone, pur dall’esterno, un’esperienza di Chiesa così straordinaria e unica, avverto fortemente il bisogno di capire dove ci troviamo, quali sono gli ostacoli, quali i rischi, quali le prospettive.

Mi sembra perciò che sia motivata la richiesta accorata di poter ascoltare, appena i fratelli e le sorelle del monastero di Bose lo riterranno opportuno, parole di chiarezza e di pace.
La franchezza è in questo caso una condizione necessaria per poter continuare con rinnovata amicizia e immutata stima il cammino comune.

5 COMMENTI
  • Alfredo 13 GIUGNO 2020 - Sono molto dispiaciuto anche io per quanto accaduto a Bose. Temo che difficilmente si saprà qualcosa in più di quanto trapelato sino ad ora. Condivido quanto detto a caldo da mons. Bettazzi e cioè che gli “emeriti” dovrebbero sempre allontanarsi a prescindere dalla sofferenza di un gesto così.
  • mauro la spisa 13 GIUGNO 2020 - La semina del Regno non avviene solo in campi fertili e predisposti e nessuno sa dove soffia il vento dello Spirito…
  • Marco Capello 13 GIUGNO 2020 - Anch’io conosco Bose fin dagli inizi; mi ricordo molto bene la piccola cappella fredda ricavata dalla stalla. Questa decisione è stata un fulmine a ciel sereno. Condivido in toto quanto scritto. Cè’ bisogno di maggior chisrezza. Comunque vada Enzo Bianchi per me rimane un grande (pur nella sua dimensione umana): è riuscito a spazzar via quell’alone di devozionismo, ritornare a scoprire la centralità della Parola e il suo studio per capirne il senso e dare così un fondamento più solido alla fede. La lettura de “Il corvo di Elia” mi ha fatto scoprire un Dio nascosto, impotente, servo, ben lontano dal Dio del catechismo.
  • Annamaria di giovine 12 GIUGNO 2020 - Grazie condivido il tuo non capire …mi inquieta .conosco Bose ho vissuto la loro carezza soprattutto di Enzo e lino e Maria in momenti difficili . Ho vissuto la loro umiltà il loro essermi vicino . Mi sento impotente ma ho una certezza dentro di me la comunità di Enzo mi ha ridato la forza… il concetto dell’altro..la fede che a volte. Ha brancolato …la pietà …la compassione …il rispetto …la fatica della fede …grazie per questo scritto …anche io non capisco
  • Francesco 13 GIUGNO 2020 - Non si capisce questo intervento del Vaticano con uno stile autoritario che non conoiscevamo in papa Francesco.

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