lunedì 1 luglio 2019

Ue, battaglia sulle nomine: ma Timmermans e Weber verso la meta

@ - Si tratta nella notte per trovare la quadra sui massimi responsabili delle istituzioni Ue: Commissione, Consiglio, alto rappresentante per politica estera e sicurezza, numero uno della banca centrale al posto di Mario Draghi. E poi il presidente del Parlamento sul quale gli eurodeputati voteranno mercoledì: è la casella che completa il difficile puzzle delle nomine. Dopo qualche ora si capisce che trovare un accordo è complicato. Verso le 10 di sera si parla di «stallo». Poi in piena notte alcuni ostacoli vengono superati Qualcuno ipotizza una nuova riunione a metà mese.
Alla vigilia del vertice dei capi di Stato e di governo le quotazioni del socialista olandese Timmermans erano alte nonostante l'incattivito no dei paesi di Visegrad. A mettere in difficoltà questa soluzione, l'altolà del Ppe che ha isolato per alcune ore Angela Merkel, accusata durante la riunione preliminare dei popolari di non aver difeso abbastanza il loro Manfred Weber. «Hai mancato di rispetto a tutto il Ppe», l'accusa di fuoco del bulgaro Boyko Borisov, secondo la Welt. Timmermans avrebbe anche il no dell'Italia a sentire Salvini, anche se il premier Conte ha sfumato: «Valuteremo». E a tarda sera ha preso quota il nome di Michel Barnier ma nel caso servirà un nuovo summit. omunque dopo una serie di incontri bilaterali il nome di Timmermans per la Commissione e quello di Weber per la presidenza del parlamento Ue hanno ripreso quota.

RITARDO
La riunione dei 28 parte con tre ore di ritardo. Dopo le riunioni delle famiglie politiche cominciano i conciliaboli. Regista il presidente Ue Tusk. C'è anche Theresa May che in teoria dovrebbe allinearsi alla posizione maggioritaria: essendo in uscita non può disturbare i 27 manovratori. Se al posto suo ci fosse Boris Johnson nessuno giurerebbe che l'accordo sulla non belligeranza britannica sarebbe rispettato. Tusk racconta che sul tavolo c'è una proposta del quartetto che costituisce il centro motore della trattativa: Merkel, Macron, Rutte (Olanda) e Sanchez (Spagna). Si capisce subito che per Timmermans è durissima sia in Consiglio che in Parlamento (Tajani indica che il Ppe non lo voterà: «Si andrebbe contro la volontà popolare, siamo noi la prima forza in Europa»). I popolari non rinunciano alla Commissione e forzano sulla cancelliera. Merkel detta ai giornalisti: «Discussione non facile, è il meno che possa dire».

Il gioco a schemi è quello classico: se il campione del Ppe Weber (tedesco) deve fare un passo indietro perché non ha il consenso sufficiente, deve fare un passo indietro anche il campione socialista. Subito risale la candidatura della liberale danese Vestager, la commissaria alla concorrenza che Donald Trump considera nemica degli Stati Uniti per l'inflessibilità con cui ha colpito gli interessi fiscali di Amazon, Apple e Starbucks. Ma il Ppe rilancia la sua candidatura e risalgono le quotazioni del premier irlandese Varadkar, che ha guadagnato punti su scala europea nel corso del negoziato sulla Brexit.
I liberali giocano su due tavoli: Commissione e presidenza del Consiglio Ue, con il premier belga Michel. È una soluzione che ai più appare facile da chiudere. In quel caso Vestager potrebbe diventare la prima vicepresidente della Commissione.
Il Gruppo di Visegrad fa blocco a favore del negoziatore per la Brexit Barnier, francese. Macron non si sbilancia pubblicamente: accarezzando l'ipotesi del governatore Villeroy de Galhau alla Bce non esce allo scoperto. Papabili ministri degli esteri sono sempre la bulgara Georgieva (Banca Mondiale) e il premier croato Plenkovic. Area di riferimento il Ppe, che punta a due cariche: una è il Parlamento con Weber e l'altra è la posizione degli Esteri. Però gioca anche sul tavolo della Commissione. È un quadro indigeribile per il Pse e infatti qualcuno riaffaccia l'ipotesi Timmermans agli Esteri. In tutto questo almeno una posizione deve andare a una donna.
La Bce è per ora in fondo alla lista. «Il presidente della banca centrale arriverà un po' più avanti», dichiara Tusk. Macron conferma. Nessuno vuole politicizzare la nomina, in un periodo in cui l'indipendenza delle banche centrali è sotto tiro in molte parti del mondo, dagli Stati Uniti all'India. È possibile che i leader chiedano ai ministri finanziari di decidere sulla designazione la prossima settimana. In lizza ci sono sempre il governatore e l'ex governatore di Finlandia, Rehn e Liikanen: è più forte la seconda candidatura.

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