giovedì 13 febbraio 2020

Un cuore valdostano palpita in Tanzania

@ - Intervista di Isabella Rosa Pivot ad Andrea Pompele, Walking Safari Guide e non solo.

Andrea Pompele, classe 1982, è nato e cresciuto in Valle d’Aosta. Mamma di Morgex e padre di Aosta, ha vissuto a Sarre per tutti gli anni del liceo. Dopo la maturità si è trasferito a Parma per studiare Biologia Evolutiva e Funzionale con indirizzo in Etologia e lì è rimasto fino al compimento dei suoi trent’anni.
A un certo punto, stufo di fare un lavoro che non considerava adatto e soddisfacente, ha rivoluzionato completamente la sua vita.

Ora è General manager di un Campo Tendato/lodge di lusso a 5 stelle in Tanzania, Head Guide della sua compagnia - gestisce le guide che lavorano per i sei campi nei diversi Parchi Nazionali e Riserve protette-, nonché Walking Safari Guide – ossia conduce i walking safaris-, oltre ad essere il Guide Trainer della compagnia: si occupa anche della formazione delle guide per fare in modo che migliorino costantemente la loro professionalità e conoscenza dei processi naturali che regolano la savana.

Ho deciso di intervistarlo per farmi raccontare le motivazioni di un cambiamento così radicale e rivoluzionario, della sua vita nel Serengeti, di come gestisce la nostalgia di casa e per dare un poco di ispirazione a chi, come lui, desidera una vita all’insegna della natura e dell’avventura.

Qual è stato il momento di svolta che ti ha portato a prendere la decisione di trasferirti in Africa?
Ho avuto problemi personali e di salute, che mi hanno indotto a riconsiderare le scelte di vita fatte fino a quel momento e a perseguire gli obiettivi che avevo prefissato anni prima.

Perché proprio nel Serengeti, a gestire un campo per safari fotografici?
In Serengeti ci sono arrivato dopo tre anni passati in Ruaha, un Parco Nazionale nel sud della Tanzania, poco conosciuto seppur molto affascinante: è un luogo selvaggio e largamente inesplorato. Sono giunto in Tanzania dopo aver lavorato come guida di safari (fotografici) professionista in Namibia… Ho sentito il “richiamo dell’avventura” – se così si può dire- e ho deciso di spostarmi in East Africa, perché meno sviluppata economicamente, ma decisamente più autentica e selvaggia, con ampi spazi dedicati alla conservazione. Era il mio sogno d’infanzia essere un “esploratore” e ho sempre amato intensamente la natura incontaminata.
Questo lavoro mi permette di vivere nel parco nazionale probabilmente più importante e spettacolare d’Africa e, nel contempo, di condividere la mia conoscenza dell’ecosistema con gli ospiti del campo, promuovendo un turismo sostenibile orientato alla conservazione della natura.

Qual è la tua giornata tipo?
Mi sveglio molto presto: 5:30 – 6:00 circa. Se ho in previsione un walking safari, preparo l’attrezzatura e, dopo un paio di caffè (quelli non me li faccio mai mancare), faccio un briefing ai clienti: il walk può infatti durare dalle 4 ore, alla giornata intera (incluso il pranzo). È un’esperienza intensa: si è completamente esposti alla natura, alle sue bellezze e ai suoi pericoli. Si può imparare moltissimo sull’ecosistema della flora,

della fauna e sulle interazioni che hanno fra loro, attraverso le tracce degli animali e paesaggi dove nessun veicolo è presente. Ci si prendono un paio di pause per riposarsi (con caffè o tè e qualche snack), ma di solito il passo è lento e silenzioso, per una questione soprattutto di sicurezza: si possono avvicinare animali potenzialmente pericolosi, come leoni, bufali, elefanti, ippopotami e molti altri.

Se non faccio walking safari mi occupo della gestione del campo e di alcuni compiti di manutenzione e organizzo le guide e i loro programmi futuri. Tre volte l’anno mi dedico invece al guide training.

La sera faccio hosting e mi assicuro che i clienti abbiano avuto una esperienza positiva sia in game drive che nel campo; si fa un aperitivo intorno al fuoco, sotto le stelle e scambio qualche parola con i clienti. Ogni tanto, quando posso, prendo un Land Cruiser e mi faccio un game drive in solitaria, per staccare un po’. Vado a letto presto, alle 10:00 sono già cotto.

Come è la vita lì? Quali sono i vantaggi e quali gli aspetti più difficili?
La vita è diversa, indubbiamente. I vantaggi per me sono che posso vivere e lavorare seguendo le mie aspirazioni e qualità, vivendo in un posto bellissimo e pieno di sorprese. Gli aspetti più complicati sono legati all’isolamento dalla civilizzazione, che per me non costituisce un grosso problema, ma rende difficile la logistica ed i trasporti di beni di prima necessità. La città più vicina è a sei ore di strada e quando mi sposto devo volare su aerei (piccoli) Cessna.

Ti manca la Valle d'Aosta? Se sì, cosa in particolar modo?
Sì certo, mi manca tanto. Ci sono nato e cresciuto: è dentro di me e sempre lo sarà. Le montagne mi mancano, ho sempre goduto della loro vista e fin da bambino ho sempre sentito il desiderio di raggiungerne la cima, per vedere cosa celavano dall’altra parte. Scoprire valli nuove, laghi e picchi è una cura per la mente e un buon modo di tenersi in forma: mi piacciono tanto le attività all’aperto. Non che ora ne sia privato, nella natura incontaminata della savana, ma è diverso: la montagna rimane una sfera emotiva di ricordi d’infanzia e adolescenza turbolenta… Non sarei in grado di spiegarlo, è semplicemente dentro di me.

Torni spesso qui o quasi mai? Se sì, in quali occasioni?
Cerco di tornare in Valle almeno due volte l’anno, per venire a trovare i miei. Non ho occasioni speciali, vengo quando posso. Lavorando nel turismo vado in ferie quando gli altri non vanno e lavoro quando gli altri si divertono… Perciò varia molto dal periodo.

Dovessi confrontare i due stili di vita, quello della Valle d’Aosta e quello della Tanzania, cosa metteresti in primo piano?
Le differenze sono enormi, ma la differenza principale è la “pazienza”. Io sono sempre stato irrequieto, ma l’Africa ti insegna, con la forza, la pazienza.

Se non hai pazienza non ottieni nulla. Le cose arrivano e funzionano, ma con tempi molto più dilatati: bisogna saper aspettare se si vogliono perseguire i propri obiettivi.

Cosa ti ha insegnato questa grossa decisione che hai preso?


I confini non esistono: c’è sempre un modo per superarli. Si può decidere di vivere in un altro continente, in paesi in via di sviluppo dove la vita è completamente diversa, ma ciò richiede una certa dose di adattamento. Per me la vita è avventura: più la vivo, più vorrei esplorare e conoscere posti incontaminati e lontani. Mi importa poco che siano scomodi, complicati, difficili. L’essenziale per me è vivere l’avventura pienamente e non perdere tempo, perché vi sono tante meraviglie da scoprire. È come scalare una montagna: ci saranno sempre dei momenti di crisi, ma il sogno della vetta è una costante, un obiettivo. Mi piace vivere così… Con avventura.

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