giovedì 13 febbraio 2020

Norvegia, sì all’estradizione in Italia per il Mullah Krekar: è stato condannato a 12 anni per terrorismo

@ - Nel 2001, mentre godeva del diritto di asilo in Norvegia, Krekar per sua stessa ammissione fondò nel Kurdistan iracheno il gruppo islamista Ansar al Islam, che voleva creare uno stato autonomo fondato sulla sharia. Il suo avvocato ha già annunciato che ricorrerà in appello contro la decisione delle autorità norvegesi

Abbiamo concluso che ci sono i termini per l’estradizione”. Il ministro della Giustizia norvegese, Monica Maeland, ha annunciato che il Mullah Krekar (Najmuddin Faraj Ahmad) potrà essere estradato in Italia per scontare una condanna a 12 anni per reati di terrorismo. La parola definitiva sulla sua estradizione spetta al governo norvegese. Il suo avvocato Brynjar Meling ha però già annunciato che ricorrerà in appello contro la decisione delle autorità norvegesi.

Nel 2001, mentre godeva del diritto di asilo in Norvegia, Krekar – curdo nato in Iraq e riconosciuto come il leader del gruppo jihadista Rawti Shax – per sua stessa ammissione fondò nel Kurdistan iracheno il gruppo islamista Ansar al Islam, una sigla che poi ricomparve anche durante il lungo e sanguinoso dopoguerra che fece seguito alla caduta di Saddam Hussein. L’obiettivo di Ansar Al Islam era la creazione di uno stato autonomo fondato sulla sharia. Krekar si dissociò dalle violenze commesse dal gruppo in Kurdistan, sostenendo di averne abbandonato la leadership prima della deriva jihadista.

Nel 2006 fu inserito nella lista anti terrorismo dell’Onu. L’anno successivo la Corte suprema norvegese stabilì che Krekar era un “pericolo per la sicurezza nazionale”, emanando un nuovo ordine di espulsione. Nonostante questo, entrando e uscendo dai tribunali e finendo a più riprese in carcere, Krekar ha continuato in questi anni, più o meno indisturbato, a lanciare proclami, a minacciare di morte i suoi avversari, come l’ex premier conservatore norvegese Erna Solberg. E ha continuato a raccogliere proseliti. Fino al nuovo – e definitivo – stop impostogli dall’operazione ‘Jweb’ del 2015, per la quale lo scorso anno è arrivata la condanna in Italia.

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