giovedì 9 aprile 2020

I due corpi di Boris Johnson

@ - Nel cuore della più grave crisi sanitaria da un secolo a questa parte, il Primo ministro del Regno Unito Boris Johnson è ricoverato in terapia intensiva, e le sue deleghe sono state assunte ad interim dal ministro degli esteri Dominic Raab. L’apprensione per le condizioni della massima autorità esecutiva del paese non genera però timori sulla tenuta delle istituzioni - sebbene al Regno manchi una costituzione, e quindi una procedura codificata per la sostituzione e la successione del Primo ministro - e questo dovrebbe bastare a rallegrarci, e riportarci alla mente il vecchio adagio locale sul fatto che la democrazia è il peggior sistema possibile, ad eccezione di tutti gli altri che si siano sperimentati.

                                   Il Primo ministro inglese è in rianimazione per il coronavirus: come cambia il nostro rapporto col "corpo del re" ai tempi del COVID-19.

Dalle origini della civiltà a pochi decenni fa, la salute fisica del sovrano è stata il principale fattore di stabilità e di trasformazione politica: più importante delle idee, e perfino della religione e del denaro. Il raffreddore del re - quasi letteralmente, dal momento che per secoli gli uomini più potenti della terra sono morti di malattie per cui oggi non prendiamo nemmeno un giorno di pausa dal lavoro - poteva mettere fine a un lungo periodo di pace e prosperità e precipitare popoli in sanguinose guerre di successione, o viceversa liberarli improvvisamente da una tirannide.

A sollevare la Giudea dal giogo del sanguinario e paranoico Erode non fu una guerra né una rivolta, ma una rara e terribile forma di gangrena genitale. Federico Barbarossa annegò durante la Terza Crociata in un fiumiciattolo che gli arrivava alla vita, probabilmente per colpa di una congestione: molti crociati tedeschi si ritirarono demoralizzati, e la riconquista di Gerusalemme fallì.

Perfino quindi la regola di fair play secondo la quale non ci si augura mai la morte di nessuno, nemmeno del peggiore degli avversari, è a ben vedere un cascame del privilegio di vivere in un’epoca civilizzata come la nostra: fino al secolo scorso dappertutto (e ancora oggi in molti paesi del mondo, nonché in Game of Thrones) per le minoranze politiche non esistevano - per così dire - grandi alternative. 

Lo storico Ernst Hartwig Kantorowicz nel 1957 ha ricostruito in un saggio di importanza seminale, I due corpi del re, come già i teologi medievali abbiano tentato di emancipare la sovranità dai malanni inventando la distinzione tra il corpo fisico del re, che invecchia, si ammala e infine muore, e quello politico che è invece eterno e si perpetua attraverso la successione dinastica.

Una trovata niente affatto accademica, nel nome della quale nel 1649 Oliver Cromwell potè giustiziare Re Carlo I nel nome di Re Carlo I - ovvero letteralmente uccidere la persona fisica del re nel nome della sua persona politica - a assoggettare per la prima volta nella storia dell’umanità il sovrano a un parlamento. 

La storia delle istituzioni moderne, che nascono dal razionalismo (di nuovo) inglese è se vogliamo la storia del superamento della mistica del corpo del re e della regalità. Con la fine della seconda guerra mondiale e l’affermazione della democrazia liberale come modello egemone in occidente il problema della salute fisica del sovrano è passato in secondo piano, fino ad essere rimosso con gli esiti gerontocratici a cui assistiamo proprio in questi mesi: nella democrazia più importante del mondo, dove l’aspettativa di vita è di 78 anni, un presidente repubblicano di 73 anni è insidiato da due rivali democratici di 77 e 78 anni. Siamo così disabituati a considerare la malattia e la morte come fatti politici che i problemi che deriverebbero dal far sedere nello studio ovale (con una prospettiva di 8 anni) un individuo statisticamente defunto non sono materia di serio dibattito. 

O meglio non lo erano, fino all’epidemia di Covid-19: la fragilità dei corpi dei nostri leader e la loro mortalità sono tornate a occupare le pagine dei giornali: le voci sulle positività di Trump e Bolsonaro, subito smentite con stizza, la conferma della positività di Nicola Zingaretti in Italia e quella di Carlo d’Inghilterra, ma anche della First Lady canadese Sophie Trudeau e di diversi ministri dei governi di tutto il mondo. 

Boris Johnson è però il primo tra i veri leader del mondo non solo a risultare positivo al virus, ma anche ad essere ricoverato in ospedale per le temute complicazioni polmonari dell’infezione. Nessuno staff al mondo sarebbe in grado di comunicare con efficacia uno sviluppo di questo genere, e infatti nelle ore precedenti alla conferma del ricovero le condizioni del Primo Ministro sono state oggetto di un balletto di indiscrezioni e smentite che qualcuno, con macabra ironia, ha accostato a quelle sul “raffreddore” di Jurij Andropov, il Segretario del partito comunista sovietico che scomparve dalla vita pubblica per mesi e senza giustificazioni credibili, finché l’11 febbraio 1984 ne fu annunciata la morte.

Secondo il ministro Michael Gove le condizioni di Johnson sarebbero fortunatamente meno gravi di quanto si temesse in un primo momento: il ricovero sarebbe avvenuto in via precauzionale e al paziente sarebbe stato somministrato ossigeno con una mascherina, senza intubarlo.

Per via delle famigerate dichiarazioni di Johnson sull’immunità di gregge, molti non resistono alla tentazione di ricercare nel peggioramento delle sue condizioni una parabola morale: se l’è cercata, se l’è meritata, gli sta bene (sebbene le parole di Johnson, lette per esteso, fossero molto meno ciniche e irragionevoli di quanto la headline “preparatevi a perdere i vostri cari” suggerisse). 

E se invece, a patto che ne sopravviva, la malattia finisse per rafforzare la narrazione del più raffinato e consapevole (probabilmente insieme ad Orban, collega "impresentabile" con cui Johnson è accusato di intrattenere rapporti fin troppo calorosi) tra i leader di quello che chiamiamo con approssimazione sovranismo? Che cos’è infatti il sovranismo se non un tentativo di ricostruzione di una mistica intorno al popolo (spesso descritto con la metafora organicista del “corpo”, soggetto ad esempio all’“infezione” di corpi estranei come gli immigrati. Nel 2018 Orban ha fatto scalpore descrivendo il progetto di una “democrazia illiberale” dove la nazione “non è una somma di individui ma una comunità che ha bisogno di essere organizzata”. Insomma, un corpo) e quindi intorno al leader-sovrano?

Non siamo ancora, fortunatamente, di fronte a un ritorno della sessualizzazione mussoliniana del corpo del dittatore, ma ad una sua versione più blanda e mediaticamente inzuccherata. Questo è stato evidente nel periodo d’oro delle foto in spiaggia e dei selfie postcoitali di Salvini, più sfumato ma presente nell’autorappresentazione di Johnson. Lo spot di maggior successo per le ultime vincenti elezioni metteva il primo ministro al centro di una parodia di una famosa scena di Love Actually. Certamente una trovata brillante e a tema natalizio (si votava il 12 dicembre), ma a molti la scelta di una commedia romantica non è parsa casuale, e secondo The Conversation lo spot conteneva un’implicita ma deliberata allusione alle voci di una relazione adulterina tra Johnson e l’imprenditrice Jennifer Arcuri, e quindi alla sua tracimante virilità, alla sua corporeità. 

La sofferenza, la malattia e la guarigione sono sempre state centrali nella costruzione della mistica del corpo del sovrano. La resurrezione del corpo è naturalmente al centro del cristianesimo - da cui derivano la costruzioni medievali della regalità, sempre secondo Kantorowicz - ma come Johnson sa benissimo (educato ad Oxford, prima di dedicarsi a tempo pieno alla politica era un antichista, e ha scritto un saggio raffinato su Roma) il passaggio di questa simbologia della guarigione al potere secolare avviene già con l’imperatore Costantino, che secondo la leggenda guarì dalla lebbra col battesimo.

In questo momento insomma il corpo ospedalizzato di Boris Johnson è il corpo della nazione che soffre, la sua sofferenza è la sofferenza del popolo e la sua guarigione potrebbe finire per rappresentare la rinascita del Regno dopo la crisi.

Finora a ciascuno dei leader sovranisti in ascesa è mancata un’investitura archetipica, un passaggio simbolico che completasse l’identificazione tra leader e popolo e che quindi certificasse il passaggio alla democrazia illiberale teorizzata da Orban. Nel caleidoscopio di scenari aperti dalla pandemia, c’è anche questo. 

Resta da capire se Johnson, populista di estrazione liberale che fin qui sembra aver più che altro cavalcato il sovranismo per ottenere un movimentato passaggio fino a Downing Street, avrebbe nel caso l'intenzione di percorrere questo sentiero oscuro. 

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