lunedì 15 luglio 2019

Otto per mille, il crollo della Chiesa cattolica

@ - In sette anni, il numero di italiani che hanno deciso di destinare l’otto per mille dell’Irpef alla Chiesa cattolica è diminuito di circa due milioni. È calata però complessivamente anche la quota di contribuenti che hanno espresso una scelta in dichiarazione dei redditi e questo fatto, insieme all’aumento dell’importo assoluto dell’otto per mille, ha permesso alla Cei di non risentire dal punto di vista finanziario - almeno per quest’anno - del calo delle preferenze. I dati aggiornati sulla ripartizione delle somme prelevate dall’Irpef sono stati resi noti in questi giorni dal Dipartimento delle Finanze; per analizzarli occorre tenere conto delle complesse regole che governano il meccanismo di finanziamento delle confessioni religiose. In particolare è previsto che in ciascun anno vengano ripartiti gli importi relativi alle dichiarazioni di tre anni prima, le quali a loro volta si riferiscono al periodo d’imposta precedente. Così quest’anno sono state distribuite le somme relative ai redditi del 2015, che ammontano complessivamente a 1,4 miliardi.

Su un totale di circa 40,8 milioni di contribuenti, poco più del 43 per cento ha espresso una preferenza mentre le scelte non espresse valgono circa il 56,5. La Chiesa cattolica fa sempre la parte del leone, con 14 milioni di contribuenti che hanno espresso questa indicazione. Un numero che corrisponde al 35,3 per cento dei contribuenti e al 79,9 delle scelte espresse. La differenza tra le due percentuali è importante perché la Cei, a differenza di quanto fanno altre confessioni, ha scelto di ricevere anche l’Irpef dei contribuenti che non hanno espresso preferenze, la quale viene ugualmente ripartita in base alle indicazioni effettivamente date. Ecco quindi che alla Chiesa cattolica andranno oltre 1,1 miliardi, contro i quasi 200 milioni dello Stato, i 43 dei valdesi e gli importi via via più modesti che andranno alle altre confessioni. Rispetto all’anno precedente, le “fette” aumentano per tutti per il buon motivo che aumenta, e di molto, la torta complessiva: 1,4 miliardi contro 1,23 dell’anno precedente. Un dato che a sua volta dipende dall’incremento anomalo dell’Irpef, legato a nuove regole di compensazione per i sostituti d’imposta.

IL CONFRONTO STORICO
Per inquadrare i dati in una dimensione storica si può fare un passo indietro al 2010: per i redditi di quell’anno erano stati 15,6 milioni i contribuenti che avevano scelto la Chiesa cattolica: ovvero il 37,6 per cento dei contribuenti totali e l’82,2 delle scelte espresse. Allora gli italiani che avevano dato un’indicazione esplicita erano stati di più, il 45,7 per cento. Guardiamo ora ai due anni più recenti, per i quali sono disponibili le preferenze dei contribuenti ma non gli importi: le indicazioni per la Chiesa cattolica si sono ridotte ancora, arrivando per i redditi 2017 a quota 13,5 milioni ovvero circa due milioni in meno rispetto a sette anni prima (anche a parità di contribuenti totali). La percentuale sui contribuenti è scesa al 32,8 per cento. Gli effetti finanziari si vedranno nel 2020 e nel 2021, quando saranno ripartite le corrispondenti risorse, mentre le indicazioni date nella stagione di dichiarazioni ancora in corso (relativa ai redditi 2018) avranno effetto nel 2022. Tra le altre confessioni religiose, nell’ultimo biennio spicca la presenza delle due entità buddiste, mentre ha riguadagnato qualche posizione anche lo Stato, calato in precedenza.

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