giovedì 3 ottobre 2019

Il piano di Johnson su Brexit è un imbroglio?

@ - È un modo per costringere l'Unione Europea a rifiutare e poi incolparla del fallimento dei negoziati? Lo sospettano in molti.

Mercoledì il primo ministro britannico Boris Johnson ha presentato la sua nuova proposta su Brexit, che dovrà essere valutata nelle prossime due settimane dai paesi dell’Unione Europea. La proposta è sostanzialmente diversa dall’accordo trovato tra l’ex prima ministra britannica Theresa May e l’Unione Europea e bocciato tre volte dal Parlamento britannico: soprattutto perché rimuove il “backstop“, uno dei punti più controversi e criticati dai Conservatori britannici, cioè un meccanismo pensato per evitare la creazione di un confine “rigido” – quindi con controlli su merci e persone – tra Irlanda (che fa parte dell’UE) e Irlanda del Nord (che ne uscirebbe).

L’accordo di Johnson ha cominciato a essere valutato dall’Unione Europea, anche se le prime dichiarazioni sono state poco incoraggianti. Giornalisti e analisti esperti di Brexit hanno espresso molti dubbi: Politico ha scritto per esempio che diversi funzionari europei sono certi che Johnson abbia voluto fare una proposta talmente spregiudicata che sapeva sarebbe stata rifiutata dall’Unione Europea, e ha aggiunto che alcuni osservatori hanno considerato la proposta come «una dichiarazione di guerra». In pratica Johnson avrebbe presentato una proposta irricevibile per arrivare al “no deal”, l’uscita senza accordo, e incolpare i funzionari europei per il fallimento dei negoziati.

A che punto ci troviamo
Johnson ha fatto intendere che la proposta presentata all’Unione Europea sarà l’ultima offerta del Regno Unito su Brexit. Al di là delle intenzioni del governo di Londra, il tempo rimasto è poco. La scadenza per Brexit è fissata al 31 ottobre, data in cui il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea se prima le due parti non troveranno un accordo per un rinvio. In teoria Johnson sarebbe costretto dalla legge britannica a chiedere un rinvio, nel caso in cui non si trovi un accordo entro metà ottobre: così prevede la norma approvata in fretta e furia a inizio settembre dalle opposizioni e da una ventina di parlamentari conservatori ribelli. Nei fatti però Johnson ha detto più volte di non avere intenzione di chiedere un rinvio, soprattutto dopo avere costruito tutto il suo consenso sull’idea che sarà lui a guidare il Regno Unito fuori dall’Unione Europea entro il 31 ottobre, a qualsiasi costo. Non è ancora chiaro a quali conseguenze Johnson potrà andare incontro violando la legge.

Johnson fa parte della corrente più radicale del Partito Conservatore, che vede con favore una Brexit senza accordo. È per questo motivo che diversi esperti di politica britannica credono che la proposta presentata mercoledì sia stata in realtà una specie di pretesto: un modo per fingere di voler trovare una soluzione al casino di Brexit, proponendo un accordo dell’ultimo minuto con l’Unione Europea senza però crederci davvero; presentare una proposta irricevibile, farsi dire no e scaricare su altri (l’Unione Europea) le colpe del fallimento.

La questione del “backstop”
La proposta Johnson di fatto smantella il “backstop”, una specie di meccanismo di emergenza che si attiverebbe solo nel caso in cui alla fine del periodo di transizione – della durata di due anni (prorogabile) dall’entrata in vigore dell’accordo su Brexit – le due parti non riuscissero a firmare nuovi trattati in grado di garantire un confine non rigido tra Irlanda e Irlanda del Nord. La questione del “confine rigido” di cui si sente tanto parlare non è una fissazione dei leader europei o del governo irlandese: è una questione complicata, considerata da molti quasi esistenziale.

Per decenni, infatti, l’Irlanda del Nord fu attraversata da una sanguinosa guerra civile tra gruppi cattolici che volevano l’unione con la Repubblica d’Irlanda e gruppi protestanti favorevoli a restare nel Regno Unito. Uno degli architravi degli accordi di pace che negli anni Novanta misero fine al conflitto – gli Accordi del venerdì santo – fu la creazione di un confine aperto e facile da attraversare, per cercare di armonizzare i rapporti fra le due Irlande e le fazioni in lotta creando più solidi rapporti culturali e commerciali. Questo confine potrebbe venire meno in caso di applicazione di rigide regole doganali, uno scenario che soprattutto l’Irlanda vorrebbe evitare.

Il “backstop” prevede che tutto il Regno Unito – quindi anche l’Irlanda del Nord – rimanga nell’unione doganale, uno dei pilastri dell’integrazione economica comunitaria, di modo da evitare a tutti i costi la creazione di un “confine rigido” con l’Irlanda che includa l’istituzione di dazi e controlli sui beni alla frontiera. Prevede inoltre che l’Irlanda del Nord rimanga nel mercato unico europeo, il sistema che permette la circolazione di beni senza dazi all’interno dell’Unione Europea, di nuovo per evitare la necessità di ogni tipo di controllo fra Irlanda e Irlanda del Nord.

Secondo molti politici britannici, soprattutto conservatori, questa condizione è però inaccettabile: il “backstop” non ha una scadenza precisa perché potrebbe terminare solo con il consenso sia del Regno Unito che dell’Unione Europea. In pratica, sostengono i critici, il “backstop” renderebbe il Regno Unito un po’ meno unito – di fatto l’Irlanda del Nord sarebbe molto più legata all’Irlanda che al resto del paese – e la permanenza nell’unione doganale europea impedirebbe di fatto al governo britannico di stringere accordi commerciali indipendenti con paesi terzi, una delle promesse centrali dei sostenitori di Brexit.

Cos’è la proposta di Johnson
Johnson ha proposto che l’Irlanda del Nord rimanga, almeno in una prima fase a partire dal 2021, dentro un sistema di “unione regolamentaria” con l’Irlanda basata sulle regole del mercato unico europeo ma solo relative ai beni. In pratica, per quanto riguarda il commercio di beni, il nuovo confine tra Unione Europea e Regno Unito verrebbe spostato nel mare del Nord, che divide l’isola d’Irlanda dalla Gran Bretagna.

Nella proposta di Johnson è stata inserita però una condizione in più, per convincere molti parlamentari britannici ad appoggiarla, soprattutto quelli nord irlandesi alleati dei Conservatori al Parlamento di Londra: la condizione è che il Parlamento nord irlandese, che non si riunisce da oltre un anno a causa di una complicata crisi politica, voti a favore della proposta prima che questa venga applicata, e possa decidere di rinnovarla o rifiutarla ogni quattro anni. Johnson ha chiesto all’Unione Europea di «non fare mai controlli al confine» anche nel caso in cui l’Irlanda del Nord dovesse rifiutarla, quindi lasciare passare i beni attraverso il confine irlandese “sulla fiducia”.

Nella proposta di Johnson è stato previsto inoltre che al termine del periodo di transizione l’Irlanda del Nord esca dall’unione doganale insieme al resto del Regno Unito: significa che qualche tipo di controllo dovrà essere effettuato fra Irlanda e Irlanda del Nord. Il governo britannico ritiene che i controlli possano essere fatti «per via elettronica» e non in posti fisici alla frontiera, ma da anni i funzionari europei dubitano della fattibilità di questa operazione.

Questo passaggio è molto diverso da quanto stabiliva il “backstop” formulato da May, che prevedeva invece la permanenza di tutto il Regno Unito – anche dell’Irlanda del Nord – all’interno dell’unione doganale. È anche uno dei punti più criticati del piano di Johnson, perché prevede di fatto l’introduzione di controlli alla frontiera tra Irlanda e Irlanda del Nord, proprio la cosa che lo stesso Johnson aveva detto di voler evitare a tutti i costi.

Cosa si pensa della proposta Johnson su Brexit
Politico ha scritto che «al di là di quello che voleva Boris Johnson con la sua proposta, Bruxelles è sicura di una cosa: il primo ministro britannico non poteva davvero aspettarsi che [i negoziatori europei] fossero d’accordo con lui». Il Guardian ha scritto che Michel Barnier, capo negoziatore dell’Unione Europea su Brexit, ha descritto la proposta di Johnson come «una trappola». Diversi dubbi sono stati espressi anche dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, che ha sottolineato come nella proposta rimangano «punti problematici», e dal primo ministro irlandese Leo Varadkar, che ha detto che il testo di Johnson «non soddisfa in pieno gli obiettivi del backstop».

Nonostante le impressioni negative, finora l’Unione Europea si è espressa con prudenza sulla proposta di Johnson. Secondo diversi osservatori, questa prudenza non sarebbe dettata da una reale convinzione che la proposta possa essere il punto di partenza per altri colloqui, ma sarebbe un modo per non farsi addossare la colpa per i negoziati falliti.

Nei prossimi giorni i leader dei paesi dell’Unione Europea studieranno la proposta fatta da Johnson, e il 17 ottobre si riuniranno al Consiglio europeo. Se dovessero accettarla, la proposta dovrà comunque essere votata dal Parlamento britannico, e non è chiaro se sarà appoggiata da una maggioranza. Se il Consiglio non dovessero accettarla, ipotesi che ad oggi sembra la più probabile, Johnson sarebbe costretto a fare richiesta formale per rinviare la data di Brexit, chiedendo di spostarla dal 31 ottobre al 31 gennaio 2020, anche se mercoledì ha fatto capire che l’alternativa alla sua proposta era il “no deal”, cioè l’uscita senza accordo.

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