domenica 15 settembre 2019

SCENARIO/ Sapelli: ecco il piano di von der Leyen e Macron per affondare l’Italia

@ - Altro che maggiore flessibilità: è una narrazione falsa. La nuova Commissione è molto ordoliberista. Attenzione anche all’attivismo della Francia.

Stando ai giornali italiani, il governo giallo-rosso parte accompagnato da una congiuntura astrale favorevole. Non solo Draghi ha riattivato, per l’ultima volta, il suo bazooka del Quantitative easing, ma anche la nuova Commissione Ue a guida Ursula von der Leyen si sta dimostrando molto attenta all’Italia e alle sue richieste di maggiore flessibilità sui conti pubblici. A questa narrazione, che “serve per aiutare il nuovo governo Conte, ma è falsa”, l’economista Giulio Sapelli non crede affatto. Anzi, invita a leggere bene tra le pieghe della politica e della storia.

Professore, secondo lei non c’è una luna di miele con l’Europa?
Per nulla. Anzitutto, l’Europa è di nuovo un protettorato tedesco, che ha un formidabile alleato come la Francia. È il duopolio scritto nel trattato di Aquisgrana. E il prossimo passo sarà che la Francia farà il trattato italo-francese, già scritto da Renzi sotto dettatura di Macron e sulla cui bozza non abbiamo ancora assistito ad alcun dibattito parlamentare, in base al quale la Francia si piglierà tutto. Basta vedere chi è la nuova commissaria all’industria militare, alla difesa e all’industria spaziale: la francese Goulard, che ha già lavorato con Monti e con Prodi. Però la partita è ancora aperta, perché gli italiani, durante il governo giallo-verde, hanno concluso un accordo per il caccia Tempest inglese, che è un attacco al predominio franco-tedesco nell’industria degli armamenti. Non so se il Conte-2 terrà ancora duro su questo punto.

Ma anche la nuova Commissione Ue ci tratta assai meglio, non crede?
No, perché, come avevo detto quando è stata eletta, Ursula von der Leyen non è solo la mamma di sette figli, sei naturali e uno siriano adottato, ma è soprattutto la figlia del più grande intellettuale protestante, Ernst Albrecht, che è stato il primo segretario generale dell’Unione Europea.

Quindi?
Lei è senz’altro europea ed europeista, ma è figlia di quel protestantesimo che ha visto nell’Europa la possibilità di riscattarsi dal nazismo. Quindi è una persona che prende sul serio l’ordoliberismo, di cui sono un convinto avversario. Se fosse diventato presidente della Commissione Ue Manfred Weber, portato dai bavaresi della Csu, avrei detto che un’autocritica dei tedeschi poteva essere alle porte.

Invece?
Quando hanno scelto la von der Leyen ho capito subito: stiamo attenti che lì non ci sarà più trippa per gatti. Infatti – ed è un aspetto che non ha colto nessuno – cosa ha fatto subito la von der Leyen? Ha blindato i commissari.

In che modo?
Innanzitutto, nominando i vicepresidenti esecutivi. Prima erano solo vicepresidenti e adesso sono vicepresidenti esecutivi. Saranno loro a parlare con i direttori generali e non i singoli commissari, che d’ora in avanti non conteranno più come una volta. Non solo: tutti i vicepresidenti esecutivi sono convinti assertori delle idee deflattive e ordoliberistiche. Insomma, Dombrovskis controllerà Gentiloni, che non toccherà palla con quei direttori generali. In secondo luogo, sempre con la von der Leyen, è la prima volta nella storia dell’Unione Europea che un commissario mantiene lo stesso incarico per un secondo mandato: la liberale Margrethe Vestager alla Concorrenza.

E che cosa significano queste scelte?
Vuol dire che questa Commissione adotterà politiche anti-americane. Ed è preoccupante. I nostri maggiori problemi con gli Stati Uniti li abbiamo avuti sulla regolazione antitrust. Ricordiamoci, poi, che la Vestager fa parte delle potenze anseatiche della Germania del Nord.

Perché è importante sottolinearlo?
La Germania è divisa in due: la Baviera, che avrebbe voluto sì allargare i cordoni della borsa perché ha l’industria automobilistica oggi in grande difficoltà, e poi c’è la Germania del Nord, che vede bene la Brexit, ma che non vede di buon occhio l’idea di condividere i debiti pubblici dei Paesi euromediterranei. È questa oggi la linea vincente, mentre la narrazione, il gioco di specchi, rivela tutt’altro, cioè che sta vincendo la linea della flessibilità. Ma non è così. I commissari Ue saranno tenuti a freno da questa donna, Ursula von der Leyen, molto intelligente e molto capace. È come lo scorpione con la rana nella favola di Esopo. Non è un caso che Weidmann, e con lui i finlandesi, gli olandesi e via discorrendo, abbiano ricominciato ad attaccare Draghi. Perché vogliono innalzare un muro contro la Lagarde, facendole capire che è già sotto scacco, nonostante Macron.

A proposito di Macron, nonostante una Germania debole, sembra sparito dalla scena europea. È così?
Calma, Macron è attivissimo. La più grande diplomazia internazionale è quella francese, la Francia è una potenza di mediazione. Oggi Macron parla con la Russia, ha aperto a Putin, ha favorito lo scambio di prigionieri in Ucraina. La Francia è l’unica potenza che si interessa della Libia, si interessa della Mesopotamia. La Francia è in grande spolvero nel Mediterraneo. Ormai più che all’Europa guarda all’Africa e alla Mesopotamia, perché lì ci sarà l’uscita dalla deflazione con la ricostruzione di quell’area.

Proviamo a ricapitolare: la Germania sull’orlo della recessione consolida l’ordoliberismo, la Francia ripiega dalla Ue su altri scacchieri strategici, la Brexit “no deal” si avvicina a grandi passi. Che ne sarà dell’Europa?
Un’Europa a frattali, con profonde faglie. E l’Italia, in questo quadro, corre il rischio di non contare nulla, di perdere la sua presenza e influenza nel Mediterraneo. Se l’Italia perde la Libia, è morta.

Ci sarebbero anche delle conseguenze sull’immigrazione?
Le vicende di questi anni ci devono insegnare che dobbiamo uscire da una politica migratoria governata dai mercati, e quindi dalle attività criminali. Dobbiamo tornare a una politica dell’immigrazione, com’era prima della globalizzazione, governata dagli Stati, dalle rappresentanze degli interessi datoriali e sindacali, e dalle organizzazioni umanitarie, in primis la Chiesa cattolica e le chiese protestanti. Un tempo si emigrava solo con accordi tra Stati.

Si discute molto di rivedere Dublino. Che partita può giocare la Ue in questo campo?
Su impulso proprio della Germania, Paese che ha bisogno di immigrati altrimenti il suo sistema economico si ferma, bisogna far sì che ci siano quote di immigrazione regolata, previ accordi tra Stati.

“La Bce si muove, la Fed no” ha twittato Trump dopo l’ultimo Qe deciso da Draghi. Cosa dobbiamo aspettarci dagli Stati Uniti?
È l’incognita più grande. Molto difficile dirlo, anche perché l’establishment nordamericano si sta frantumando.

Potrebbe profilarsi una guerra valutaria tra Usa ed Europa?
No, questo no. Piuttosto si aprirà una sana competizione tra svalutazioni competitive, ne abbiamo sempre avute nella storia economica mondiale. Non si può avere quest’idea politically correct che nel mondo non ci debbano essere diversità monetarie o che la politica economica sia uguale per tutti: il mondo è bello anche perché c’è competizione tra le valute.

In Italia si prospetta un ritorno al proporzionale. Non la preoccupa che la possibile frantumazione politica, abbinata alle difficoltà economiche e di bilancio, possa indebolire, se non sterilizzare, i nostri margini di manovra in Europa?
Noi siamo l’unico Paese che ha cambiato sistemi elettorali a gogò. Oggi abbiamo partiti personali o pluripersonali, come il Pd, senza insediamenti territoriali seri, esclusi Lega, FdI e il pezzo ex comunista del Pd che fa capo a Zingaretti. Il ritorno al proporzionale è un vergognoso atto di disprezzo per la repubblica che questa classe politica mette in atto, convinta com’è di risolvere i problemi interni ai partiti manipolando i sistemi elettorali, che invece vanno maneggiati con cura.

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