@ - Nel pedigree delle 10 nuove porpore il profilo globalista-progressista del prossimo Pontefice.
Un concistoro da “esportazione”, anti-sovranista e globalista, libero dai dazi e “aiuti di stato”. Il più geopolitico del pontificato di Francesco. Un Risiko espressivo del linguaggio geografico e del messaggio biografico che il pontefice argentino, più di qualsiasi predecessore, è avvezzo a iscrivere sulle investiture cardinalizie.
Bastano a evidenziarlo, nel cv e pedigree delle dieci nuove nomine, i percorsi e trascorsi dei due gesuiti, confratelli del Papa. Occidentali entrambi, ma esotici e cosmopoliti. Panasiatico l’uno, il lussemburghese Jean – Claude Hoellerich, a lungo docente a Tokyo e oggi presidente dei vescovi UE. Panafricano l’altro, il canadese di origini danubiane, con delega per i migranti, Michael Czerny. Come dire dalle barriere carpatiche di Visegrad ai laboratori multietnici dell’Ontario, per approdare infine a Trastevere, nel dicastero di recente conio dello Sviluppo Umano Integrale, passando per la Rift Valley e l’Hekima College di Nairobi.
O le due porpore andaluse, panarabe, protese sull’altra sponda del Mediterraneo, a gettarvi berretta e cappello, tra Suez e Gibilterra: Cristóbal Lopez Romero, arcivescovo salesiano di Rabat, e Miguel Ángel Ayuso Guixot, islamista comboniano, una vita sulle rive del Nilo tra le università del Cairo e di Khartoum, erede di Jean-Louis Tauran alla guida del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso.
Cinque – sei ottobre, il parlamento della Chiesa, ossia le due camere alta e bassa, dei cardinali e dei vescovi, del concistoro e del sinodo, si riunisce in “seduta comune”.
Sotto il cielo di un ottobre romano dal clima tiepido, che resiste come un presidio d’estate all’assalto serrato del calendario, nello scopo manifesto di prolungare i tempi e maturare i frutti dell’ora presente. Battagliando con le avvisaglie dell’autunno e ritardando il cambiamento incombente, incalzante di stagione. Dialettica meteorologica che svela e sottende la prova di forza politica.
Nel momento in cui ammette apertis verbis la eventualità di uno scisma e mette, prudente, le mani avanti, conversando in aereo con i cronisti, Bergoglio sceglie nondimeno di andare alla conta e porre la fiducia sulla svolta, teologica e dottrinale, metodologica e istituzionale da lui operata.
Così, la maggioranza episodica e congiunturale (“provvidenziale” per chi legge la vicenda con sguardo di credente, cogliendovi un segno, e disegno, dello Spirito), che aveva puntato sull’arcivescovo di Buenos Aires, dislocato ai confini del mondo, con intento più contro che pro, coalizzando alleati del tutto improbabili, quali Nord e Sud America, yankee e latinos, conservatori e progressisti, nel proposito di sconfiggere il partito romano e ridimensionare il peso della curia, diventa ora organica e strutturale, ampia e impermeabile.
La globalizzazione attraverso sei tornate o infornate consecutive ha inciso in maniera irreversibile sul paesaggio geografico e passaggio nevralgico della Sistina, ossia sulla distribuzione per area e pigmentazione purpurea del planisfero, dilatando la zona rossa e la forma mentis, la provenienza e l’orizzonte ideale del club più esclusivo del pianeta, preposto a eleggere il successore di Pietro e composto a numero chiuso di 120 ambiti scranni.
Revisione sistematicamente attuata nei primi tre concistori - con un calo perentorio del vecchio continente, da un quaranta per cento circa nel 2014 a un trenta nel 2015, a un venti quasi nel 2016 – ed espressamente motivata il 2 ottobre di quell’anno sul volo di ritorno dall’Azerbaigian: “A me piace che si veda nel collegio cardinalizio l’universalità della Chiesa, non soltanto il centro europeo”.
Un “centro” che osserviamo, tuttavia, con una inversione di tendenza e contraddizione in apparenza rispetto alle parole testé riportate, ha repentinamente, inaspettatamente fatto registrare dal 2017 una rimonta, con il 40 per cento dei prescelti, che salgono al cinquanta nel 2018 e confermano in questo 2019 la impennata, mediante cinque nomine su dieci complessive: il doppio dello spazio che l’Europa di per sé occupa nella ripartizione mondiale dei cattolici (appena un quinto del miliardo e trecento milioni di battezzati).
La discontinuità numerica e correzione di rotta in superficie non devono però distogliere dalla comprensione unitaria del fenomeno, in profondità, e dalla sua direttrice d’insieme: come se Bergoglio, in sincronia con l’ascesa e recrudescenza dei sovranismi, avesse avvertito l’urgenza d’intervenire a monte, oltre che a valle. Al capezzale, cioè sui capi e sul nerbo gerarchico del cattolicesimo europeo. Rafforzandone o ricostituendone il gruppo dirigente attraverso una robusta iniezione di anticorpi, anziché indebolirlo ulteriormente. Come se anche il Pontefice argentino, aggiungiamo, si fosse convinto alla stregua di Benedetto XVI che la partita in definitiva si gioca in Europa: optando al dunque per il campo del predecessore ma modificando, drasticamente, uomini e schemi. Dal catenaccio al “meticciato”. Senza remora o paura di potersi snaturare.
Misura che evoca sfiziosamente, non fosse altro per la suggestione della coincidenza cronologica, l’ultimo quantitative easing e colpo di coda dell’ex-allievo dei gesuiti Mario Draghi: un mix d’investimenti sui titoli europei e, congiuntamente, disincentivi a immobilizzare il capitale nei depositi. Analogamente a quanto accade con il “depositum fidei” del Vangelo, cristallizzato e imbrigliato, agli occhi del Papa, nel retaggio dell’imprinting grecoromano – si tratta del punto di maggiore divergenza notoriamente tra lui e Ratzinger – per timore di sforare i parametri tradizionali e incorrere in possibili deficit dottrinali.
“Grazie per averci ricordato che la Chiesa non è una gabbia per lo Spirito Santo” - disse a riguardo un anno fa Bergoglio, chiudendo gli esercizi quaresimali e indirizzandosi al predicatore, il prete poeta, intellettuale portoghese Tolentino Mendonça, chiamato nel frattempo in Vaticano quale nume della Biblioteca e creato, subitaneamente, cardinale: “Lo Spirito vola e lavora fuori, nei non credenti, nei pagani, nelle persone di altre confessioni religiose, è universale”.
Sicché il concistoro 2019 risulta il più europeo per dimensione, ma non propensione. Operando una manovra espansiva però selettiva sui “titoli” cardinalizi, che gratifica i globalizzatori, aperti verso gli altri continenti, ma mortifica i “guardiani del carcere di Pietro”, difensori del vincolo preferenziale con l’Occidente.
In una congiuntura di guerre commerciali e globalizzazione a go-go, utilizzando una ulteriore metafora di attualità, il Papa intende affrancare il cristianesimo, una volta per tutte, dal rischio di venire percepito come un marchio e prodotto dell’Europa: soggetto ai dazi e alle penalizzazioni che in tal caso ne conseguirebbero.
Un esperimento che a Bologna, città in cui cultura e gastronomia da sempre interagiscono gustosamente, si trasferisce dalla scrivania dei poeti alla tavola dei poveri. Dalle parole astratte ai tortellini ripieni, sostituendo la carne di pollo a quella suina e consentendo alla comunità islamica di prendere parte alla festa di Matteo Zuppi, arcivescovo felsineo e unico italiano del gruppo, parroco trasteverino e mediatore di pace in Mozambico.
Accanto ai fantasisti Mendonça e Zuppi, completano il quadro e lo allargano, a centrocampo, i quattro cardinali equatoriali, posti a presidio della fascia mediana dei tropici, dove il clima si surriscalda e si arroventa, non solo sulla scala di mercurio.
Il guatemalteco Alvaro Ramazzini e il congolese Ambongo Besungu, interdittori tenaci e censori mordaci dei rispettivi governi, al centro di due continenti, statici benché instabili. Sul cordone ombelicale, indio e precolombiano dell’istmo caraibico e nel ventre, violato e violentato, dell’Amazzonia d’Africa, tra i Grandi Laghi e il grande fiume. Leader di una chiesa d’opposizione, pasionaria e martire, all’occorrenza, della democrazia: sul piano formale, sponsorizzando elezioni e stigmatizzandone i brogli, come a Kinshasa. Su quello sostanziale, contestando e contrastando le spoliazioni degli autoctoni, discendenti dei Maya, come a Huehuetenango, tra compagnie minerarie multinazionali e signorie locali latifondiste.
Infine le due porpore “insulari” dell’indonesiano Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo e del cubano Juan de la Caridad García Rodríguez, impegnate in contesti diversi a tessere rapporti e rompere l’isolamento del “tre per cento”: cifra che indica in un caso la consistenza esigua dei cattolici, su duecento e passa milioni di abitanti musulmani dell’arcipelago. Nell’altro dei fedeli praticanti, dopo decenni di comunismo castrista e più recentemente consumismo capitalista, che hanno spezzato e spazzato via le tradizioni religiose con la veemenza, e insistenza, delle piogge caraibiche.
L’investitura, rotonda, dei 10 odierni membri con diritto di voto del sacro collegio offre una immagine, nonché vertigine, di Chiesa in esodo sul crinale, scosceso e sospeso tra il passato e il futuro. Tra il lascito eurocentrico, glorioso ma in scadenza, dei papi del Novecento (ai quali anche Benedetto può essere ascritto in quanto fuori quota, schierato nei tempi supplementari) e il prospetto in uscita, poliedrico e coraggioso, temerario e in fieri, del loro successore sudamericano.
Contestualmente l’apertura del sinodo sull’Amazzonia, in programma il giorno successivo a tamburo battente, canonizza il simbolo universale dell’ambientalismo e consacra il primato del tema ecologico. Eredità innovativa, codificata in una enciclica, e tratto caratterizzante nonché coagulante del magistero di Francesco, sin dall’inizio, il 19 marzo dell’anno del Signore 2013, festa di San Giuseppe, custode di Dio in terra e dell’opera del creato.
Camere alta e bassa, dunque. Dove gli aggettivi non rivestono valenza ornamentale, ma descrivono il meccanismo funzionale di selezione delle due assemblee: dal basso i padri sinodali, per elezione, in rappresentanza di ogni singola conferenza episcopale. Dall’alto invece i cardinali, per designazione del regnante pontefice.
Prove tecniche di democrazia e geografia, o di rappresentatività più avanzata. Globalizzata e orizzontale. Ferma restando la figura del Papa e la natura di per sé verticale dell’istituzione. Che concettualmente non si fonda sull’adesione degli uomini e sull’estensione dei suoi domini, ma ciclicamente se ne serve, in sede di verifica: per comprovare la provvidenza divina e riscontrarne il mandato, tassativo ancorché detassato, di “andare in tutto il mondo”.
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